Lo dico subito: "Giorgio De Chirico. Ritorno al futuro" è una mostra che merita; e che con ogni probabilità riporterà alla Gam un buon pubblico, a conferma di una ripresa che s'è già intravista con i Macchiaioli.
Merita, e non tanto per De Chirico in sé: quelle esposte alla Gam sono le opere dell'ultima, discussa stagione del "pictor optimus" - la cosiddetta "Neometafisica" degli anni Settanta - certo non la più apprezzata dalla critica e dal mercato. Difatti i dipinti in mostra sono tutti proprietà della Fondazione De Chirico, ampiamente sfruttati per mostre a raffica, specie in Abruzzo, da Campobasso 2015 a Osimo 2018; ricorrenti anche i nomi di Lorenzo Canova - curatore a Torino insieme con l'autoctono Riccardo Passoni - e dell'associazione organizzatrice, la MetaMorfosi di Pietro Folena (chissirivede...) ultimamente assai presente a Torino (sua la modesta mostra dei disegni di Michelangelo alla Pinacoteca Agnelli, e ha messo lo zampino pure nel Leonardo della Sabauda).
Il De Chirico torinese è però una mostra co-prodotta: e non soltanto per quanto riguarda il budget - circa 450 mila euro, fifty-fifty tra MetaMorfosi e Gam - ma pure per l'idea di fondo: rispetto alle precedenti esposizioni, qui hanno pensato un'operazione originale, accostando ai lavori di De Chirico quelli degli artisti - soprattutto italiani - che negli anni estremi del Maestro lo elessero a modello ispiratore. Ne viene fuori un bel gioco di rimandi e citazioni, per una mostra double-face che ripercorre una stagione assai felice delle nostre arti figurative: da Rotella a Schifano, da Nespolo a Tano Festa, da Ceroli a Pistoletto, da Tadini ad Adami, la mostra di De Chirico alla Gam funziona pure a prescindere da De Chirico. E mi verrebbe da scrivere "soprattutto a prescindere", se nessuno si offende.
Merita, e non tanto per De Chirico in sé: quelle esposte alla Gam sono le opere dell'ultima, discussa stagione del "pictor optimus" - la cosiddetta "Neometafisica" degli anni Settanta - certo non la più apprezzata dalla critica e dal mercato. Difatti i dipinti in mostra sono tutti proprietà della Fondazione De Chirico, ampiamente sfruttati per mostre a raffica, specie in Abruzzo, da Campobasso 2015 a Osimo 2018; ricorrenti anche i nomi di Lorenzo Canova - curatore a Torino insieme con l'autoctono Riccardo Passoni - e dell'associazione organizzatrice, la MetaMorfosi di Pietro Folena (chissirivede...) ultimamente assai presente a Torino (sua la modesta mostra dei disegni di Michelangelo alla Pinacoteca Agnelli, e ha messo lo zampino pure nel Leonardo della Sabauda).
Il De Chirico torinese è però una mostra co-prodotta: e non soltanto per quanto riguarda il budget - circa 450 mila euro, fifty-fifty tra MetaMorfosi e Gam - ma pure per l'idea di fondo: rispetto alle precedenti esposizioni, qui hanno pensato un'operazione originale, accostando ai lavori di De Chirico quelli degli artisti - soprattutto italiani - che negli anni estremi del Maestro lo elessero a modello ispiratore. Ne viene fuori un bel gioco di rimandi e citazioni, per una mostra double-face che ripercorre una stagione assai felice delle nostre arti figurative: da Rotella a Schifano, da Nespolo a Tano Festa, da Ceroli a Pistoletto, da Tadini ad Adami, la mostra di De Chirico alla Gam funziona pure a prescindere da De Chirico. E mi verrebbe da scrivere "soprattutto a prescindere", se nessuno si offende.
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