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IN GINOCCHIO DA TE. UN'EXIT STRATEGY PER IL SALONE

Scrivo a caldo, mentre a Librolandia tintinnano le manette.
L'invitabile conclusione dell'inchiesta giudiziaria ha portato all'arresto di quattro persone per turbativa d'asta. Ferma la presunzione d'innocenza per gli indagati, di fatto ciò segna il punto finale del Salone del Libro torinese, da oggi clinicamente morto.
Però.
Però, se io fossi il presidente della Regione o il sindaco di Torino - e non vorrei esserlo neppure per un miliardo di dollari - tenterei ancora una carta disperata. Chiamerei gli editori dell'Aie, che a quest'ora si fregano le mani e progettano il loro Salone milanese, e gli direi: "Cari editori, volevate il Salone? Eccovelo. La Fondazione non c'è più (perché virtualmente la Fondazione non c'è più: se davvero un funzionario della Fondazione passava informazioni a Gl Events, la responsabilità, se non altro oggettiva e politica, ricadrà fatalmente sulla Fondazione tutta, a cominciare dai vertici, NdG) e quindi il Salone del Libro è decapitato: prendetevelo, fatelo voi, fatelo come vi pare. Purché lo facciate a Torino, vi cediamo pure il marchio. Ha pur sempre un valore d'avviamento, no?".
Magari, nella denegata ipotesi di trovarmi negli scomodi panni dei nostri pubblici amministratori, vincendo il mio naturale orgoglio aggiungerei pure un "per favore, per pietà..."
Dubito che funzioni. Ma tanto vale provare. In fondo non abbiamo più niente da perdere. Non il Salone (che è perso comunque), e men che meno l'onore.

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