Stamattina ho pubblicato, in coda al post "Privati, venite a sostenere la cultura: vi prenderemo a calci sui denti", le rudi precisazioni di un dipendente della Villa della Regina. Preciso che il commento, seppur comparisse come anonimo - e pertanto non pubblicabile - era però firmato nel testo. Ho preso per buona l'asserzione dello scrivente, che dichiara di chiamarsi Gianpaolo Simone.
Potete leggere nel post i commenti del signor Simone, e la mia risposta. Però voglio riportare anche qui la mia considerazione finale, che va oltre lo specifico episodio. Trovo davvero allarmante che lo Stato - nella persona dei suoi rappresentati sul territorio - abbandoni a se stessi i propri dipendenti, senza prenderne le difese e costringendoli a tutelarsi da sé, come sanno e come possono. Ecco il testo del mio commento:
Lo scritto del signor Simone è una
drammatica conferma della colpevole noncuranza con cui Stato ed enti
pubblici gestiscono il patrimonio, le attività e il personale. Quando si
parla di "Stato assente", anche questo si intende, non soltanto le
criticità patologiche di certe zone del Paese. Non si riesce infatti a
immaginare un'azienda privata che, a fronte delle lamentele di un
utente, anziché rispondere nel merito tramite gli organi preposti,
ignori la questione, e lasci a un singolo dipendente l'iniziativa di
replicare usando - anche comprensibilmente - espressioni risentite che
possono appartenere all'individuo, ma certo non alla pubblica
amministrazione. Lo Stato, in questa come in altre mille vicende, si
chiama fuori, guarda da un'altra parte, si disinteressa. E da tanto
menefreghismo nascono le guerre private fra cittadini. Nel caso
specifico, il signor Simone evidentemente non si è sentito tutelato,
come dipendente, dai suoi superiori. E' triste, ma accade ogni giorno:
lo Stato abbandona al loro destino non soltanto i suoi beni, ma anche i
suoi servitori. Avrei molto apprezzato una risposta della destinataria
della mail, la sovrintendente Gabrielli. Non per me, e neppure per gli
Amici di Villa della Regina, i cui sentimenti non mi riguardano; bensì
per i dipendenti che dovrebbero sempre, nella buona e nella cattiva
sorte, sentire la presenza autorevole del loro datore di lavoro, lo
Stato.
E aggiungo: dipendenti dello Stato, quindi miei. Ecco, proprio non mi va come vengono gestiti i miei dipendenti. Io li pago, esigo che lavorino bene e non accetto di essere da loro insolentito: ma neppure consento che chi ho incaricato di gestirli (e a tal fine è da me stipendiato) li abbandoni a se stessi. Se ritengo di aver subito un disservizio, come contribuente ho ampio diritto di lamentarmi. Ma le risposte devono arrivarmi - con la massima sollecitudine - non dal singolo impiegato, bensì dai dirigenti responsabili, che anche per questo mantengo.