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IL GOVERNO PROVVISORIO E L'ARMATA BRANCALEONE: UN POST PESSIMISTA


Scusatemi, ma non condivido l'ottimismo. Perché sono un uomo cattivo, senza dubbio. 
Ed è pur vero che faccio ancora credito ai politici di un minimo di raziocinio, per cui penso (più che altro spero) che sottotraccia si stia lavorando così da sapere in tempi brevi (ma brevi veramente, non il 28 luglio) almeno chi potrà essere il presidente della (forse) Fondazione per il Libro.
Ma adesso, qui e ora, siamo alla pochade. Qui e ora, quanto accaduto ieri all'assemblea dei soci della Fondazione certifica non soltanto il decesso clinico del Salone del Libro a Torino, ma anche la definitiva uscita di Torino dal ruolo di grande città capitale della cultura per entrare, fra gli applausi della folla imbesuita, nel fantastico mondo del circo equestre.
I fatti li trovate sui giornali. Non dappertutto, però, è registrato il canaio che ha aperto l'assemblea dei soci. Qualcuno, giustamente, si è risentito per la frase, attribuita a Massimo Lapucci, segretario generale della Fondazione Crt nonché ex CdA del Salone. La controversa dichiarazione (“dovrebbero andare tutti in galera, lì dentro è uno schifo”) ieri è stata peraltro lestamente smentita dall'interessato.
Quando gli animi si sono placati, si è discusso della gestione provvisoria della Fondazione, essendo dimissionari la presidente Milella e l'intero CdA.

Ancora tu? Preferivo non vederti più

La Milella si è offerta di occuparsene lei, dell'interim. Respinta con perdite. Madamin Appendino ha tirato fuori gli unghioli, ed è stata irremovibile: niente Milella (l'ex presidente, tra l'altro, dovrebbe aver ricevuto la comunicazione giudiziaria - atto in realtà oggettivamente dovuto - per l'inchiesta sulla turbativa d'asta).
Le incerte sorti della Fondazione sono affidate al “governo provvisorio” dei tre consiglieri d'amministrazione uscenti: Piero Gastaldo (Compagnia di SanPaolo), Roberto Moisio (rappresentante della Città Metropolitana) e Luciano Conterno (in rappresentanza della Regione).
Il resto è noto: nelle intenzioni (e nelle proposte) degli enti locali, si aprirà una nuova trattativa con il Lingotto Fiere (e stavolta senza farsi fregare), la parte commerciale del Salone (il ramo d'impresa che si era pappato Gi Events) sarà nelle mani degli editori, mentre la parte culturale (la “direzione artistica”, insomma) resterà alla Fondazione, o a ciò che diventerà la Fondazione.
Tutto qui. Vuoto pneumatico, insomma.

