Torino non sta mai ferma. Le gemelline tutto pepe escono dalla riunione sindacale con svelto passo da bersagliere |
A fronte di questa spiacevole situazione che rende precario il futuro di dodici lavoratori (per non dir del futuro del Salone, che precario lo è da anni) le gemelline tutto pepe Antonellina & Maiunagioia si incontrano ogni tot con i lavoratori e i sindacalisti, si chiudono in una stanza e stanno lì a discutere per un paio d'orate. Poi escono senza aver combinato molto e si aggiornano alla prossima puntata. Non si sono ancora accordati su chi porta i salatini, così i salatini non ci sono mai.
Copione rispettato anche oggi.
Le gemelline peperine, finita la riunione, provano come al solito a eludere le domande dei mastini dell'informazione sciorinando con i loro affascinanti sorrisi. Gli faccio notare che abbiamo speso due ore della nostra vita a ciondolare davanti alla loro porta; quindi sarebbe indelicato mollarci lì in attesa del comunicato stampa (che comunque vi copio in fondo a questo post). Il comunicato stampa potevo anche aspettarlo a casa mia, che è più comoda del marciapiede di via Magenta.
Le gemelline tutto pepe si mettono una mano sulla coscienza, e abbozzano. Ovviamente in concreto non dicono un cazzo, anche perché non c'è un cazzo da dire. Ma scambiare due parole fa sempre piacere.
Maiunagioia si limita a manifestare il suo ostinato e incomprensibile ottimismo sul futuro del Salone, Antonellina è più tecnica e ribadisce la luminosa road map che dovrebbe vedere entro i primi ottobre un nuovo presidente del Circolo dei Lettori pronto a firmare i bandi per assumere sette persone che potrebbero anche essere sette ex dipendenti dell'ex Fondazione.
Chi farà il Salone? Una proposta dadaista
Sottolineo il "potrebbero" perché se c'è un bando non è garantito che lo vincano gli ex dipendenti: un bando pubblico è un bando pubblico, e per definizione non si sa chi lo vince. Questo in teoria: e anche in pratica, se i politici non hanno un loro tornaconto a far vincere qualcuno in particolare. Infatti il 3 ottobre si chiude l'avviso pubblico per candidarsi alla presidenza del Circolo dei Lettori (e quindi del Salone) eppure ormai persino i bambini e i giornalisti già sanno che sarà nominato il notaio Giulio Biino. Ma sull'utilità di bandi, avvisi pubblici e cazzate similari mi riprometto di scrivere un altro post domattina, per commentare dell'odierna nomina - ampiamente prevista - del rappresentante del Comune al Regio nella persona di Marco Ricagno.Prudentemente gli ex dipendenti dell'ex Fondazione, nell'attesa dei luminosi destini del Salone, hanno già risposto, tutti e dodici, al bando per entrare in Soris: passare dai libri alle gabelle non sarà il massimo della vita, ma di 'sti tempi non c'è posto per distinzioni poetiche, uno stipendio è pur sempre uno stipendio. Ho domandato ad Antonellina chi farà il Salone, casomai tutti e dodici i dipendenti vincessero un posto in Soris. Lei mi ha risposto con un sorrisone, lasciandomi libero di sognare. Magari lo affidano a una task force di agenti delle tasse. Dadaismo al potere. J'adore.
Le grandi scoperte: tre milioni di sbilancio (come 4 anni fa)
In effetti l'intera pantomima del Salone è ogni giorno più dada. Avete visto la (ri)scoperta del buco? In questi giorni i giornali riferiscono che i debiti dell'ex Fondazione per il Libro, accertati dal liquidatore, arrivano a 9,9 milioni di euro. Una cifrona dunque. Però è stato anche accertato che le attività (soprattutto i crediti per contributi non versati da Regione e Comune) arrivano a 6,5 milioni.Quindi c'è un buco di 3,4 milioni. Pro memoria: già un anno fa le stime più negative parlavano di tre milioni di rosso (gli ottimisti come me speravano che fossero "soltanto" due). Mi sembra lecito ipotizzare che nel giro di un anno il solo debito con le banche (per la precisione, con Banca Prossima: a oggi 2.437.000 euro) abbia maturato importanti interessi passivi: come purtroppo sa chiunque abbia un debito con una banca, gli interessi passivi non sono leggende metropolitane, e le banche hanno la pessima abitudine di pretenderli.
