Il sovrintendente Mathieu Jouvin |
Da fine giugno Jouvin è torinese a tutti gli effetti. Ha preso casa in corso San Maurizio e ci si è trasferito con la moglie e i due figli, un maschio di 11 anni e una bambina di 3. Fa la spesa al mercato di piazza Santa Giulia, predilige i banchi dei produttori di formaggi e verdure. Mi dicono che è un ottimo cuoco, e dunque affronto con spirito agonistico l'idea di convitarlo a casa mia – non amo i ristoranti - per un primo contatto ravvicinato.
La giornata è solatìa, si può pranzare in giardino. Jouvin arriva con una bottiglia di borgogna bianco di un piccolo produttore di Courgis, eccellente. Io ho preparato trofie al pesto con basilico di Prà di produzione propria, e un polpo in umido alla pugliese che mi è riuscito morbidissimo in virtù di prolungata cottura a fuoco minimo. Il sovrintendente apprezza, ma intanto mi mostra con orgoglio di chef la foto della sua ultima creazione, un lussureggiante piatto di linguine con scampi e pomodori.
Jouvin parla un buon italiano - “imparato ascoltando l'opera”, si schermisce – io un arrugginito francese. Conversiamo di cucina, di filosofia, di Asterix, delle incruente corride di Provenza alle quali Jouvin da ragazzo assisteva accompagnato dai genitori, appassionati di tauromachia. Un accenno alla stagione estiva all'Arsenale che volge al termine - “Alla fine è andata abbastanza bene, mancava un po' di pubblico a fine di luglio, faceva troppo caldo...” - e poi, servito il polpo in umido, la conversazione scivola nell'intervista. E tanto vale partire da dove brucia.
Com'è finita con il bando per il nuovo direttore amministrativo, bloccato dopo il ricorso dei sindacati che lo giudicano irregolare?
Non è finita. Aspetto il parere scritto del collegio dei revisori e a quello mi atterrò. Il paradosso è che intanto la procedura per il direttore amministrativo è ferma, ma di conseguenza è bloccata pure quella per assumere un capo-macchinista. E sa dove sta l'assurdo? Che i sindacati chiedono quell'assunzione da ben cinque anni. Capisce? Nel “Dizionario filosofico” Voltaire scrive che “la discordia è il male più grande del genere umano, e l'unica cura è la tolleranza”. Voglio dire: ancora non padroneggio alla perfezione tutti i meccanismi amministrativi italiani, e posso sbagliare, ma prima di presentare esposti e comunicati ci si potrebbe parlare, chiarirsi...
Qualcuno cerca lo scontro?
Io preferisco il confronto. E' necessario in qualsiasi gruppo sociale, per arrivare a un compromesso accettabile da tutti. Ma va così: ho già capito che a Torino il Regio è sempre sotto i riflettori, nel bene e nel male. La pressione è forte, per fortuna mi sento sostenuto dal Consiglio d'indirizzo, e anche il sindaco è molto presente, il suo è un appoggio concreto. D'altronde gli inizi sono sempre difficili, devi studiare l'ambiente, incontrare le persone, capire chi fa cosa, e come, quali sono le abitudini e le tradizioni... Un teatro è una microsocietà di trecento persone.
Molto complicata.
Complicata o complessa? Non so. Da una parte ci sono tradizioni che sono l'anima di un teatro, dall'altra le esigenze della contemporaneità. Si tratta di valorizzare gli aspetti positivi di entrambe. Però sono fiducioso: ho trovato al Regio vera passione e orgoglio per il proprio lavoro. Più che in tanti teatri francesi.
Questo per gli aspetti positivi. E quelli negativi?
Il problema con i sindacati, fondamentalmente, è che non posso oggi procedere con tutte le assunzioni previste dalla nuova pianta organica: non ci sono i soldi. E non so cosa succederà nei prossimi mesi, con il covid che forse torna o forse no, l'inflazione che fa volare i costi, le bollette... Al Regio solo di luce e riscaldamento quest'inverno pagheremo un milione e mezzo di euro in più. E gli aumenti si abbattono su un modello economico ancora fragile. Trovare nuovi sponsor privati adesso è vitale, ma non si fa in un giorno. Il Regio incassa fra tre e quattro milioni in sponsorizzazioni: non è poco, ma servirà di più. D'altra parte non è questo il momento per aumentare il prezzo dei biglietti: perderemmo intere fasce di pubblico. In Consiglio ne abbiamo discusso, come ipotesi; ma nessuno è d'accordo.
L'aspetta una stagione difficile...
Spesso si pensa al sovrintendente come a uno che ha il potere assoluto e quindi fa e disfa a suo piacere: non è così, il potere è un fardello, una responsabilità. Un potenziale, semmai. Si tratta di creare le condizioni per cui le cose si fanno.
E Schwarz? Resterà come direttore artistico?
E' un ottimo professionista. Poi, come sempre, qualcosa va bene, qualcosa meno. Per conoscerci, per capire se c'è intesa, serve tempo. Vedremo nei prossimi mesi. Intanto lavoriamo.
Il lavoro non manca, direi...
Tra covid e commissariamento siamo rimasti indietro: lavorare bene, in un teatro, significa lavorare in anticipo, quindi dobbiamo recuperare terreno. Nei prossimi giorni completeremo il cartellone della prima metà del 2023. Entro dicembre vorrei programmare la stagione 2023/24, così da rimetterci al passo e cominciare a occuparci del 2024/25 già all'inizio dell'anno prossimo. Ma si deve pure pensare alla riorganizzazione delle aree amministrativa e tecnica: significa parlare con le persone, capire i problemi, le necessità, le professionalità. Abbiamo due tempistiche parallele: gestire il presente e le emergenze, e intanto costruire il futuro. C'è molto da fare, ma guai a lasciarci prendere dall'affanno. Agire subito, ma con ponderatezza, questo intendo.
