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FACILI PREVISIONI: RICAGNO AL REGIO PER IL COMUNE

Marco Ricagno, una poltrona al Regio
Ieri Chiarabella ha nominato il rappresentante del Comune nel Consiglio d'indirizzo del Regio. In cinque avevano risposto all'avviso di nomina (è la procedura che consente a qualsiasi cittadino di candidarsi a certi incarichi pubblici) e la scelta è caduta su Marco Ricagno. 
Una scelta per nulla sorprendente. Io, per dire, l'avevo prevista già due settimane fa. E non ci voleva Nostradamus, per prevederla. 
Il curriculum vitae del nuovo consigliere ci dice che è un "cantante, compositore, regista, maestro concertatore, organizzatore di concerti, spettacoli, eventi artistici, musicali, teatrali, culturali, esposizioni, mostre, autore di revisioni musicali, libretti" la cui fama, certo per mia incompetenza, finora non m'aveva mai raggiunto; nonché, pragmaticamente,  docente di canto e arte scenica al Conservatorio di Aosta. Curriculum coerente, per una poltrona al Regio. Il cv non fa invece cenno alla carriera politica del nuovo consigliere, peraltro breve e non brillantissima: nel 2016 si è candidato alle Comunali con i cinquestelle, ma non ce l'ha fatta. 
Quest'ultimo particolare è stato di grande aiuto per i miei poteri divinatori. E' antica tradizione della politica, risalente in epoca moderna agli albori della Repubblica e del potere democristiano, di consolare i trombati alle urne con qualche cadreghino di sottogoverno. 
In casi come quello di Ricagno la cosa di per sé non mi scandalizza neppure. La carica di consigliere del Regio è a titolo gratuito, ed è una carica politica, nel senso che la funzione esplicita di quel ruolo è per l'appunto rappresentare la volontà dell'amministrazione comunale nel governo della Fondazione lirica: mi pare logico che un sindaco nomini una persona di provata fedeltà al suo partito, esattamente come hanno sempre fatto i sindaci precedenti e come faranno quelli a venire, di qualsiasi parte e colore, nei secoli dei secoli, almeno finché non ci sarà un sindaco talmente cretino (o autolesionista) da farsi rappresentare dal suo peggior nemico.
Provo semmai, a livello strettamente personale, un certo qual disagio all'idea che una persona che i cittadini non hanno ritenuto idonea a ricoprire una carica elettiva venga piazzata comunque con atto autocratico del potere: ma sono, queste, sottigliezze da anima semplice, che nulla hanno a che vedere con la politica e i suoi riti eterni.
E provo, sempre dal fondo della mia ingenuità, un sentimento misto di empatia e stupore nei confronti degli altri, dei volonterosi senza chance che si candidano comunque e rispondono agli "avvisi di nomina" del potere fingendo o non sapendo proprio niente di come funzionino certe pantomime.
Una cosa però davvero mi disturba. L'ipocrisia. Siamo uomini di mondo, nati e cresciuti in Italia, e siamo ben consci che il meccanismo è quello: ma allora, santiddio, perché mai insistiamo nella ridicola finzione degli "avvisi di nomina" e dei "bandi pubblici", se tutti sappiamo benissimo come andrà a finire? 
Sono foglie di fico, conseguenza grottesca della "via italiana" alla trasparenza della pubblica amministrazione: le foglie di fico d'un  Paese dove oggi si blatera continuamente di "case di vetro" senza mai precisare che si tratterà comunque di vetro opaco, come quello delle finestre dei cessi.
Prima, se non onesti, i sistemi della politica erano realisti: magari senze vergogna, ma meno infingardi. Il potente piazzava i suoi sulle poltrone giuste, con il presupposto - se non altro teorico - che i cittadini-elettori avrebbero esercitato il loro controllo al momento delle elezioni: se il politico nominava gente brava e capace, oltre che fedele, poteva aspirare alla rielezione; altrimenti aria, a casa. Nella pratica non funzionava quasi mai così, ma almeno c'era una parvenza di logica.
Poi tutto è cambiato, affinché tutto restasse come prima. Negli ultimi anni di felici trasparenze ne ho viste di ogni, senza mai capirne le logiche. O capendole benissimo, con gran dispiacere. 
Quando stava all'opposizione Chiarabella demolì Filura, il povero Braccialarghe e la presidente della Fondazione Musei Asproni (che più tardi la nostra eroina farà fuori appigliandosi giustappunto a un altro bando) piantando un casino memorabile sulla nomina (a dir poco "opaca") del direttore del Mao, Biscione; salvo poi, una volta piazzate le chiappe sullo scranno sindachesco, lasciare al suo posto il vituperato Biscione fin quando gli è garbato di restare. 
Arrivata al potere la prode Chiarabella, già paladina del bando trasparente, orchestrò la madre di tutte le sbandate, ovvero la storiaccia del "no" ad Alessandro Bianchi, vincitore del bando per la direzione del Museo del Cinema, bloccato perché sospetto di simpatie piddine. Ma fin dai tempi dell'opposizione aveva dato prova di una personalissima concezione a corrente alternata dell'istituto del bando "pubblico e trasparente"
E gli altri non sono mai stati da meno: sul versate pd avevamo assistito, per fare soltanto un esempio che risale al 2015, al ridicolo balletto bando-non bando messo in scena dall'allora ministro Franceschini per nominare Turetta alla direzione della Reggio di Venaria. 
Negli ultimi anni non s'è capito più niente. L'istituto del bando a Torino ha assunto un andamento carsico: appare e scompare a seconda dei casi, delle circostanze e delle convenienze. Esempi ultimi: il sovrintendente del Regio William Graziosi scelto d'autorità da Chiarabella senza uno straccio di bando; e il prossimo presidente del Circolo dei Lettori, di nomina regionale, per il quale è ancora aperto un "avviso di nomina" che scade il 3 ottobre, ma già si sa che sarà Giulio Biino. Mentre attendo con impazienza l'esito del bando per la direzione del Museo del Cinema.
Ma non voglio rifarvi per l'ennesima volta la miserevole storia dei bandi e delle nomine in questa sventurata città. Più che altro mi premeva dimostrare che ne abbiamo viste di ben peggiori: e alla luce di tante puzzonate, una nomina "politica" a un ruolo di rappresentanza "politica" in una Fondazione controllata non mi può scandalizzare. Anzi, risponde a meccaniche in fondo trasparenti. Talmente trasparenti che tanto varrebbe prenderne atto e risparmiarci per il futuro la penosa finzione di un'opportunità aperta a qualsiasi cittadino meritevole e voglioso di spendersi per la comunità. Erano meno ipocriti i democristiani, che perlomeno evitavano di raccontarci le favolette, e i loro coboldi li piazzavano dove volevano e come volevano, alla facciazza nostra ma almeno senza percularci.
Ad ogni modo: se qualcuno desidera farsi del male, e approfondire la storia delle nomine pubbliche nell'affascinante mondo della cultura torinese, può leggersi questi tre vecchi post dove la povera storia è narrata passo a passo.
Il bando e i banditi (22 dicembre 2015)

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