GIORNATA AGITATA PER IL SALONE: NIENTE COLLETTA, NON SERVE PIU'. MA INTANTO I CREDITORI PARLANO DI TRUFFA
Non c'è pace per Nic Lagioia |
Si chiudono così i due giorni della
straordinaria commedia degli equivoci innescata da una intervista a
Repubblica del direttore Lagioia.
Nic, nell'intervista, diceva alcune cose piuttosto banali e risapute, ma che nero su bianco si prestavano ad essere travisate. Tipo che la "colletta popolare" è utile solo a certe condizioni; e che il Salone si potrebbe fare anche senza chiamarlo "Salone".
Nic, nell'intervista, diceva alcune cose piuttosto banali e risapute, ma che nero su bianco si prestavano ad essere travisate. Tipo che la "colletta popolare" è utile solo a certe condizioni; e che il Salone si potrebbe fare anche senza chiamarlo "Salone".
Il guaio è che le parole, da bocca in
bocca e di giornale in giornale, cambiano; e oggi cambiano anche
a seconda degli occhi ce le leggono. La vis polemica che innerva i social (e la società) ha fatto il resto. E s'è scatenato il casino.
Un battibecco a mezzo Facebook
Quelli di Pazzi per Torino ieri pomeriggio reagiscono all'intervista di Lagioia con un post su Fb vagamente risentito. Prendono atto
della certezza di Lagioia che "il Salone si farà comunque a
Torino", ma aggiungono: "Si vorrebbe che il nostro
impegno di buoni cittadini si limitasse 'a pagare le tasse’ e a
restare spettatori che acquistano il biglietto di
ingresso.
Ciononostante avvertiamo il rischio che la nostra gioia di sostenitori del Salone possa trasformarsi nella tristezza di vedere che un’altra eccellenza torinese lasci la nostra Città".
Ciononostante avvertiamo il rischio che la nostra gioia di sostenitori del Salone possa trasformarsi nella tristezza di vedere che un’altra eccellenza torinese lasci la nostra Città".
Seguono vari commenti al post, molti nel classico stile dell'oggidì ("Mi domando se questo Pseudo Guru (che sarebbe Lagioia, tanto per dire il tono della polemica, NdG) ha compreso la
grande sensibilità dei cittadini di Torino", "C'è da
domandarsi perché dia tanto fastidio che 'comuni' cittadini, quindi evidentemente non agganciati ad alcuna logica
spartitoria e senza alcun altro interesse che l'interesse della
propria città, si facciano carico...", robe così).
Tirato per i capelli, oggi pomeriggio interviene lo stesso Lagioia, che in mattinata ha precisato il suo pensiero pure su Repubblica. Con un commento al post di Pazzi per Torino, il malcapitato direttore ripete ancora una volta le sue
ragioni ("Più volte ho detto che l'iniziativa del gruppo 'Pazzi
per Torino' è un segnale di grande amore per il Salone... E
certamente non ho detto, e non penso, che l'iniziativa sia inutile.
Ho detto al contrario che può essere molto utile se è in grado di
migliorare la situazione esistente, tenendo conto sia delle offerte
che già si sono palesate che delle esigenze dei fornitori. Neppure
penso che la questione del marchio non abbia importanza... Ritengo però che, comunque vada il 24 dicembre,
il Salone del libro si farà qui a Torino").
Contrordine: la colletta non si fa più
A questo punto i promotori della
"colletta popolare" si convincono e danno lo sciogliete le righe, annunciano che la raccolta delle offerte si ferma, non se ne fa più
nulla: "Ci fermiamo perché le dichiarazioni pubbliche di chi ha
la responsabilità di difendere il marchio e organizzare la
prossima kermesse hanno escluso in maniera categorica che vi sia un
pericolo per il Salone".
L'aspetto curioso della faccenda è che in realtà non è successo niente di nuovo, quello che dice Lagioia è ovvio e risaputo. Ma così l'esperienza di "Salviamo il Salone" si può chiudere in gloria.
Lagioia è stato soltanto imprudente. Non ha considerato che, oggi, qualsiasi cosa tu dica, o scriva, verrà passato al setaccio del "secondo me", sottoposto agli umori del popolo on line, e diventerà comunque oggetto di controversia. Questo accade persino se uno scrive che la Terra è rotonda, e che gira intorno al Sole: figurarsi se non succede su temi complessi e delicati come l'utilizzo legale di un marchio.
Nel post in cui riferivo quella conversazione amichevole scrissi: "La gente se ne frega, di nomi e marchi. Il Salone quello è: a Torino, a inizio maggio, con i libri, gli stand, gli incontri, la folla, le code, le polemiche, il clima di festa mobile, i selfie e tutto l'ambaradan. Poi chiamalo Fiera, chiamalo Kermesse, chiamalo pure Giuseppe o Anastasio: se lo fai come cristo comanda, la gente ci va. E non va da un'altra parte, come hanno imparato a proprie spese i banfoni dell'Aie".
