I protagonisti della tenebrosa vicenda: in primo piano i moschettieri; alle loro spalle, da sinistra, l'Editoria italiana, Motta e Richelieu |
Un tempo, quando lavoravo nei giornali, il giorno dopo qualche disastro irrimediabile entravo in redazione con la disperante certezza di essere soltanto all'inizio: da quel momento in poi la tragedia si sarebbe cronicizzata, sarebbe divenuta amara incombenza quotidiana, routine del dolore o della vergogna, sfilacciata cronaca delle infinite conseguenze nefaste di un evento fatale, di un atto incomparabilmente stolto.
Mi preme quindi di precisare che non intendo passare l'estate al capezzale del Salone. Ho una vita mia, per fortuna, e prospettive migliori che dedicare ogni minuto dei prossimi tre mesi a raccogliere informazioni minimali e voci dal sen fuggite. Preferisco, come ben sapete, il rumore del mare.
Quando me ne resterà il tempo, tipo adesso, giocherò al piccolo cronista. Ma non aspettatevi una maniacale attenzione: stuoli di giornalisti provvederanno alla bisogna, meglio e con più passione.
Però qualcosa posso ancora scrivere, prima di uscire. Dal mio modestissimo e limitato punto di vista, beninteso.
Riunione continua
Allora: domani i vertici della Fondazione per il Libro arriveranno dimissionari all'assemblea dei soci. Intanto, stamattina ci saranno incontri e frenetiche consultazioni. Si rivedranno i vertici di Regione e Comune: i quattro moschettieri (il vecchio Chiampa conte de La Fére, la recluta Chiara D'Artagnan, l'assessore alla Cultura Aramis de Paris e l'assessore ai Musei e alle Fontane Porthos Leon) più, immagino, Paolo Richelieu, che non può mancare in questo simpatico romanzo di cappa e spada.
Ferrari non pervenuto, ma viene Motta
Trapela anche la notizia - non confermata - che oggi l'influente Gian Arturo Ferrari della Mondadori avrebbe dovuto vedere il sindaco di Torino. Ferrari, a detta di certi espertoni che ho sentito, sarebbe l'eminenza grigia del "wonderful complotto" degli editori, che avrebbe nell'ad mondadoriano Ernesto Mauri il vero capofila e nel presidente dell'Aie Federico Motta l'esecutore materiale. Ma sono dietrologie da corridoio. uno è libero di crederci o non crederci, tanto non significano nulla. Ciò che conta è che l'appuntamento con Ferrari è stato, a quanto mi dicono, cancellato. Benché Ferrari oggi sia a Torino, questo lo so per certo.
I vertici piemontesi in compenso si vedranno con Motta. Che viene per sentire cosa possono offrirgli. Quelli dell'Aie hanno la palla del match point, e faranno rosolare i torinesi a fuoco lento. Tanto otterranno ciò che vogliono, in un modo o nell'altro. Anche il tempo è dalla loro parte. Tanto Milano ha già pronto il progetto per il Salone alternativo, senza finanziamenti pubblici, da fare la prossima primavera: annichilirebbe comunque ciò che resta di Torino. No. I signori del libro non hanno fretta.
Il dilemma degli editori
Più che altro, adesso gli editori devono mettersi d'accordo fra di loro per capire che cosa effettivamente vogliono. Al loro interno le posizioni sono variegate: i grandi sono pronti per il Salone tutto nuovo a Milano, mentre i piccoli vorrebbero restare a Torino dove alla fin fine spendevano meno, si trovavano bene e si sentivano protetti. E tutti - o quasi - si rendono conto di un'intrinseca debolezza interna: se chi organizzava il Salone torinese non c'è più (e la Fondazione per il Libro virtualmente non c'è più), chi organizzerà materialmente il Salone 2017, non importa se a Torino, a Milano o a Canicattì? L'Aie? Maddài: l'Associazione editori non è in grado. Ci ha provato e ci prova, a sfornare dei simil-Salone, con esiti, come dire?, controversi. E questo lo sanno benissimo anche gli editori.
