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SECONDA LETTERA DALLA SCOGLIERA: I CONSERVATORI E I CRETINI


Nella casa sulla scogliera i giorni passano placidi, sollecitando a nobili imprese quali cucinare spigole e orate al cartoccio, o intraprendere finalmente la lettura di Notre Dame de Paris troppo a lungo rinviata. Non sapevo cosa mi perdevo (a non leggere Hugo, intendo, chè spigole e orate le cucino da sempre): è un'esperienza (leggere Notre Dame, il cartoccio è questione di gusti) che consiglio a chiunque, e agli architetti specialissimamente.

Ciononostante, il maestrale dei giorni scorsi mi ha rianimato dall'estiva abulia, e un intervento del mio amico Sergio Toffetti sul Corriere di qualche giorno fa (intervento nel quale, se ho ben inteso, Toffetti sottolineava ancora una volta le difficoltà della destra a trovare una chiara linea culturale e figure in grado di interpretarla al vertice delle istituzioni cittadine) ha risvegliato la mia attenzione suggerendomi alcune considerazioni che ho pubblicato stamane sul Corriere medesimo.

Nel mio articolo sostengo che in realtà Cirio, a costo talora di scontentare gli alleati più rancorosi, finora ha sposato una politica culturale "di destra" invero apprezzabile, se non altro perché non fa troppi danni: il che è moltissimo, se comparato ai malestri di alcune passate amministrazioni, regionali e non solo. Infatti Cirio ha mantenuto al loro posto figure che erano state nominate dalla giunta di centrosinistra - mi riferisco esplicitamente a Giulio Biino alla presidenza del Circolo dei Lettori e Evelina Christillin a quella dell'Egizio - in base alla banale ma preziosa considerazione che costoro hanno ben operato e che le istituzioni non si governano con l'ideologia, bensì con la competenza e la professionalità.

Non dico che tutte le scelte ciriesche (e poggesche) in ambito culturale mi siano piaciute, questo sarebbe troppo; ma ciò voglio sottolineare nell'articolo è che quella seguita è una "politica di destra" in quanto conservatrice. 

Il termine "conservatore" che si attribuisce ai partiti di destra non è di per sé negativo, tutt'altro, quando si tratta di conservare ciò vale e funziona. In politica, come nella vita, se non si hanno sottomano soluzioni migliorative - ma davvero migliorative - non è saggio né utile devastare l'esistente per il gusto di intervenire e piantare le proprie bandierine in un deserto che, tacitianamente, gli improvvidi "rinnovatori" hanno pure il becco di chiamare "pace", o meglio "efficienza", "progresso", se non addirittura "smantellamento del sistema".

Questa consapevolezza - così dura da raggiungere per i nostri politici narcisisti ed autoreferenziali - è a mio avviso il lascito positivo (l'unico, direi) dei cinque anni dei pentastellati, partiti lancia in resta per rivoltare come un calzino anche le politiche culturali torinesi, e che proprio sulle politiche culturali hanno messo a segno i più tragicomici fallimenti di una scalcagnata improvvisazione al potere.

La lezione, severa ma giusta, è servita se oggi, in ideale concordanza bipartisan, l'assessore alla Cultura del Comune Purchia non si stanca di ripetere che "noi non dobbiamo inventare nulla, hanno già inventato tutto coloro che ci hanno preceduti; noi dobbiamo governare l'esistente, quando possibile migliorarlo, e intervenire là dov'è necessario"; mentre l'assessore alla Cultura della Regione, la leghista Poggio, conferma che "non c'è motivo di cambiare quanto di buono ci ha lasciato che c'era prima di noi".

In tal senso, è di destra - nel senso di "conservatrice" - la politica culturale tanto della Regione, quanto del Comune. E sia chiaro: conservare non significa immobilismo, anzi. Le cose cambiano, e le istituzioni cambiano con esse. Oggi le cose cambiano rapidamente e altrettanto rapida dev'essere la capacità delle istituzioni di adeguarsi e se possibile precorrere i tempi: per riuscirci non serve portare nel cuore questo o quel partito, è molto più utile alla bisogna avere nel cranio una dose ragionevole di materia cerebrale. E poiché i servi di partito sono legione mentre scarseggiano sempre più i detentori di adeguate masse cerebrali, mi pare logico che un politico saggio (di destra o di sinistra, non fa differenza) preferisca tenersi ben stretti ("conservare", per l'appunto) i rari cerebrodotati, e si sforzi di scongiurare finché possibile l'incombente prevalenza del cretino tesserato.

A proposito di cretini, mi si consenta un'ultima notazione. Proprio in virtù della suddetta prevalenza, sono certo che non mancherà chi, non avendo capito un cazzo, in base all'articolo sul Corriere e a questo post mi assegnerà simpatie per la destra, come talora mi sono state attribuite simpatie per la sinistra, o financo per i cinquestelle. I cretini sono per loro natura servi, i servi necessitano di un padrone e dunque non concepiscono l'indipendenza del pensiero. Sicché i servi di sinistra che ho perculato mi hanno etichettato a destra, mentre i servi di destra in seguito al medesimo trattamento perculatorio mi hanno inserito fra i nemici di sinistra. E i cinquestelle mi hanno classificato come nemico tout court. Lorsignori si fanno troppo onore: io non considero nessuno un nemico, e semmai ne volessi uno me lo sceglierei di ben altra levatura. Dunque, che posso dirgli? Se ne vadano affanculo, mentre io vado a infornare le orate. 

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