Ebbene sì, ieri c'ero, al Regio, per la rutilante inaugurazione del secondo Tff di Giulio Base. Come l'ho vista io, lo racconto stamattina sul Corriere (questo il link). Aggiungo due cosette. Intanto, mi sia concesso esprimete una personale soddisfazione: ieri sul Corriere (nell'articolo che ricopio qui sotto) mi dolevo che dalla generosa distribuzione di Stelle della Mole a grandi, medi e piccoli nomi del cinema (top, nella foto, Sergio Castellitto premiato dal mitico Mollicone, nel senso del presidente della Commissione cultura della Camera...) restasse escluso Dolph Lundgren. E bon, ieri sera - complice forse l'assenza per malattia della premianda Stefania Sandrelli - i dispensatori di Stelle hanno deciso di omaggiare pure l'amabile Ivan "Ti spiezzo in due" Drago: ok, avevano finito le Stelle per cui gli hanno dato una targa con incisa la Stella, ma conta il pensiero. Giustizia è fatta.
Seconda addenda: sì, è vero, non è stato bello lo spettacolo di quella considerevole porzione di spettatori che, terminata la premiazione, se la sono filata via senza fermarsi per vedere "Eternity", il film d'apertura. Mancanza di stile, certo. Però i fuggiaschi hanno avuto ragione: il film è una boiata pazzesca, 112 interminabili minuti di vita buttati via.
Ed ecco l'articolo di ieri, non reperibile on line:
Quarantatreesima edizione del Tff, ma di fatto seconda della «nuova serie»: piaccia o non piaccia, la direzione di Giulio Base ha radicalmente cambiato il Torino Film Festival già Cinema Giovani. Se in meglio o in peggio, dipende dai punti di vista. Laicamente, dirò che Base ha fatto il festival che lorsignori gli chiedevano: adeguato allo spirito di un tempo in cui apparire è importante quanto essere, anzi di più. Però Base si professa cinefilo militante e chiede di guardare oltre all'apparenza del glamour, e giudicare il suo Tff da ciò che conta davvero: i film.
Ha ragione. Dunque aspettiamo di vederli, i film in concorso, tutti da scoprire. Qualcosa posso azzardare soltanto sulla sezione dei documentari, che almeno a giudicare dagli argomenti promette bene: quanto a temi controversi - dalla Palestina alla maternità surrogata, dal disagio mentale alla protesta studentesca, dall'AI al cambiamento climatico – i selezionatori non si sono fatti mancare nulla. Pare quasi – absit iniuria verbis – una selezione di sinistra. Vabbè, renziana: non esageriamo.
Quanto alla Retrospettiva, che dire? Non si fanno più le retrospettive di una volta, occasioni di approfondimento e studio su autori, correnti, filoni cinematografici. Oggi bastano gli «omaggi»: si sceglie un attore, possibilmente fresco defunto, e si programma un tot di suoi film. Meno spese, meno grane. Stavolta il caro dipartito è Paul Newman, presumibilmente l'anno venturo toccherà a Robert Redford. Nell'era delle piattaforme e dell'home video non c'è nulla da scoprire, ma rivedere in sala «Lo spaccone» può far piacere.
Stesso discorso per Zibaldone, che tiene fede al titolo leopardiano: di tutto e di più, film imprescindibili (il pasoliniano «Salò» e il Carmelo Bene di «Nostra Signora dei Turchi») e qualche novità forse interessante, insieme a classiconi visti e rivisti messi lì solo per far esibire in sala il relativo regista o protagonista beneficiario di Stella della Mole.
E con le Stelle della Mole arriviamo al film d'apertura, in genere significativo perché il buon festival si vede dal mattino, o per meglio dire dalla serata inaugurale. Stasera si parte con «Eternity», commedia sentimental-fantasy che, secondo «Variety», «diverte per un po' e poi finisce la benzina»: ma non importa, la ciccia della première al Regio non è il film, bensì il red carpet di stelle in diretta Raiplay e conseguente distribuzione di Stelle della Mole.
Qui il discorso si fa complicato. Intanto, la sovrabbondanza: dodici Stelle della Mole in un solo festival sembrano eccessive, e delle dodici ben otto nella serata inaugurale sono scialo che attinge al kitsch. Chiaro che dopo una tale infornata di soliti noti, chissenefrega del film: titoloni e foto sui media sono comunque garantiti. E per i giorni seguenti restano in canna al Tff altre quattro stelle da insignire con le Stelle: fans e fotografi felici, e chissenerifrega dei film.
Certo, le stelle sono tante e – come nella pubblicità del salame – alcune sono garanzia di qualità: monumenti assoluti come Lelouch, Gilliam, Vanessa Redgrave, Sokurov e vabbè, pure Spike Lee, nobiliterebbero qualsiasi festival. D'alta classe cinefila anche Vincent Lindon, e hanno il loro perché la Binoche e la Bisset, e aggiungeteci la Sandrelli a presidio del made in Italy. Poi c'è la stella Banderas, che piace a tutti: ai cinefili per via di Almodovar e Rodriguez, al pubblico da multiplex per i successi hollywoodiani, alle signore perché è tanto sexy. E vuoi negare una Stella a Daniel Brühl, se non altro per «Goodbye, Lenin»? Massì, largheggiamo. Così si arriva alla dodicesima Stella: Sergio Castellitto. Attore e regista rispettabilissimo, è fuori discussione: ma, onestamente, diamo la Stella a Lelouch e Gilliam e Sokurov, e nello stesso festival diamo la stessa Stella a Castellitto? Todos caballeros? Capisco l'amicizia, capisco l'italianità, però a questo punto mi pare ingeneroso escludere dalla pioggia di Stelle il povero Dolph Lundgren, al Tff per presentare il documentario sulla sua vita: in fondo pure lui, nel suo piccolo, con «Ti spiezzo in due» ha fatto la Storia del cinema. Pertanto rivolgo un appello ai direttori del Tff Giulio Base e del Museo Carlo Chatrian: avete fatto dodici, che vi costa fare tredici? E datela, 'sta benedetta Stella, anche al caro Ivan Drago, il Mercenario buono dei film di mazzate.
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