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FETICCIO E REALISMO: I RELIQUIARI DI PALAZZO MADAMA

Testa-reliquiario di San Giorgio

Non ho difficoltà a confessarmi di parte: sono innamorato perso dell'arte medievale. Tutta, ma soprattutto quella "minore" e possibilmente segreta: gli affreschi di Aimone Dux nella chiesetta fra i campi a Villafranca Piemonte, per rendere l'idea, mi affascinano molto più dell'intera produzione di Damien Hirst. Di conseguenza anche Palazzo Madama - o meglio, la collezione del piano terreno - è al top nella mia personale classifica dei musei torinesi.
Dico questo per onestà verso chi mi legge: valutate alla luce di questa mia partigianeria il totale entusiasmo per la nuova mostra "Ritratti d'oro e d'argento" con cui Palazzo Madama da oggi festeggia la riapertura. Si tratta, in effetti, di una mostra piccola (una ventina di opere esposte in Sala Atelier) e in apparenza pure "specialistica": busti-reliquiario prodotti fra il XII e il XVI secolo da artigiani orafi d'area alpina occidentale. Detta così, non alletta. Per questo dovete vederla: vi cadranno gli occhi, se la bellezza significa ancora qualcosa per voi. 
Non troverete qui lo sfarzo di certi reliquiari barocchi, che ho sempre considerato capolavori-splatter, resti umani nascosti in capsule d'oro e smeraldi, roba che agli scomunicati come me fanno pensare soprattutto a una puntata di Narcos. Quelli in mostra a Palazzo Madama mi appaiono invece per quello che sono per una mentalità laica: altissimi esiti di un'arte austera e rigorosa, come le genti alpine di cui sono espressione. I volti dei santi e delle sante sono ritratti idealmente realistici. Ritratti, voglio dire, di uomini e donne vere, volti di persone che potrebbero davvero essere nobili e contadini, soldati e fanciulle, eremiti e peccatori di quell'epoca, di quei luoghi.  Fatico in effetti a credere nell'esistenza di undicimila vergini partite dalla Britannia per accompagnare la principessa Orsola a farsi ammazzare da Attila; e confesso anche le mie riserve circa l'effettiva storicità di una Legione Tebana in giro per le Alpi, soggetto comunque perfetto per un film sulla scia di "King Arthur" o "L'ultima legione".
Però sono pronto a credere che i lineamenti di quel san Teobaldo di Alba siano davvero quelli di un uomo che è vissuto sulla terra, con il suo carico di vita, di pensieri, di gioie e di dolori; e oggi pare ancora che mi osservi, in tutta la sua fisica concretezza.
Certo, la mia mentalità mi impedisce di apprezzare la spiritualità connessa ai reliquiari. Mi ha sempre spaventato il culto macabro superstizioso delle "pie frodi", quali sono perlopiù le cosidette reliquie medievali; senza contare le derive grottesche quali i diciotto prepuzi di Gesù che si conservavano in diciotto diverse città d'Europa, con gran divertimento di Voltaire che su queste cose ci andava a nozze. E mi capita talora di domandarmi se il proprietario quelle ossa conservate in teche d'oro e d'argento mai avesse immaginato che i propri resti avrebbero avuto una simile sorte.
Ma in fondo il culto delle reliquie non è tanto dissimile da riti laici oggi pacificamente e modernamente accettati: dal mercato dei memorabilia delle star della musica e del cinema, all'urna con l ceneri del caro estinto sulla mensola del salotto. 
E dunque lasciamo perdere l'inutile dibattito, ciascuno è libero di credere ciò che vuole. Resta il valore di una mostra che è il risultato di dieci anni di lavoro, e ha il merito di catalogare e far conoscere piccoli capolavori altrimenti ignorati, o invisibili, conservati nei tesori di chiese e cattedrali, o in musei ingiustamente ignorati dal grande pubblico. La curatrice Simonetta Castronovo e il suo team con questa mostra onorano una delle funzioni di ogni museo, direi la principale seppur talora trascurata: l'attività scientifica, la ricerca, lo studio. Anche per questo motivo "Ritratti d'oro e d'argento" è nel suo piccolo una mostra esemplare.
E dunque umilmente io mi faccio da parte, e lascio alla parola di chi ne sa il compito di illustrare la mostra nei suoi contenuti. Leggete qui sotto, vi raccomando: è pieno di cose interessanti.

