Già al Regio, venerdì sera, l'occupazione delle poltrone d'onore raccontava i nuovi equilibrii: accanto a un rabbuiato Lo Russo sedevano (nella foto da sinistra - beh, si fa per dire... - a destra) Alberto Cirio, quindi il direttore del Tff Giulio Base (poltrona raramente occupata, lui stava sempre sul palco), più a destra ancora il fratello d'Italia Federico Mollicone, presidente della Commissione cultura della Camera, e infine Sergio Castellitto in quota amicale. Specchio del paese, la maggioranza cinematografica si accomoda al Torino Film Festival lanciando accorati appelli per salvare l'industria del cinema (Castellitto) e subito dopo impegnandosi a salvarla «ma con cognizione» (Mollicone). Intanto a Roma covano tagli al Fondo per il cinema mentre a Torino la giunta Cirio proclama la granitica volontà di «trasformare il Piemonte in uno dei principali poli cinematografi d'Europa». Nientemeno. Si mettessero d'accordo con se stessi: 'sto cinema lo vogliono salvare, o affossare?
Beh, basta intendersi su cosa si intende per «cinema» e cosa per «con cognizione». E ieri Mollicone l'ha spiegato per benino. Mica quel cinema «impegnato e intellettuale» - roba da comunisti o peggio – che per troppi anni ha confinato nel ghetto dei «B-movie» le ruspanti produzioni di «genere». La nuova egemonia culturale disegnata dalle parole di Mollicone guarda con rimpianto ai peplum, agli spaghetti western, ai poliziotteschi, agli horror casarecci, e mi stupisce che restino escluse dalla nostalgia molliconiana le italianissime commedie sexy con Alvaro Vitali e Edwige Fenech che tanto piacevano alla gggente e incassavano fior di palanche. Da lì bisogna ricominciare per salvare il cinema italiano. Meno Moretti e più Pio & Amedeo, par di capire.
Senza scherzi. Mollicone al Tff, fino all'altro ieri il più cinefilo dei festival italiani, annuncia che il suo governo destinerà appositi finanziamenti ai «film di genere», con particolare attenzione ai gusti del pubblico, ovvero – ne deduco – ai risultati del botteghino. Il che, a ben guardare, avrebbe pure un senso, pensando a certi film sovvenzionati che manco arrivano in sala, o se ci arrivano non li vede nessuno. Peraltro, coprire di soldi chi produce film di sicuro successo fa molto Robin Hood al contrario. I termini della questione vanno approfonditi. Come funziona? È il finanziamento che traccia il solco ed è l'incasso che lo difende?
Ma ciò che conta, per affermare anche sugli schermi la nuova egemonia culturale, è riportare in auge il cinema di genere perché – parola di Mollicone – significherebbe anche «recuperare il modello dell'eroe buono e un approccio formativo e valoriale». E qui mi domando quali «film di genere» abbia visto Mollicone nella sua giovinezza: i peplum traboccavano di donne discinte ed energumeni violenti, negli spaghetti western i buoni erano più canaglie delle canaglie, nei poliziotteschi il valore più alto era la giustizia privata, e quanto alle commedie sexy, beh, se è quello l'«approccio valoriale» da proporre all'italica gioventù, sarà meglio allertare Olivia Benson e tutta l'Unità Vittime Speciali.
Ok, il cinema italiano di serie B a distanza di anni è stato rivalutato dalla critica, ha ispirato Tarantino e i tarantiniani, e sì, io stesso ne sono un estimatore. Tuttavia mi pare surreale considerarlo un cinema indirizzato a inculcare nel popolo non meglio identificati «valori». I valori di «La polizia incrimina, la legge assolve», «La casa dalle finestre che ridono», «Preparati la bara», per non dir di «Giovannona coscialunga», non li considererei del tutto auspicabili.
Ma forse Mollicone si riferisce a modelli filmici ancor precedenti: «Luciano Serra pilota» come eroe buono, e i Telefoni Bianchi come approccio formativo e valoriale. Ah beh, allora tutto torna. D'altronde l'aveva detto Lui, il monsù Cerutti, che «la cinematografia è l'arma più forte dello Stato».
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