Dopo Diabolik, le serie tv: quei due sacripanti di Luca Beatrice e Luigi Mascheroni portano una seconda mostra al Museo del Cinema, e stavolta mi pare che facciano centro. Insomma, Diabolik, con tutto il rispetto, era un soggetto un po' fané, molto boomer, e in fondo c'entrava relativamente con il cinema, anche a voler considerare certi filmetti del tutto dimenticabili. Le serie tv, invece, sono - oltre che pop, in linea con l'indole dei curatori - il nuovo cinema, un'altra forma di cinema: lo ha confermato pure Carlo Chatrian, nuovo direttore del Museo, che ha così dato l'imprimatur alla sua prima uscita pubblica per presentare la mostra, intitolata «#Serialmania». Sono cinema, e sono di moda, e piacciono a tutti, compresi i giovani, anzi soprattutto ai giovani, dunque la mostra funzionerà. E lo merita, perché è ben ideata, ben presentata, piena di cose curiose. Un percorso attraverso dodici serie che, a parer dei sacripanti, sarebbero le più significative, le più archetipe, le più iconiche, insomma, quella roba lì. Ovvio il giochino del «ma non c'è...» che coinvolgerà ogni visitatore, e penso che renderà la visita più interessante, consentendovi di litigare con gli amici su quale serie è stata ingiustamente omessa, e quale invece non meritava. Per dire, su dodici serie esposte, l'unica che avrei scelto anch'io sono i "Simpson", mentre deploro che "Friends" sia stato preferito a "Big Bang Theory", e protesto vibratamente per l'esclusione di qualsiasi serie crime e/o legal drama: io non avrei mai rinunciato a "Miami Vice", che ha inaugurato un nuovo corso e una nuova iconografia; e naturalmente pretenderei almeno una rappresentaza dei franchise "Csi" e "Ncis", per non dire della decana e amatissima "Law & Order. Special Victims Unit". A questo punto, suggerirei al Museo di attuare l'idea che il presidente Ghigo ha soltanto accennato come boutade: indire un referendum tra i visitatori perché compilino e introducano in apposita urna la top ten delle loro serie preferite. Scommetto che non ci sarebbero due top ten uguali.
Luca Beatrice ci ha lasciati all'improvviso, tradito dal cuore all'età di 63 anni. Era stato ricoverato lunedì mattina alle Molinette in terapia intensiva. Non sto a dirvi quale sia il mio dolore. Con Luca ho condiviso un lungo tratto di strada, da quando ci presentarono - ricordo, erano gli anni Novanta, una sera alla Lutèce di piazza Carlina - e gli proposi di entrare nella squadra di TorinoSette. Non me la sento di aggiungere altro: Luca lo saluto con l'articolo che uscirà domani sul Corriere . È difficile scriverlo, dire addio a un amico è sempre triste, figuratevi cos'è farlo davanti a un pubblico di lettori. Ma glielo devo, e spero che ne venga fuori un pezzo di quelli che a lui piacevano, e mi telefonava per dirmelo. Ma domani la telefonata non arriverà comunque, e pensarlo mi strazia. Ciao, Luca. Funerale sabato 25 alle 11,30 in Duomo.
Se posso: la danese "1864" come serie di genere storico, l'americana "True crime" per l'impatto sul genere poliziesco, l'inglese "Peaky blinders" per il genere drammatico, l'americana "Band of brothers e la tedesca "Das boot" a pari merito come serie di guerra, l'inglese "Cobra" per il genere thriller e l'inglese "Black mirror" per il genere science fiction.
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