"Lo skyline che si vede dal Lingotto non è paragonabile
a quello che si vede da Rho Fiera" (Sergio Chiamparino espone i motivi per cui il Salone del Libro dovrebbe restare a Torino)
Torino debole, Milano in rilancio: si apre ufficialmente la stagione della caccia al Salone |
In attesa delle novità che potranno sortire dall'incontro in corso adesso in Regione fra Chiamparino, Parigi, Appendino e Leon, l'ennesimo canaio sul possibile "scippo del Salone", nato stavolta dalle dichiarazioni "rassicuratrici" di Franceschini, merita qualche approfondimento su protagonisti, metodi e fini della vicenda. Premettendo però che non c'è nulla di nuovo: il "trasferimento a Milano" è lo spauracchio che accompagna il Salone in pratica fin dalla prima edizione. Anzi, l'ipotesi che siano gli editori a organizzare direttamente il Salone di Torino circola normalmente quando si discute del futuro della Fondazione. E soltanto un fesso o un ipocrita escluderebbe che, una volta messe le mani sul Salone, gli editori non lo portino dove meglio gli garba.
L'odore del sangue
Il progetto di un "altro" Salone è ancora un diverso step. E mi chiedo perché riprenda forza proprio adesso. Ma soprattutto, davvero ha ripreso forza? Al netto delle chiacchiere, la notizia è vaga: il presidente dell'Aie, Federico Motta, avrebbe espresso l'intenzione di creare un Salone alternativo a Milano, con la benedizione della neoeletta giunta e del confermato assessore alla Cultura Filippo Del Corno.Ora, vorrei capire cos'è davvero successo, cosa si sono davvero detti Motta e Del Corno: magari siamo al livello di buone intenzioni, wishful thinking o ciancia al caffé. O magari no.
Se invece il progetto è concreto, credo che almeno in parte sia una conseguenza della debolezza politica di Torino, in questo momento. In Regione c'è un Chiamparino in affanno e sotto fuoco amico, in Comune un'Appendino che deve ancora dimostrare tutto. Nella giungla della politica, un vecchio leone ferito e una recluta spaesata e leggerina sono un facile bersaglio per i milanesi in pieno rilancio: e si sa che l'odore del sangue eccita i predatori.
La mediazione di Gian Arturo Ferrari
Penso se ne renda conto pure Franceschini. Il ministro - dicono - avrebbe chiesto informalmente a Gian Arturo Ferrari - uomo forte dell'editoria italiana, ora vicepresidente della Mondadori, e da sempre vicino al Salone - di trovare una mediazione che eviti lo scisma milanese. Però i predatori potrebbero anche fregarsene dell'evidente contrarietà di Franceschini, apertamente schierato in difesa di Torino: le cose cambiano rapidamente, a Natale Francis potrebbe non essere più ministro.Quanto conta l'Aie?
Altro elemento da approfondire è il peso dell'Aie. L'Associazione Italiana Editori. Detta così, sembra roba forte. Ma se appena uno parla con qualcuno del settore, capisce che non è una formidabile macchina da guerra. I grandi editori (e pure i piccoli) si fanno gli affari propri in piena autonomia. Come associazione di categoria, a quanto capisco, l'Aie più che altro si occupa di gestire i rapporti con il ministero dell'Istruzione per il ricco mercato dei libri scolastici. Da lì a pensare che abbia la forza per dirottare le case editrici, specie quelle che contano, da un Salone all'altro, come pecore al pascolo, ce ne passa. Mondadori e compagnia stampante, se del caso, decideranno di restare a Torino, o di puntare su Milano, in base ai loro interessi di bottega. Ad esempio, potrebbero preferire Torino per il semplice motivo che (e qui il Chiampa ha ragione) ha "costi complessivi più bassi che Milano".Al servizio degli editori
Ne consegue che il primo pensiero di Torino dovrebbe essere (da sempre) offrire un "prodotto Salone" adeguato alle esigenze degli editori. Su ciò dovrebbero riflettere i politici e la Fondazione per il libro, anziché riempirsi la bocca con le "nuove formule". Le nuove formule servono solo se gradite agli editori. Piaccia o non piaccia, è così. Se sono soddisfatti, vengono e il Salone si fa. Sennò, nisba. E se decidono di non venire, non lo decidono perché lo vuole l'Aie, ma perché gli conviene così.Falsi obiettivi e rivoluzioni pericolose
Temo invece che la discussione che si aprirà nei prossimi giorni attorno al Salone degenererà nella solita baruffa sul nome del nuovo direttore. Baruffa ridicola: la scelta del successore di Ferrero sarebbe importante soltanto se si trovasse un altro Ferrero, ovvero una figura di pari autorevolezza e credibilità, che raccolga la fiducia degli editori e sia in grado di confrontarsi con loro da pari a pari. Io non ne vedo in giro. E se non c'è un Ferrero, va bene chiunque, purché non sia un cretino e non abbia uzzoli rivoluzionari. Perché, sia chiaro, al Salone del Libro non è il momento di rivoluzioni: in un frangente tanto delicato, l'editore chiede rassicurazioni. Se gli cambi le carte in tavola, scappa altrove. E' pur sempre un industriale, la cui fiducia (leggi "presenza") è subordinata a certezze e a strutture collaudate e redditizie. Cito ancora Ferrero (16 maggio 2016): "Questa necessità assoluta del cambiamento per il cambiamento stento a capirla. Gli editori sono preoccupati, perché questa formula gli va benissimo. Dico a chi verrà di studiare bene il dossier e non decidere in un'ora come è stato fatto".Ovviamente non studieranno niente e sputeranno sentenze a raffica.
L'allarme sottovalutato
Lo "scippo milanese" è stato, da sempre, l'ossessione di Rolando Picchioni: l'ex presidente lanciava l'allarme un giorno sì e l'altro pure. L'aveva fatto anche in Commissione cultura il 10 marzo dell'anno scorso, nemmeno tre mesi prima di essere messo alla porta: Milano s'era accaparrata il titolo di "Capitale europea del libro 2015" e Picchioni era preoccupato perché Torino, anziché vigilare, si perdeva "in una squallida batrocomiomachia", ovvero - Picchioni ha studiato - una battaglia fra topi e rane. In effetti già allora al Salone si respirava un'aria pesante, e Rolly era ansiato dalla presenza nel CdA di quattro milanesi su cinque componenti.All'epoca gli avversari di Picchioni (numerosi anche tra i politici) consideravano la sua "sindrome milanese" null'altro che un diversivo per distogliere l'attenzione dalle difficoltà di bilancio che cominciavano a ribollire. Le difficoltà c'erano. Ma a quanto pare anche la minaccia milanese era reale. Adesso le difficoltà sembrano superate, ma la minaccia resta.
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