La mostra dossier "Ritratti d’oro e d’argento", a cura di Simonetta Castronovo, allestita nella Sala Atelier di Palazzo Madama dal 5 febbraio al 12 luglio, presenta una galleria di busti reliquiario dal Trecento al primo Cinquecento, provenienti da tutte le diocesi del Piemonte e raffiguranti santi legati alle devozioni del territorio e alle titolazioni di determinate chiese locali, oltre ad alcuni esemplari dalla Svizzera e dall’Alta Savoia.
Documentati già dall’XI secolo per contenere la reliquia del cranio di certi santi, i busti sono a tutti gli effetti dei ritratti in oreficeria, solitamente in rame o in argento dorato, spesso arricchiti da pietre preziose, vetri colorati e smalti. Una produzione specificatamente medievale, in cui convivono il gusto per il ritratto di tradizione classica - di qui la presenza di dettagli relativi all’acconciatura o all’abbigliamento - e le pratiche devozionali teorizzate da alcuni ecclesiastici e filosofi del XII secolo, secondo cui la contemplazione dell’immagine di un santo, realizzata con materiali preziosi, poteva condurre il fedele verso l’elevazione spirituale. I busti e le teste reliquiario si configurano quindi come opere di valenza doppia: sia opere d’arte sia ricettacolo delle reliquie dei santi che rappresentano e in quanto tali oggetto della venerazione dei fedeli. Il Piemonte e l’area alpina contano un numero molto elevato di queste testimonianze per il periodo XII-XVI secolo, soprattutto in rapporto alle altre regioni d’Italia. La mostra vuole documentare questa ricchezza, anche stilistica, cercando di comprendere le ragioni del successo di questa tipologia nel nostro territorio.
I busti e le teste di reliquiario sono presentati in ordine cronologico, dal più antico, la santa Felicola dell’abbazia di Sainte-Marie d’Aulps (Haute-Savoie) – una santa gotica e sorridente, che guarda alla scultura delle cattedrali, tra Parigi e la Francia settentrionale, negli anni di regno di Filippo il Bello -, fino alla santa Margherita del Musée d’art et d’histoire di Ginevra, un busto ligneo del 1500 circa, improntato al nuovo realismo di radice fiamminga. Tra questi due estremi, scorre una galleria di volti, opera di artisti di estrazioni culturali diverse, che mostrano le tante sfaccettature di questa tipologia, dal gotico, al tardogotico, al naturalismo pieno della seconda metà del Quattrocento. Di pari importanza alla qualità degli oggetti, le loro storie: incontriamo santi nati e vissuti in Piemonte, patroni di alcune delle principali cattedrali della regione, come san Teobaldo di Alba, san Giovenale di Fossano, sant’Evasio di Casale, san Secondo di Asti e san Venanzio di Sarezzano, accanto a santi più “internazionali”, come san Giorgio e san Maurizio, peraltro centrali nella devozione della dinastia sabauda, o sant’Orsola, con un busto ligneo intagliato e dipinto realizzato a Colonia e arrivato in Piemonte come dono di Manfredi di Montafia, uno dei tanti mercanti “lombardi” attivi nel nord Europa nel Medioevo.
Nella vetrina centrale, il busto in argento di Giove (II-III sec- d. C.), capolavoro del Museo Archeologico Regionale di Aosta e ritrovato in uno scavo archeologico al Piccolo san Bernardo, introduce il tema dei modelli: furono infatti anche i busti in metallo di età romana, raffiguranti divinità olimpiche o imperatori, i primi modelli cui guardarono gli orafi medievali per realizzare i ritratti dei santi.
L’esposizione, organizzata in partnership con il Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta e con la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d'Aosta, in collaborazione con la Consulta Regionale per i Beni Culturali Ecclesiastici Piemonte e Valle d’Aosta, nasce da un’iniziativa condivisa con i musei facenti parte della rete internazionale Art Médiéval dans les Alpes, fondata nel 2001, che lavora su progetti riguardanti il patrimonio artistico alpino, tanto sul fronte piemontese e valdostano che su quello francese (Savoia) e svizzero (Vaud e Valais), con riferimento, quindi, ai confini storici del ducato di Savoia. I musei e le istituzioni coinvolte nel progetto sono: Susa, Museo Diocesano d’Arte Sacra; Aosta, Museo del Tesoro della Cattedrale e Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta; Annecy, Musée - Château; Chambéry, Musée Savoisien; Bourg-en-Bresse, Musée Monastère royal de Brou; Ginevra, Musée d’Art et d’Histoire; Sion, Musée Historique du Valais.
La mostra si lega, quindi, a una serie di esposizioni che apriranno nello stesso periodo sui due versanti delle Alpi: tutte ruotano attorno al tema delle arti preziose nel ducato di Savoia nel Medioevo sotto il titolo comprensivo di "Artistes et artisans dans les États de Savoie au Moyen Âge. De l’or au bout des doigts".
Nello specifico, Palazzo Madama di Torino e il Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta (dal 27 marzo al 2 giugno) approfondiranno nelle rispettive esposizioni il tema dell’oreficeria medievale, presentando una trentina di busti-reliquiario in metallo prezioso dal XII al XVI secolo: le opere realizzate in Piemonte sono presentate a Palazzo Madama, mentre quelle di produzione aostana saranno esposte presso il Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta. In concomitanza, dal 5 febbraio al 5 aprile, il Museo Diocesano d’Arte Sacra di Susa espone, con il titolo "La Cassa di Sant’Eldrado: nuove scoperte", gli oggetti rinvenuti all’interno della preziosa Cassa di Sant’Eldrado, capolavoro dell’arte romanica custodito nella Parrocchiale della Novalesa, con una ricostruzione dell’urna.
La mostra è corredata da due cataloghi: il primo, a cura di Simonetta Castronovo e Viviana Vallet, edito dall’Artistica Editrice, raccoglie le schede delle opere in mostra a Palazzo Madama e al Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta; il secondo volume di studi, in francese ed edito da Silvana Editoriale, riunisce invece gli interventi di tutti i musei - italiani, francesi e svizzeri - che hanno partecipato al progetto, con saggi sull’oreficeria, le vetrate e il mobilio intagliato nell’antico ducato di Savoia.

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