Le tappe dell'agonia

Per capire l'immane inadeguatezza dell'Armata Brancaleone a gestire una crisi epocale non servono tante elucubrazioni: basta riportare un minimo florilegio di dichiarazioni.
Andiamo con ordine. E' martedì 12 luglio: il giorno degli arresti.
L'Associazione degli editori emana il seguente ultimatum: “Il Consiglio Generale dell’Associazione Italiana Editori (Aie) ha dato mandato al presidente Federico Motta di contattare in tempi rapidi il presidente della Regione Piemonte e il sindaco della Città di Torino per verificare le loro proposte sul cambiamento della governance e della gestione sia della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura che del Salone del Libro. Il Consiglio Generale ha dato inoltre parere favorevole a un modello di società per lo sviluppo di manifestazioni fieristiche ed eventi per la promozione del libro a livello nazionale e internazionale. Sono gli editori che vogliono e devono gestire il Salone del Libro, dovunque esso sia. La manifestazione deve far parte di un progetto molto più ampio di sviluppo e promozione della lettura per tutto l'anno".
L'indomani, 13 luglio, l'Armata Brancaleone tiene un consiglio di guerra, al termine del quale diffonde il seguente proclama: “Durante l’incontro di questa mattina in Comune abbiamo avviato un dialogo positivo e costruttivo con l’Aie. Nei prossimi giorni il Comune di Torino e la Regione Piemonte presenteranno una proposta congiunta per affidare ad Aie la gestione delle prossime edizioni del Salone del Libro, non escludendo che si possano individuare anche ulteriori nuovi spazi espositivi. Abbiamo dato agli uffici legali del Comune e della Regione il mandato di verificare, anche a fronte dei recenti eventi e della vendita del padiglione 5 del Lingotto, la possibilità di disdire il contratto pluriennale di locazione. Domani, durante l'assemblea dei soci della Fondazione, le istituzioni proporranno il nome di un presidente che possa avviare questa nuova fase ipotizzata con l’Aie, finalizzata a conservare e rafforzare il Salone del Libro quale patrimonio della Città di Torino e della Regione”.
Prendete nota. Si IMPEGNANO a presentare agli editori, il giorno dopo, il nome del presidente.
 E "nei prossimi giorni" un'ipotesi sul progetto e la sede. Per capire l'aria che tira, i due zuavi massimi lasciano intendere che la sede potrebbe essere Torino Esposizioni. Le probabilità di mettere all'onor del mondo quel rudere entro nove mesi sono prossime allo zero, ma che importa? Il pubblico applaude, tanto poi l'orchestra attacca la marcetta e entrano gli acrobati.

Il nome della rosa

Sul nome del presidente, invece, per ventiquattr'ore la città si dedica come al solito al giochetto, inutile quanto amato, del toto-nomine, e se ne sentono di tutte. Mancano soltanto il Gobbo di Notre Dame e Topo Gigio. Intanto le poche persone serie rimaste su piazza tentano di convincere Gian Arturo Ferrari: il quale giustamente risponde che vadano avanti loro perché a lui scappa da ridere. Però l'ipotesi viene democraticamente e partecipativamente dibattuta nell'agorà della nuova democrazia: e tra i lungimiranti commenti che mi capita di leggere su Fb, uno in particolare mi fa capire che, se tutto va bene, siamo morti. Una quidam de populo, immagino ragazzetta senz'altro esperta di social ma forse meno di mercato editoriale, si duole: “Ma sempre questi vecchi? E bastaaaa”, con varie faccette. Ciò conferma che Ferrari – come qualsiasi altra persona intelligente – fa benissimo a mandarli tutti a cagare.

Impreparati all'esame

Tra consultazioni a Palazzo e consultazioni on line (e sappiamo quanto la qualificata opinione della gggente influisca oggi sulle scelte strategiche di certa politica) trascorrono lietamente la notte di mercoledì 13 e la mattinata di giovedì 14. Viene il momento della verità: ieri, all'assemblea dei soci, l'Armata Brancaleone si presenta impreparata come uno studente fuori corso di Economia e commercio all'esame di statistica.
1) Il presidente Milella è dimissionario, e loro non hanno pronto un nome per sostituirla.
2) L'intero CdA è dimissionario, e loro non hanno pronti i nomi per sostituirlo.
3) Gli editori pretendono un progetto chiaro e definito (perché gli editori ce l'hanno già, un progetto: chiaro e definito e da realizzare a Milano) e loro non hanno uno straccio di progetto, solo vaniloqui e due volonterose assessore che "lo stanno scrivendo".
Elevate preci al vostro dio.

Della sede vi ho già detto.