Metti che... Una fantasiosa ipotesi
In quel dato di fatto - l'inadeguatezza organizzativa dell'Aie - albergano le residue e minimali speranze di Torino: pur azzoppata e sputtanata, la Fondazione per il Libro possiede, al momento ancora unica in Italia, il know how e le professionalità per mettere in piedi una fiera di quel genere, con lo stesso peso, la stessa autorevolezza, la stessa forza. Quindi, mi faccio uno scenario tutto mio.
1) Metti che Regione e Comune scelgano l'unica strada praticabile, ovvero cedere il marchio del Salone all'Aie e farsi da parte, all'unica condizione - non siamo nella posizione di imporne molte, di condizioni - di tenere la manifestazione a Torino.
2) Metti che alcune figure che lavorano in Fondazione, al di sopra dei sospetti e di accertate qualità ed esperienza, si propongano, o vengano coinvolte, nel nuovo progetto: tanto più che a quel punto il Salone sarebbe in mano ai privati, e i privati possono scegliersi i dirigenti secondo buon senso, e non in base a bandi la cui affidabilità è ampiamente dimostrata dalle recenti vicende.
3) Metti che i ministeri prendano atto del cambio di gestione, e ottengano rassicurazioni sul versante della "promozione della lettura", l'unica mission del vecchio Salone che davvero li interessa e che li aveva spinti a entrare come soci generosamente paganti; e di conseguenza decidano di mantenere la dotazione complessiva di 600 mila euro all'anno.
4) Metti che nei prossimi giorni la magistratura non mandi al gabbio qualcun altro.
5) Metti che...
Beh. Se tutti questi "metti" diventassero per grazia di Dio e volontà della Nazione una realtà fattuale, forse - e dico forse, periodo ipotetico dell'irrealtà - il Salone di Torino potrebbe ancora restare a Torino. Dove, non so: pure quello è un bel problema. Al momento, non riesco a prevedere che ne sarà del Lingotto Fiere; e stento a immaginare soluzioni alternative pronte ed equivalenti. Ci vorrebbe un'alzata d'ingegno, uno sforzo di fantasia creativa, un'intuizione originale e visionaria. Merce che, di questi tempi e sotto questi cieli, scarseggia anzichenò.
Comunque, da quel che leggo, i nostri baldi amministratori hanno altre idee per la testa: oggi, quando si vedranno, discuteranno (cito un'autorevole fonte giornalistica) di "nomi e assetti". In pista per succedere a Milella ci sarebbero Gianni Oliva e Maurizia Rebola. Magnifico, Io, intanto, mi vedo con il mio amico Pino per decidere come spartirci l'Impero della Cina.
E il territorio? Oh già, c'è pure il territorio...
Resterebbero comunque aperte alcune questioncelle magari secondarie per il grande mondo, ma non trascurabili per la piccola Torino. Penso alle attività della moritura Fondazione sul "territorio": il Salone Off che raggiungeva le famose periferie, il Salone 365 che ne prolungava l'effetto nell'arco dell'anno, le iniziative in tutto il Piemonte, le collaborazioni con le scuole e il tessuto culturale locale. Bene o male, si facevano; e alcune - dicono - funzionavano pure. Dubito però che agli editori gliene freghi qualcosa. Ma dovrebbe fregargliene, e molto, al presidente del Piemonte; al sindaco di Torino tanto attento alle periferie; e magari pure al sindaco della Città metropolitana, non appena madamin Appendino si renderà conto di esserlo. Come Nicola II quando scoprì che lo Zar e lo Czar erano la stessa persona.
Il destino bussa: chi va ad aprire?
Domani, come nella Quinta di Beethoven, il destino bussa alla porta del fu Salone: l'assemblea dei soci deve approvare il bilancio, ma certo di ben altro discuteranno. Intanto, la presidente Milella presenterà le dimissioni. Che saranno accettate.
Dopodiché, si naviga a vista. Che un dio li illumini, se un dio c'è e non intende proseguire nel suo progetto di perderli facendoli impazzire.
Ieri, comunque, nel gran tintinnar di manette, la dichiarazione d'ordinanza che usciva dal Palazzo era "stiamo gestendo la situazione". Come disse il montone alle pecore mentre andavano al macello.
ma coinvolgere Paolo Verri? uno bravo, fuori dai discorsi politici, torinese, ex del Salone...
RispondiEliminaforse aspiro a troppo? e poi chi glielo farebbe fare...