Inoltre, poiché le attività dell'ex Fondazione sono inferiori ai debiti, ci si costerna a scoprire che i fornitori in attesa di essere pagati rientrerenno, al messimo, del 70 per cento del loro credito.
Ora, tanto per fare il pignolino, chiarirei due punti:
1) E' tipico di qualsiasi fallimento (e una messa in liquidazione è in pratica una procedura di fallimento) che i creditori non ottengano il pagamento integrale di ciò che gli spetterebbe: sì, lo so, è una cosa triste, ma se fosse possibile pagare integralmente i creditori non si capisce perché si dovrebbe dichiarare fallimento. Si fallisce quando non si è in grado di onorare i propri debiti.
2) Già dalla celebre "valutazione" del 2014 risultava che la Fondazione per il Libro aveva un passivo di 5.764.000 euro (al netto dei 335 mila euro per i TFR, i debiti assommavano a circa 5,4 milioni, di cui 3,3 con le banche e quasi 1,8 con i fornitori), mentre i crediti (su un totale dell'attivo di 5.275.000 euro) assommavano a 2.703.000 euro, di cui 2.303.000 nei confronti degli enti pubblici (ma va? ma chi se lo sarebbe mai immaginato!). Non occorre una laurea in economia e commercio per notare che lo sbilancio tra crediti e debiti, già allora, nel 2014, era di 3 milioni.
Ciò che salvava la Fondazione dal crack, limitando le passività totali a meno di mezzo milione di euro, era l'inserimento a bilancio del marchio (allora valutato 1,3 milioni) e degli allestimenti (poco più di un milione). Una furbata contabile, se volete: ma lecita, e bene o male (più male che bene, a mio sommesso parere) la baracca stava in piedi. Poi, l'autunno scorso, "qualcuno" ha pensato bene di fornire allo studio peritale (incaricato di ricalcolare il valore del marchio) elementi di valutazione tali da far sprofondare quel valore da un milione e trecentomila a 160 mila euro. E così ci siamo allegramente infilati nella liquidazione e amenità conseguenti.
Ma va bene così. Ce la siamo voluta, e adesso ce la godiamo. A me interessava notare che già al 31 dicembre 2014 era noto e pacifico che il saldo negativa fra crediti e debiti della Fondazione per il Libro era di tre milioni. Poco meno di oggi. Non ho studiato, quindi stento a capire. E quindi rivolgo un pubblico appello agli esperti di economia (quelli veri: astenersi perditempo, tuttologi e laureati all'università della vita) perché mi spieghino dove sta la differenza.
Voglio dire: si sa che il Regio ha un passivo di circa due milioni di euro, il famoso "buco" che è costato la cadrega a Vergnano. Purtroppo da più parti mi giunge voce che in realtà i conti potrebbero risultare anche peggiori, con un rosso fino a tre milioni, forse anche di più. Ma stiamo ai primi danni e ai dati certi: il neosovrintendente Graziosi deve tappare quel buco. E' la mission sulla quale si gioca la riconferma l'anno prossimo. Riuscirà il nostro eroe nell'avventurosa impresa? E in caso contrario - toccando ferro - che ne sarà del Regio?
E chiudiamolo in allegria. Vi risparmio la patetica sceneggiata dei milanesoni di Tempo di Libri, che hanno tentato il colpo un attimo prima di chiudere bottega: hanno (ri)proposto una stravagante "alleanza con Torino" per il Salone, forse confondendolo con le Olimpiadi. Ora, vabbé che i nostri zuavi hanno dato plurime prove di non essere tra i più scaltri: ma la la proposta dei milanesoni rasentava la barzelletta. Un po' come se il 28 maggio 1453 Costantino XII avesse proposto un'alleanza alla pari a Maometto II.
Invece voglio farvi notare, casomai non l'aveste appezzata appieno, la bonisolata della settimana. L'altro giorno - meglio tardi che mai - l'Albertone Bonisola ha scoperto che il marchio del Salone sarà venduto all'asta, e a un prezzo base stracciato, sicché in teoria se lo potrà comperare chiunque, e magari usarlo, se gli garba, per farsi un Salone del Libro a Valpisello di Sotto. Al che il prode ministro della Cultura si è prodotto in una serie di dichiarazioni interessanti: sulle prime ha dato l'impressione - o almeno così hanno capito i giornalistazzi - che il Mibac intendesse comperare il marchio "per non rischiare, vendendolo all'asta, che finisca chissà dove e soprattutto in mano a un imprenditore privato"; poi ha precisato che più semplicemente il suo ministero "ha avviato un provvedimento di tutela nei confronti dell’archivio e quindi del marchio. Il ministero può fare l’ultima linea di difesa. Se nessuno lo volesse il ministero se ne potrà occupare".
