Dopo Diabolik, le serie tv: quei due sacripanti di Luca Beatrice e Luigi Mascheroni portano una seconda mostra al Museo del Cinema, e stavolta mi pare che facciano centro. Insomma, Diabolik, con tutto il rispetto, era un soggetto un po' fané, molto boomer, e in fondo c'entrava relativamente con il cinema, anche a voler considerare certi filmetti del tutto dimenticabili. Le serie tv, invece, sono - oltre che pop, in linea con l'indole dei curatori - il nuovo cinema, un'altra forma di cinema: lo ha confermato pure Carlo Chatrian, nuovo direttore del Museo, che ha così dato l'imprimatur alla sua prima uscita pubblica per presentare la mostra, intitolata «#Serialmania». Sono cinema, e sono di moda, e piacciono a tutti, compresi i giovani, anzi soprattutto ai giovani, dunque la mostra funzionerà. E lo merita, perché è ben ideata, ben presentata, piena di cose curiose. Un percorso attraverso dodici serie che, a parer dei sacripanti, sarebbero le più significative, le più archetipe, le più iconiche, insomma, quella roba lì. Ovvio il giochino del «ma non c'è...» che coinvolgerà ogni visitatore, e penso che renderà la visita più interessante, consentendovi di litigare con gli amici su quale serie è stata ingiustamente omessa, e quale invece non meritava. Per dire, su dodici serie esposte, l'unica che avrei scelto anch'io sono i "Simpson", mentre deploro che "Friends" sia stato preferito a "Big Bang Theory", e protesto vibratamente per l'esclusione di qualsiasi serie crime e/o legal drama: io non avrei mai rinunciato a "Miami Vice", che ha inaugurato un nuovo corso e una nuova iconografia; e naturalmente pretenderei almeno una rappresentaza dei franchise "Csi" e "Ncis", per non dire della decana e amatissima "Law & Order. Special Victims Unit". A questo punto, suggerirei al Museo di attuare l'idea che il presidente Ghigo ha soltanto accennato come boutade: indire un referendum tra i visitatori perché compilino e introducano in apposita urna la top ten delle loro serie preferite. Scommetto che non ci sarebbero due top ten uguali.
Sergio Ricciardone non c'è più. Se n'è andato così, ad appena 53 anni, dopo breve malattia. Venticinque anni fa, insieme con i colleghi deejay Giorgio Valletta e Roberto Spallacci, aveva fondato l'associazione X-Plosiva e inventato Club to Club. Il resto è storia. La storia di una piccola serata itinerante nei club torinesi che man mano cresce, evolve, cambia pelle, fino a diventare C2C, uno dei più importanti festival musicali d'Europa e del mondo . Sergio, che di C2C era il direttore artistico, era un mio amico. Ma era molto di più per questa città: un genio, un visionario, un innovatore, un pioniere. E un innamorato di Torino, che spesso non l'ha compreso abbastanza e ancor meno lo ha ricambiato. Un'altra bella persona che perdiamo in questo 2025 cominciato malissimo: Ricciardone dopo Gaetano Renda e Luca Beatrice. Uomini che a Torino hanno dato tanto, e tanto ancora potevano dare. Scusatemi, ma adesso proprio non me la sento di scrivere altro.
Se posso: la danese "1864" come serie di genere storico, l'americana "True crime" per l'impatto sul genere poliziesco, l'inglese "Peaky blinders" per il genere drammatico, l'americana "Band of brothers e la tedesca "Das boot" a pari merito come serie di guerra, l'inglese "Cobra" per il genere thriller e l'inglese "Black mirror" per il genere science fiction.
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