Dichiarazioni sbarazzine

E intanto che fanno, i prodi eroi dell'Armata Brancaleone? Danno aria ai denti.
Vi voglio riportare, da un giornale on line di stamane, questo surreale siparietto: «Entro settembre vogliamo essere pronti» è l’intenzione della sindaca, Chiara Appendino: «La fiera del trentennale ci sarà e sarà qui a Torino, a maggio», dice all’unisono con Sergio Chiamparino (mi piace tanto, l'immagine dei due che “dicono all'unisono”, mi vedo la scena: Giordana che dà il “pronti via” e loro due partono in coro, come alle elementari quando ci facevano recitare le poesie di Angiolo Silvio Novaro, NdG). «Entro fine mese nomineremo il nuovo presidente della Fondazione del Libro». No, scusa, ho capito bene? Entro fine mese? Così ad agosto, sotto l'ombrellone, preparate con calma il bando per il direttore e poi... Ah già, è vero, manca anche il direttore. E mi chiedo se in qualche testolina alberghi ancora l'idea di nominarlo tramite salvifico e partecipativo bando. Me li vedo, gli editori, che aspettano il vostro bando... 

See you in September

Eppure madamin Appendino è convinta: “Entro settembre vogliamo essere pronti”. Entro settembre gli editori vi hanno già mandati a stendere e sono lì che allestiscono i padiglions di Rho Fiera. Lo vuoi capire, santa donna, che questi sono pronti, hanno il gioco in mano, e fingono di ascoltare i vostri balbettii un po' per non passare per brutaloni, e un po', immagino, perché incuriositi, tipo “vediamo cos'altro riescono a inventarsi per farci ridere”.

Vedi il trentennale e poi digli addio

Ma commovente e illuminante per il futuro della città è soprattutto la seconda dichiarazione, quella “all'unisono”: “La fiera del trentennale ci sarà e sarà qui a Torino, a maggio”. Ci vorrebbe Altan: tizio (tizia) con l'ombrello nel culo che dice “la situazione comincia a chiarirsi”.
Massì che te la faranno fare, la tua “fiera del trentennale”. L'ultimo bacio, e poi l'addio. D'altronde, ho letto da qualche parte che, nella frenesia di muovere la lingua, qualcuno ipotizzava di strappare agli editori un impegno scritto per tenere il Salone a Torino per ben tre anni. Grazie, sahib. Et après moi le déluge.

Chiamalo Salone o chiamalo Gino, per gli editori cambia poco

Ma anche no. Milano ha le risorse, le capacità, la volontà politica ed economica. Gli editori hanno il progetto e la forza. Torino ormai ha soltanto gli occhi per piangere, e – unica gemma – il marchio: il nome “Salone del Libro” è di nostra proprietà, e gli editori non potranno utilizzarlo senza il nostro consenso. A meno che non glielo regaliamo, si sa mai...
Però devo ricordare a lorsignori – specie a madamin Appendino, che all'epoca dei fatti entrava trionfalmente al liceo – quanto avvenne nel 1998, allorché fu estromesso il fondatore del Salone, Guido Accornero, che era ancora proprietario del marchio.
Anche allora la crisi fu grave (ma non c'era nessuno al gabbio: altri tempi), e anche allora il Salone rischiò di finire a Milano. Ma restiamo al discorso del marchio: non potendo legalmente utilizzare il termine “Salone”, i pubblici amministratori dell'epoca pensarono bene di cambiare il nome in “Fiera del Libro”: e le edizioni dal 1999 al 2008 si chiamarono così: “Fiera” del Libro, non “Salone”. Sapete che c'è? Non se ne accorse nessuno. La gente continuò ad andarci, come prima e più di prima.
Ora, se io fossi un grande editore – poni, Mondadori-Rizzoli – e volessi farmi il mio Salone del Libro a Milano, l'ultimo dei miei pensieri sarebbe come chiamarlo. Con i mezzi di cui dispongo, con la potenza economica e mediatica che ho, posso chiamarlo Sagra del Libro, Festa del Libro, Librolandia, Libroshow; o anche Pino, Gino o Rino. La gente ci andrà comunque.