Magnifico. Adesso che c'è lo Stato italiano a garantirci, non so voi ma io mi sento già più sereno.
Ad essere pignoli, nell'elenco dei beni culturali passibili di tutela (art. 10 dl 42/2004) non compaiono i marchi. Gli archivi sì, ma temo che l'equiparazione del Bonisola ("tutela dell'archivio e quindi del marchio") sia un po' traballante sul piano legale: un eventuale acquirente, volendo piantare casino, sarebbe tentato di conoscere l'opinione di un giudice a proposito di quel "quindi".
Ma di certo è un problema remoto. Per l'immediato apprendo che il provvedimento di tutela darà al ministero un diritto di prelazione nell’acquisto del marchio. Apprendo inoltre che la procedura per mettere sotto tutela un bene culturale richiede al minimo 80 giorni. Quindi, delle tre una. O l'asta si farà, come ripetutamente garantito dai nostri zuavi, entro metà ottobre, e in tal caso il ministero avrà la prelazione sull'acquisto del marchio quando il marchio sarà venduto da mo': libero a quel punto di mettere sotto tutela il marchio, rischiando però un contenzioso con l'eventuale acquirente incazzuso. Oppure Bonisola accelererà parossisticamente la procedura, per dimostrare che lui non spaccia annunci, ma concrete realtà. O ancora, Bonisola sa qualcosa che noi non sappiamo, e cioé che l'asta si farà alla vigilia di Natale.
C'è però una quarta ipotesi: che Bonisola abbia parlato tanto per dare aria ai denti, come quando discetta di piante esotiche.
Fate voi. Io sono soltanto il cronista. Però ammetto che apprezzo lo spettacolo. Per scrivere questo post ho rinunciato a vedere un film di Checco Zalone in tivù: mi faceva meno ridere.
Il Comune di Torino ha confermato l’apertura del bando da parte della società Soris (notizia fresca fresca, NdG), mentre la Regione Piemonte ha spiegato che scadrà il 3 ottobre il bando per la nomina del nuovo presidente (fresca fresca pure questa... NdG), a seguito delle dimissioni di Massimo Bray (e questa? Addirittura croccante, direi. NdG), il 5 sarà approvata la nomina e nella prima data utile successiva si riunirà il nuovo consiglio d’amministrazione che approverà il bando a evidenza pubblica per un totale di 8 posizioni lavorative a tempo indeterminato. Per quanto riguarda in particolare il Circolo dei Lettori, si sta inoltre valutando la possibilità di applicare il contratto nazionale Federculture.
Nel corso dell’incontro, il commissario liquidatore ha precisato che parallelamente alla dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 42/2004, avviata dal ministero dei Beni culturali, proseguono le attività per indire in tempi rapidi la procedura di vendita a evidenza pubblica per la cessione dei beni materiali e immateriali della Fondazione (e qui si evidenzia il paradosso temporale che vi ho spiegato sopra... NdG).
Le parti si sono impegnate a incontrarsi nuovamente, una volta definita la governance dei Circolo dei Lettori, per un aggiornamento della situazione con tutti i soggetti interessati (e stavolta qualcuno porti i salatini. NdG).
Ora, tanto per fare il pignolino, chiarirei due punti:
1) E' tipico di qualsiasi fallimento (e una messa in liquidazione è in pratica una procedura di fallimento) che i creditori non ottengano il pagamento integrale di ciò che gli spetterebbe: sì, lo so, è una cosa triste, ma se fosse possibile pagare integralmente i creditori non si capisce perché si dovrebbe dichiarare fallimento. Si fallisce quando non si è in grado di onorare i propri debiti.
