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I TURBAMENTI DEI GIOVANI HOLDEN: LA CAVALLERIZZA E LA FINE DELL'INNOCENZA

I "traditori": Chiarabella e l'assessore Iaria hanno dato il via libera al progetto di riqualificazione della Cavallerizza

E se vai all'Hotel Supramonte e guardi il cielo
Tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo
E una lettera vera di notte, falsa di giorno
E poi scuse, accuse e scuse senza ritorno...

Mi tornavano alla mente i versi immortali di Faber, ieri pomeriggio, mentre seguivo in streaming l'ultimo psicodramma in Consiglio comunale - ultimo fino al prossimo stanco sequel - sulla Cavallerizza.
I fatti più o meno li conoscete, e ne conoscete il mesto epilogo (se non lo conoscete, informatevi qui): dopo sette anni di baruffe e barricate, di occupazioni e proclami al popolo, di mozioni ed emozioni, di pianti strepiti e stridor di denti, di feste danzanti e assemblee militanti, il cerchio s'è chiuso e gli incendiari fattisi pompieri (mi riferisco al vecchio detto popolare, honi soit qui mal y pense) si sono arresi alla dura realtà dei fatti. E i fatti sono questi: per lasciare la Cavallerizza all'uso pubblico secondo il modello caldeggiato dagli ex-occupanti e dai consiglieri M5S che li sostengono, servirebbero 10 milioni per riscattarla (decartolarizzare) dalla Cassa depositi e prestiti, e altri 50 per riqualificarla; ma i soldi il Comune non li ha, né li ha trovati. Con le chiacchiere e i proclami barricadieri non si stampano i biglietti di banca. E allora? Le rivoluzioni sono come le guerre, per farle servono i soldi. Se non ci sono i soldi per ricomprarsi e ristrutturarsi la Cavallerizza senza piegarsi alle bieche logiche capitalistiche, altra via non resta che tornare mogi mogi al 2016, a Fassino e al suo diabolico Masterplan reincarnato nel "Progetto Unitario di Riqualificazione" (P.U.R.) voluto da Chiarabella e dal fido assessore Iaria (quello che somiglia a Beruschi). Si chiama realismo. E sì, fa male. Ma poi ci si abitua.
Contro l'inviso "Pur" ieri pomeriggio in Consiglio comunale è andata in scena la battaglia degli emendamenti, l'Ultimo Ostruzionismo dei dissidenti irriducibili, quel manipolo di cinquestelle o ex cinquestelle decisi a non dismettere gli ideali della rivoluzione.
Ho seguito il dibattito per oltre quattro ore, e non me ne pento: è stata un'esperienza sì avvilente, ma anche istruttiva, a tratti appassionante, talora comica, talaltra patetica. Certo indescrivibile nella sua sfaccettata complessità: per cui vi suggerisco caldamente di ascoltare la registrazione che linko qui. La discussione sulla Cavallerizza comincia alla terza ora, minuto 42: scorrete il cursore fino a quel punto, mettetevi comodi e godetevi il gran varietà. A me, m'ha lasciato commosso e attonito.
Commosso perché gli psicodrammi mi commuovono sempre, finché non comincio a ridere. E attonito per il variegato tappeto di sentimenti espressi dagli interpreti della pantomima, il rutilante repertorio di archetipi freudiani sciorinato nella lunga rappresentazione. Intervento dopo intervento, balza in scena un'intera umanità crepuscolare di Donne in Fiamme e Uomini Soli: il Migliorista Responsabile, il Che Guevara in Sedicesimo, la Compagna Che Sbaglia, la Prefica della Rivoluzione, l'Anima Bella, l'Indignata Speciale, l'Illuminato sulla Via di Damasco, l'Amaro Constatatore, il Gongolante Io-Lo-Avevo-Detto, il Conservatore Esuberante, quello che Non-Capite-Un-Cazzo, quello che un cazzo non l'ha mai capito, la Cercatrice di Colpevoli, quello che Tutti-Colpevoli-Ma-Non-Io, quello che Formidabili-Quegli-Anni, quella che I-Migliori-Anni-Della-Mia-Vita, quello che la Ragion di Stato, quello che non c'è mai stato e se c'è stato dormiva. Meravigliose le reciproche lezioni di democrazia tra cinquestelle, e ho addirittura sentito con queste mie orecchie grillini dissidenti accusare i grillini appendiniani di non saper manco leggere gli atti. Una sorta di autoscienza di gruppo che certamente sarà di gran giovamento per tutti. 