Festina lente, affrettati lentamente, dicevano i latini.
Qualcuno penserà che sono troppo prudente, ma un teatro è un organismo complesso; preferisco essere un po' troppo prudente per avere alla fine un risultato migliore. Il mio lavoro è diverso da quello di un commissario: io ho un orizzonte di cinque anni, spero anche di più.
La sfida le mette paura?
Guardi, il teatro è come un cavallo: se si accorge che hai paura, ti butta a terra. Ma io ho paura dell'arroganza di chi dice che non ha paura. Quindi non le dirò che non ho paura. Le racconto una cosa. Mio figlio ed io siamo appassionati di surf...
Praticanti?
Certo! E siamo felici perché ho saputo che in Liguria c'è un buon posto per surfare, credo ad Arma di Taggia. Ad ogni modo: noi guardiamo spesso un film sul surf , “Sulla cresta dell'onda”, dove il protagonista a un certo punto dice che la paura è diversa dal panico. E' così: la paura è un sentimento naturale, sano. Il panico no. E al Regio non ci faremo prendere dal panico.
Io preferisco il confronto. E' necessario in qualsiasi gruppo sociale, per arrivare a un compromesso accettabile da tutti. Ma va così: ho già capito che a Torino il Regio è sempre sotto i riflettori, nel bene e nel male. La pressione è forte, per fortuna mi sento sostenuto dal Consiglio d'indirizzo, e anche il sindaco è molto presente, il suo è un appoggio concreto. D'altronde gli inizi sono sempre difficili, devi studiare l'ambiente, incontrare le persone, capire chi fa cosa, e come, quali sono le abitudini e le tradizioni... Un teatro è una microsocietà di trecento persone.
Molto complicata.
Complicata o complessa? Non so. Da una parte ci sono tradizioni che sono l'anima di un teatro, dall'altra le esigenze della contemporaneità. Si tratta di valorizzare gli aspetti positivi di entrambe. Però sono fiducioso: ho trovato al Regio vera passione e orgoglio per il proprio lavoro. Più che in tanti teatri francesi.
Questo per gli aspetti positivi. E quelli negativi?
Il problema con i sindacati, fondamentalmente, è che non posso oggi procedere con tutte le assunzioni previste dalla nuova pianta organica: non ci sono i soldi. E non so cosa succederà nei prossimi mesi, con il covid che forse torna o forse no, l'inflazione che fa volare i costi, le bollette... Al Regio solo di luce e riscaldamento quest'inverno pagheremo un milione e mezzo di euro in più. E gli aumenti si abbattono su un modello economico ancora fragile. Trovare nuovi sponsor privati adesso è vitale, ma non si fa in un giorno. Il Regio incassa fra tre e quattro milioni in sponsorizzazioni: non è poco, ma servirà di più. D'altra parte non è questo il momento per aumentare il prezzo dei biglietti: perderemmo intere fasce di pubblico. In Consiglio ne abbiamo discusso, come ipotesi; ma nessuno è d'accordo.
L'aspetta una stagione difficile...
Spesso si pensa al sovrintendente come a uno che ha il potere assoluto e quindi fa e disfa a suo piacere: non è così, il potere è un fardello, una responsabilità. Un potenziale, semmai. Si tratta di creare le condizioni per cui le cose si fanno.
E Schwarz? Resterà come direttore artistico?
E' un ottimo professionista. Poi, come sempre, qualcosa va bene, qualcosa meno. Per conoscerci, per capire se c'è intesa, serve tempo. Vedremo nei prossimi mesi. Intanto lavoriamo.
Il lavoro non manca, direi...
Tra covid e commissariamento siamo rimasti indietro: lavorare bene, in un teatro, significa lavorare in anticipo, quindi dobbiamo recuperare terreno. Nei prossimi giorni completeremo il cartellone della prima metà del 2023. Entro dicembre vorrei programmare la stagione 2023/24, così da rimetterci al passo e cominciare a occuparci del 2024/25 già all'inizio dell'anno prossimo. Ma si deve pure pensare alla riorganizzazione delle aree amministrativa e tecnica: significa parlare con le persone, capire i problemi, le necessità, le professionalità. Abbiamo due tempistiche parallele: gestire il presente e le emergenze, e intanto costruire il futuro. C'è molto da fare, ma guai a lasciarci prendere dall'affanno. Agire subito, ma con ponderatezza, questo intendo.
Festina lente, affrettati lentamente, dicevano i latini.
Qualcuno penserà che sono troppo prudente, ma un teatro è un organismo complesso; preferisco essere un po' troppo prudente per avere alla fine un risultato migliore. Il mio lavoro è diverso da quello di un commissario: io ho un orizzonte di cinque anni, spero anche di più.
La sfida le mette paura?
Guardi, il teatro è come un cavallo: se si accorge che hai paura, ti butta a terra. Ma io ho paura dell'arroganza di chi dice che non ha paura. Quindi non le dirò che non ho paura. Le racconto una cosa. Mio figlio ed io siamo appassionati di surf...
Praticanti?
Certo! E siamo felici perché ho saputo che in Liguria c'è un buon posto per surfare, credo ad Arma di Taggia. Ad ogni modo: noi guardiamo spesso un film sul surf , “Sulla cresta dell'onda”, dove il protagonista a un certo punto dice che la paura è diversa dal panico. E' così: la paura è un sentimento naturale, sano. Il panico no. E al Regio non ci faremo prendere dal panico.
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