2) Già dalla celebre "valutazione" del 2014 risultava che la Fondazione per il Libro aveva un passivo di 5.764.000 euro (al netto dei 335 mila euro per i TFR, i debiti assommavano a circa 5,4 milioni, di cui 3,3 con le banche e quasi 1,8 con i fornitori), mentre i crediti (su un totale dell'attivo di 5.275.000 euro) assommavano a 2.703.000 euro, di cui 2.303.000 nei confronti degli enti pubblici (ma va? ma chi se lo sarebbe mai immaginato!). Non occorre una laurea in economia e commercio per notare che lo sbilancio tra crediti e debiti, già allora, nel 2014, era di 3 milioni.
Ciò che salvava la Fondazione dal crack, limitando le passività totali a meno di mezzo milione di euro, era l'inserimento a bilancio del marchio (allora valutato 1,3 milioni) e degli allestimenti (poco più di un milione). Una furbata contabile, se volete: ma lecita, e bene o male (più male che bene, a mio sommesso parere) la baracca stava in piedi. Poi, l'autunno scorso, "qualcuno" ha pensato bene di fornire allo studio peritale (incaricato di ricalcolare il valore del marchio) elementi di valutazione tali da far sprofondare quel valore da un milione e trecentomila a 160 mila euro. E così ci siamo allegramente infilati nella liquidazione e amenità conseguenti.
Ma va bene così. Ce la siamo voluta, e adesso ce la godiamo. A me interessava notare che già al 31 dicembre 2014 era noto e pacifico che il saldo negativa fra crediti e debiti della Fondazione per il Libro era di tre milioni. Poco meno di oggi. Non ho studiato, quindi stento a capire. E quindi rivolgo un pubblico appello agli esperti di economia (quelli veri: astenersi perditempo, tuttologi e laureati all'università della vita) perché mi spieghino dove sta la differenza.
Per inciso: come siamo messi al Regio?
Avrei poi un'altra domanda per chi sa e vuole illuminarmi: a fronte di un saldo negativo di tre milioni e mezzo tra debiti e crediti si è deciso di liquidare la Fondazione per il Libro. Benissimo. O malissimo, fate voi. Però a questo punto mi inquieta il destino del Regio.Voglio dire: si sa che il Regio ha un passivo di circa due milioni di euro, il famoso "buco" che è costato la cadrega a Vergnano. Purtroppo da più parti mi giunge voce che in realtà i conti potrebbero risultare anche peggiori, con un rosso fino a tre milioni, forse anche di più. Ma stiamo ai primi danni e ai dati certi: il neosovrintendente Graziosi deve tappare quel buco. E' la mission sulla quale si gioca la riconferma l'anno prossimo. Riuscirà il nostro eroe nell'avventurosa impresa? E in caso contrario - toccando ferro - che ne sarà del Regio?
Le comiche finali
Comunque questa è un'altra storia: e sono sicuro che non mi mancherà occasione di occuparmene, prima o poi. Adesso voglio finire questo interminabile post sul Salone o ciò che ne resta.E chiudiamolo in allegria. Vi risparmio la patetica sceneggiata dei milanesoni di Tempo di Libri, che hanno tentato il colpo un attimo prima di chiudere bottega: hanno (ri)proposto una stravagante "alleanza con Torino" per il Salone, forse confondendolo con le Olimpiadi. Ora, vabbé che i nostri zuavi hanno dato plurime prove di non essere tra i più scaltri: ma la la proposta dei milanesoni rasentava la barzelletta. Un po' come se il 28 maggio 1453 Costantino XII avesse proposto un'alleanza alla pari a Maometto II.
Invece voglio farvi notare, casomai non l'aveste appezzata appieno, la bonisolata della settimana. L'altro giorno - meglio tardi che mai - l'Albertone Bonisola ha scoperto che il marchio del Salone sarà venduto all'asta, e a un prezzo base stracciato, sicché in teoria se lo potrà comperare chiunque, e magari usarlo, se gli garba, per farsi un Salone del Libro a Valpisello di Sotto. Al che il prode ministro della Cultura si è prodotto in una serie di dichiarazioni interessanti: sulle prime ha dato l'impressione - o almeno così hanno capito i giornalistazzi - che il Mibac intendesse comperare il marchio "per non rischiare, vendendolo all'asta, che finisca chissà dove e soprattutto in mano a un imprenditore privato"; poi ha precisato che più semplicemente il suo ministero "ha avviato un provvedimento di tutela nei confronti dell’archivio e quindi del marchio. Il ministero può fare l’ultima linea di difesa. Se nessuno lo volesse il ministero se ne potrà occupare".