Le rese dei conti sono sempre uguali, quando il gran dramma della Storia come pure il modesto flusso dell'esistenza dell'individuo precipitano nelle bassure della miseria umana, del rinfaccino personale, del palleggio delle responsabilità: dal bunker della Cancelleria agli sgambetti in ufficio, c'è sempre chi accusa l'amico di ieri, chi tradisce e chi scappa e chi muore da prode con il brando in pugno, il giapponese nella giungla, il fante tedesco a Stalingrado, l'asserragliato a oltranza, quello che a un certo punto grida "non ci prenderete vivi!" e frega definitivamente anche chi non aveva nessuna intenzione di morire per un ideale, specie se altrui.
Ma non vorrei essere un Omero che trasforma una scaramuccia fra pastori nel più gran conflitto dell'umanità. In fondo, quello di ieri è stato soltanto un blues da piangere, una canzone della triste rinuncia ("la forza che ti lega è grande più di te, l'anello al collo si stringe sempre più: non dare più la colpa al mondo o a lei, per la rinuncia triste a quello che non sei...). Un altro film sulla fine dell'adolescenza, un altro romanzo di formazione con tanti Holden Caulfield costretti dall'età e dalla necessità a inabissarsi nel cupo mondo degli adulti, un mondo in cui la realtà non fa sconti e non ha più senso domandarsi dove vadano d'inverno le anatre di Central Park. 
La Cavallerizza è la loro Isola Non Trovata: come una splendida utopia è andata via e non tornerà. Nessuna epica, soltanto la melancolia gozzaniana che accompagna l'addio dulcamaro alla giovinezza. Giovinezza politica, nel caso specifico, Ma sempre giovinezza. Con i suoi incanti, i suoi dolori, le sue ingenuità, i suoi slanci, le sue contraddizioni. 
Semmai dispiace - ma forse la mia è solo invidia... chi non vorrebbe tornar fanciullo? - che un manipolo di adulti si sia regalato a spese pubbliche cinque anni di giovinezza supplementare nel parco giochi di Palazzo Civico. Ma cosa fatta, capo ha. Il futuro ci attende, e sono certo che vedremo di peggio, perché al peggio non c'è mai limite.
Qui, in chiusura, mi piace citare l'intervento di uno dei cinquestelle appendiniani, la maggioranza della maggioranza che ha accettato - non so quanto obtorto collo, credo molto - il nuovo corso sulla Cavallerizza. Si tratta di Fabio Versaci, non dimenticato presidente del Consiglio comunale famoso per la sua oratoria, per le sue alzate d'ingegno e per la sua militanza dura e pura. Fedele ora alla linea appendiniana e dunque bersagliato anch'egli dagli strali dei dissidenti irriducibili, Versaci prende la parola e ci va giù come un fabbro (nella registrazione è a 5 ore e 48 minuti circa: ancora una volta vi raccomando l'ascolto, ne vale davvero la pena). Nella veemente concione versaciana ci sono due passaggi che meritano una speciale citazione, perché entrambi strettamente connessi al tema dell'ingresso nell'età adulta. 
Il primo riguarda i soldi: "Se pure la Città avesse avuto i dieci milioni per decartolarizzare la Cavallerizza mi sarei battuto per non farlo: e non perché non voglio, ma perché Torino è in ginocchio per la pandemia, e dire 'prendo dieci milioni per decartolarizzare la Cavallerizza' sarebbe follia totale, sarebbe non vedere quel che ci sta attorno". E conclude, stremato e senza più remore: "Sono anni e anni che si discute di un argomento che interessa allo 0,03 per cento della popolazione". S'è rotto i coglioni persino lui.
Trovo notevole lo spunto statistico, seppur forse troppo severo: su circa 866 mila residenti credo che quelli interessati ai travagli della Cavallerizza siano più di 260. Magari sono mille.
Però il passaggio epocale dell'orazione versacica nasce dall'osservazione che i consiglieri cinquestelle più vicini all'occupazione, e che più si sono occupati della Cavallerizza, in tanti anni non sono riusciti a proporre un percorso alternativo credibile, una soluzione concreta al problema. Il che induce Versaci a concludere che "se un consigliere comunale mi porta le stesse soluzioni di un occupante, vuol dire che abbiamo un problema".
Ed ecco che per la prima e forse ultima volta nella vita - mai dire mai! - mi scopro in perfetta sintonia con il consigliere Fabio Versaci. In effetti, qui a Torino abbiamo un problema. Anzi, più di uno. E li paghiamo tutti. In contanti.

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