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TODAYS, SECONDO ME. SOLITA STORIA, MA IN FONDO CHISSENEFREGA?

Ma che noia che barba che noia. Ancora una volta, per il quinto anno, presentano il programma di Todays Festival, e ancora una volta mi toccherebbe di ripetere le solite cose, il mio solito punto di vista, le mie solite riserve. Io passerei volentieri, a 'sto giro.
Però il dovere di cronaca mi impone di non trascurare un evento comunque importante per la città. E dunque tenterò di riassumere quanto già più volte ho scritto. Vi consiglio, se vi interessa, di leggere i link che troverete in questo pezzo: quelli su Todays portano tutti a post che risalgono all'era-Fassino, a riprova che le mie opinabili opinioni - come sempre - non cambiano con i cambi della guardia nelle stanze del Potere.

Massimo rispetto per il cartellone

Intanto ci tengo a ribadire che Todays, di per sé, è tutt'altro che un brutto festival. Ha una personalità, un'idea, una linea artistica: che rispecchiano in pieno la personalità, le idee e la linea artistica del direttore, Gianluca Gozzi.
Premetto: Gozzi non è al top delle mie simpatie personali e certi suoi atteggiamenti non mi piacciono, così come mi auguro che a lui non piacciano i miei. Ma questo non ha nessunissima importanza: per fortuna a questo mondo non dobbiamo necessariamente piacerci tutti. Però Gozzi lo apprezzo come organizzatore musicale, e gli riconosco molti meriti professionali, a cominciare dalla competenza, dal rigore e dalla coerenza delle scelte; anche quelle che io non condivido. Lui costruisce il "suo" Todays esattamente come costruiva la "sua" programmazione allo Spazio 211 e come costruiva "Spaziale", di cui Todays mi sembra la prosecuzione con maggiori mezzi. Il cartellone è curioso e ardito, senza concessioni al mainstream corrivo, attento alla qualità, e propone scoperte più che conferme a un pubblico che si presume attento, curioso e aperto alle novità. Magari può sembrare una programmazione di nicchia, e certo non insegue le masse - che d'altronde negli spazi del festival non ci starebbero - ma questo non è un grosso problema: Todays gode di un generoso sostegno economico da parte del Comune, che tramite la Fondazione Cultura è a tutti gli effetti l'organizzatore del festival. 
Il budget totale quest'anno si aggirerà intorno agli 800 mila euro: di questi, si prevede di recuperarne 200 mila con la biglietteria; 200 mila arriveranno dal Comune, tramite le risorse della Fondazione Cultura (se la vendita dei biglietti dovesse fruttare più di 200 mila euro, il contributo comunale verrà ridotto della parte d'incasso eccedente tale soglia); e i restanti 400 mila provengono dalle fondazioni bancarie e dai soliti sponsor, in particolare l'immancabile Intesa SanPaolo. Non c'è Iren: in compenso si aggiungono Mercato Centrale, nuovo partner fisso di molte imprese comunali, e altri privati come Terna e Industrial Village.