Magnifico. Adesso che c'è lo Stato italiano a garantirci, non so voi ma io mi sento già più sereno.
Ad essere pignoli, nell'elenco dei beni culturali passibili di tutela (art. 10 dl 42/2004) non compaiono i marchi. Gli archivi sì, ma temo che l'equiparazione del Bonisola ("tutela dell'archivio e quindi del marchio") sia un po' traballante sul piano legale: un eventuale acquirente, volendo piantare casino, sarebbe tentato di conoscere l'opinione di un giudice a proposito di quel "quindi".
Ma di certo è un problema remoto. Per l'immediato apprendo che il provvedimento di tutela darà al ministero un diritto di prelazione nell’acquisto del marchio. Apprendo inoltre che la procedura per mettere sotto tutela un bene culturale richiede al minimo 80 giorni. Quindi, delle tre una. O l'asta si farà, come ripetutamente garantito dai nostri zuavi, entro metà ottobre, e in tal caso il ministero avrà la prelazione sull'acquisto del marchio quando il marchio sarà venduto da mo': libero a quel punto di mettere sotto tutela il marchio, rischiando però un contenzioso con l'eventuale acquirente incazzuso. Oppure Bonisola accelererà parossisticamente la procedura, per dimostrare che lui non spaccia annunci, ma concrete realtà. O ancora, Bonisola sa qualcosa che noi non sappiamo, e cioé che l'asta si farà alla vigilia di Natale.
C'è però una quarta ipotesi: che Bonisola abbia parlato tanto per dare aria ai denti, come quando discetta di piante esotiche.
Fate voi. Io sono soltanto il cronista. Però ammetto che apprezzo lo spettacolo. Per scrivere questo post ho rinunciato a vedere un film di Checco Zalone in tivù: mi faceva meno ridere.
Bonus track: il comunicato di oggi
Prosegue l’impegno assunto prima dell’estate da parte di Regione Piemonte e Comune di Torino rivolto a individuare soluzioni lavorative per tutti i dipendenti dell’ex Fondazione Salone del Libro (traduzione: 'sta storia va avanti da maggio e siamo ancora al pian dei babi. NdG). E’ quanto emerso (caspita, un'altra scoperta incredibile: ma non gli sfugge proprio nulla! NdG) nel corso del tavolo (nel corso del tavolo? Un tavolo ha un corso? Vedete? Questo è il dadaismo. NdG) che si è riunito nel pomeriggio presso l’assessorato regionale al Lavoro, alla presenza delle assessore al Lavoro e alla Cultura della Regione, Gianna Pentenero e Antonella Parigi, dell’assessora alla Cultura del Comune di Torino, Francesca Leon e dei rappresentanti sindacali dei lavoratori (Dante Ajetti e Andrea Ferrato per la Cgil, Olga Longo della Fisascat Cisl e Roberta Pellegrini dell’Associazione Stampa Subalpina).Il Comune di Torino ha confermato l’apertura del bando da parte della società Soris (notizia fresca fresca, NdG), mentre la Regione Piemonte ha spiegato che scadrà il 3 ottobre il bando per la nomina del nuovo presidente (fresca fresca pure questa... NdG), a seguito delle dimissioni di Massimo Bray (e questa? Addirittura croccante, direi. NdG), il 5 sarà approvata la nomina e nella prima data utile successiva si riunirà il nuovo consiglio d’amministrazione che approverà il bando a evidenza pubblica per un totale di 8 posizioni lavorative a tempo indeterminato. Per quanto riguarda in particolare il Circolo dei Lettori, si sta inoltre valutando la possibilità di applicare il contratto nazionale Federculture.
Nel corso dell’incontro, il commissario liquidatore ha precisato che parallelamente alla dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 42/2004, avviata dal ministero dei Beni culturali, proseguono le attività per indire in tempi rapidi la procedura di vendita a evidenza pubblica per la cessione dei beni materiali e immateriali della Fondazione (e qui si evidenzia il paradosso temporale che vi ho spiegato sopra... NdG).
Le parti si sono impegnate a incontrarsi nuovamente, una volta definita la governance dei Circolo dei Lettori, per un aggiornamento della situazione con tutti i soggetti interessati (e stavolta qualcuno porti i salatini. NdG).
Commenti
Posta un commento