Tempus fugit, stultus cogitat

Quindi, gli editori non hanno bisogno di Torino. Ci hanno offerto una possibilità. Non so se per pietà (dubito), per convenienza, per buona creanza o per necessità politica. Tipo non far incazzare Franceschini, benché adesso, con i nuovi assetti torinesi, Francis forse si incazzerebbe un po' meno. Vogliamo dircela tutta? I ministeri e Intesa sono entrati nel Salone, mettendoci fior di soldi, anche per evitare a Fassino una figura di palta prima delle elezioni. Visti i risultati, potevano risparmiarseli.
Ad ogni modo, una possibilità gli editori cattivoni ce l'hanno offerta. E questi falabracchi torinesi se la prendono comoda? “Entro settembre vogliamo essere pronti”? Ma ti rendi conto di che cosa ti fanno dire? Davvero da quelle parti pensate che aspetteranno i nostri comodacci?
A qualcuno forse sfugge che l'anno scorso, quando capitò il casino della fuga di Giulia Cogoli, tutti riconobbero allarmatissimi che ritrovarsi senza direttore a metà settembre era una iattura epocale, tale da compromettere la sopravvivenza stessa del Salone. Tant'è che richiamarono d'urgenza Ferrero, rompendogli i coglioni in vacanza e facendolo lavorare gratis per un altro anno, nel nome della salvezza della patria.
Morale. Da settembre dello scorso anno, una volta rabberciata la baracca, nessuno ha provveduto a cercare un nuovo direttore. Nessuno ha messo giù un progetto (a onor del vero, il 29 aprile scorso Moisio una bozza di proposta, tanto per suggerire due idee, l'ha mandata a Comune e Regione, ma dubito che l'abbiano letta). 

L'unico pensiero era far quadrare i conti. E - beninteso - assicurarsi che nulla turbasse la quiete dei franciosi di Gl.
Quanto al presidente, ah lì la Milella era decisa a restare, con tanto di pareri legali: e adesso – solo adesso che tintinnano le manette – scopre che “si è chiusa una fase” e rassegna le sue dimissioni. 
E l'Armata Brancaleone, ovviamente, non è in grado di trovare uno straccio di successore nell'arco di 48 ore. Si prende una quindicina di giorni per pensarci su, e per tutto il resto promette che “saremo pronti entro settembre”. La guerra lampo dei fratelli Marx.
Ve lo figurate un Presidente della Repubblica che quando cade il governo dice: “Bene bene, intanto ce ne andiamo tutti al mare e al ritorno, belli abbronzati, qualcosa ci inventeremo”. La mattina dopo al Quirinale arriva la neurodeliri e se lo porta via.

L'alternativa disperata: cavalleria contro carri armati


E' pur vero che dovevano svegliarsi prima. Adesso c'è ben poco da fare, per uscire dalla merda. Comunque la guardi, siamo morti. Se anche ubbidiremo al diktat degli editori, dandogli tutto quello che vogliono, otterremo ben poco: sì, per la gioia di Chiampa e madamin Appendino l'edizione “del trentennale” forse si farà a Torino. Dopodiché, entra in campo la regola dell'ombrello. Liberi tutti. E se oggi c'è uno di lorsignori, uno solo, disposto a giurare sulla propria testa che fra tre anni il Salone sarà ancora qui, si faccia avanti. Voglio segnarmi il nome del coraggioso.
In alternativa, Torino potrebbe arroccarsi. Possedendo il marchio, possiamo usarcelo per conto nostro. Gli editori si facciano la loro Fiera/Sagra/Festa del Libro a Milano; e noi ci facciamo il nostro unico e non clonabile Salone del Libro a Torino. Alcuni precedenti storici (i Seicento della brigata leggera inglese contro i cannoni russi a Balaclava, la cavalleria polacca contro i panzer tedeschi nel '39) non lasciano spazio a soverchie illusioni sull'esito dello scontro. Ma almeno finiremmo in gloria, dopo aver attraversato la valle della Morte.


Nota per gli eventuali lettori: non ho messo le diciture delle immagini. A ragion veduta. Non volevo rubarvi il piacere di scrivervele voi, a vostro piacere e fantasia.

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