Quando il Comune fa l'impresario

E qui arriviamo alla mia solita obiezione, frutto di un personale convincimento, se volete pregiudiziale o "ideologico"; però mio, e in quanto tale lo rivendico. Io sono contrario all'idea dell'ente pubblico - in ultima analisi la politica - che fa impresario, che gestisce direttamente un evento di spettacolo. A farla semplice, non mi vanno gli assessori-Barnum, gli assessori (e i funzionari comunali) che si credono David Zard. 
Non lo dico da oggi: vi ricordo che Todays lo inventarono Fassino e Braccialarghe con il preciso intento di creare un festival "proprietà del Comune". Ricordo inoltre che la faccenda non piacque né punto né poco all'allora consigliera d'opposizione Appendino, che si esibì in una veemente interpellanza (che vi linko qui) sulle modalità di quell'operazione, in particolare proprio sul finanziamento tramite la Fondazione Cultura che all'epoca era la sua bestia nera.
A differenza di Chiarabella, io non ho cambiato idea. Qui siamo lontani dal concetto virtuoso di "sussidiarietà", per cui l'ente pubblico sostiene le attività svolte da soggetti privati (associazioni, fondazioni o quant'altro) quando queste abbiano una forte valenza sociale e/o artistica, o comunque siano "necessarie" al tessuto culturale della città, senza essere economicamente autosufficienti; magari perché non "di massa", o con biglietti a basso prezzo, se non gratuite (com'era Traffic, per dire). Insomma: io capisco che il Comune, se lo ritiene utile, organizzi un Jazz Festival, dato che difficilmente un impresario privato tenterebbe, a rischio d'impresa, un progetto con scarsissime probabilità di risultare remunerativo o quantomeno di pareggiare. Capisco meno che un Comune organizzi un festival rock - seppure con caratteristiche interessanti - quando non mancano in città analoghe esperienze private assai diverse fra loro (penso a Stupinigi Sonic Park, Flowers o Gru Village, ma pure a fenomeni ormai davvero internazionali quali Futur Kappa, Movement e Club to Club) e che nell'insieme si rivolgono a quasi ogni tipologia di spettatori: con un sostegno pubblico molto ridotto (secondo il principio di sussidiarietà) se non addirittura nullo. E badate bene: si reggono in piedi lo stesso. Affidandosi al mercato.
Le mie riserve resterebbero, ma meno convinte, qualora il Comune, organizzando direttamente Todays, almeno imponesse prezzi popolari: sarebbe certo una forma di concorrenza sleale nei confronti dei privati non foraggiati (o foraggiati poco) e dunque inaccettabile per un liberista; ma se non altro favorirebbe il tanto auspicato "accesso" delle fasce deboli. Todays, però, pratica i prezzi di mercato: 30 euro per il main stage, 15 per i concerti secondari. E dunque il problema non si pone.
Va però anche sottolineato, a onor del vero, che Todays occupa un periodo - l'ultima settimana di agosto - che un organizzatore privato non considererebbe commercialmente propizio, in città.

Il monopolio delle sponsorizzazioni

Vabbè, direte: comunque una buona metà dei soldi di Todays sono degli sponsor. Giusto. E infatti un'altra mia riserva, ieri come oggi, riguarda il reperimento delle sponsorizzazioni: è chiaro che, rispetto ai privati, il Comune, in quanto tale, ha un peso maggiore per convincere l'eventuale sponsor (spesso una sua partecipata, come Iren o Smat) a impegnarsi in un esborso economico a sostegno delle proprie manifestazioni. In ultima analisi drena risorse, perché il privato che dà i soldi per il festival voluto da Palazzo Civico avrà meno possibilità (o volontà) di sostenerne un altro che gli venga proposto da un imprenditore privato. Eccovi il link a un post dell'aprile 2016 in cui la questione viene analizzata con riferimento a un'iniziativa "ramazza sponsor" di cui, in realtà, poi non ho più sentito parlare. 

Il "richiamo europeo"

L'ultimo aspetto che non mi piace di Todays è la narrazione che ne impone l'organizzatore, ovvero il Comune, insistendo a definirlo pomposamente "un festival di richiamo europeo". E' un'enfatizzazione a mio avviso eccessiva, almeno a giudicare dai dati di cui dispongo. "Di richiamo europeo" si può definire semmai l'imminente FuturKappa, che annuncia la presenza quest'anno di spettatori da cento nazioni, e che per l'edizione 2018 ha dichiarato 50 mila spettatori di cui il 35 per cento dall'estero (87 nazioni); o al limite Club to Club (nel 2017 dichiarava un 20 per cento di spettatori internazionali) e Movement (8 per cento di stranieri di 24 nazionalità nel 2017). Fermo restando che si tratta pur sempre di cifre fornite dagli organizzatori, sta di fatto che l'unico dato in proposito che oggi ho sentito durante la presenzione di Todays mi parla di un 42 per cento del pubblico da fuori Piemonte: ottimo risultato, ma aspetterei ancora un po' a parlare di "richiamo europeo". 
Ecco, ho detto tutto. Fino all'anno prossimo sto a posto. Poi, per me, facciano quel che gli pare. A un sacco di gente Todays piace (l'anno passato vennero dichiarati 30 mila spettatori nei tre giorni), e io in quel periodo non sono mai a Torino, quindi non vedo perché farmene un problema. Il livello dei malestri cittadini s'è alzato di molto, e se proprio voglio incazzarmi posso trovare motivi ben più seri. E poi sono in piena fase peace & love, per cui auguro a Gozzi e al suo festival ogni soddisfazione. E se a me non piace, a chi frega? A me zero. A loro, suppongo, molto di meno.

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