Nic ascoltò, e non disse nulla. Se dieci giorni dopo ha espresso gli stessi concetti nell'intervista a Repubblica, si vede che la pensa così anche lui. Né vedo cos'altro potrebbe pensare. Ma è chiaro che in questo momento ogni parola del direttore del Salone del Libro pesa, e va pesata.
Lagioia è stato soltanto imprudente. Non ha considerato che, oggi, qualsiasi cosa tu dica, o scriva, verrà passato al setaccio del "secondo me", sottoposto agli umori del popolo on line, e diventerà comunque oggetto di controversia. Questo accade persino se uno scrive che la Terra è rotonda, e che gira intorno al Sole: figurarsi se non succede su temi complessi e delicati come l'utilizzo legale di un marchio.
Quando il Salone si chiamava Fiera
E qui devo fare ammenda. Temo che in parte sia colpa mia. Lo scorso 25 novembre mi è capitato di scambiare due parole informali con Nicola Lagioia. Gli ho domandato un parere sull'iniziativa della colletta popolare per l'acquisto del marchio, e lui è rimasto sulle generali, limitandosi - scrissi poi sul blog - a esprimere "un generico apprezzamento per il bel gesto". Discutemmo anche del futuro del marchio. Dissi mi sembrava un falso problema: per ben dieci anni, dal 1999 al 2009, il Salone del Libro di Torino lo abbiamo chiamato Fiera del Libro perché, anche allora per un pasticcio giuridico, non potevamo utilizzare il marchio "Salone". E non è cambiato nulla. La gente ci andava lo stesso. Molti manco lo notarono, e dieci anni dopo pochi se ne ricordano. Nel 2010, quando da "Fiera" si tornò a "Salone", ci fu pure chi brontolò.Nel post in cui riferivo quella conversazione amichevole scrissi: "La gente se ne frega, di nomi e marchi. Il Salone quello è: a Torino, a inizio maggio, con i libri, gli stand, gli incontri, la folla, le code, le polemiche, il clima di festa mobile, i selfie e tutto l'ambaradan. Poi chiamalo Fiera, chiamalo Kermesse, chiamalo pure Giuseppe o Anastasio: se lo fai come cristo comanda, la gente ci va. E non va da un'altra parte, come hanno imparato a proprie spese i banfoni dell'Aie".
Nic ascoltò, e non disse nulla. Se dieci giorni dopo ha espresso gli stessi concetti nell'intervista a Repubblica, si vede che la pensa così anche lui. Né vedo cos'altro potrebbe pensare. Ma è chiaro che in questo momento ogni parola del direttore del Salone del Libro pesa, e va pesata.
Restando però ai fatti, per dieci
anni il Salone del Libro si è chiamato Fiera del Libro, e non è
successo un benamato. Oggi capisco che
il clima è diverso, più esacerbato: e la
sola idea di cambiare il nome può dispiacere a molti, può
danneggiare qualcuno, e può ovviamente indignare chi vuole indignarsi. Non discuto. Io riferisco il dato storico, per aiutare le memorie corte. Poi la penso come minchia mi pare, e di ciò non devo rispondere a nessuno, in quanto privato cittadino che non dirige un bel niente.
E i creditori inquieti scrivono per la prima volta la parola "truffa"
Vabbé, chiarito l'equivoco. Ma la giornata porta pure un'altra notizia, che a mio avviso dovrebbe allarmare, questa sì, chi di dovere. La piccola baruffa sul marchio ha avuto il non trascurabile effetto di mandare a mille l'incazzo dei creditori dell'ex Fondazione per il Libro, già esacerbati dalla prospettiva che l'asta del 24 dicembre racimoli appena una minima parte dei denari che servirebbero a pagarli. Così hanno inviato l'ennesima lettera aperta ai giornali. L'ipotesi di fare comunque il Salone, cambiandogli il nome, li fa incazzare come dei puma col mal di denti.In apparenza la lettera dei creditori ricalca le tante che l'hanno preceduta: sottolinea le giuste aspettative di chi ha lavorato per il Salone; cita i quattro milioni e mezzo di euro che i fornitori reclamano; segnala il pericolo che molte aziende collassino se non otterranno quanto gli spetta.
Ma stavolta c'è qualcosa di nuovo, e dirompente, nel cahier de doléances dei creditori sempre più impazienti. C'è una parola mai apparsa prima. I creditori hanno deciso di usare l'arma finale, l'estrema risorsa di cui da tempo si discute sottotraccia ma che finora nessuno aveva ancora osato chiamare con il suo vero nome. Scrivono infatti: "Pensare di realizzare un evento analogo senza acquistarlo equivale a “pensare ad una truffa” palese e sfrontata".
La parola è "truffa". Seppure fra riguardose virgolette. E aggiungono: "Come sarebbe giudicato qualsiasi gestore di un'attività che decida di chiuderla non pagando i propri debiti e riaprirla il giorno successivo, con o senza lo stesso nome, ma mantenendone lui stesso la proprietà, nello stesso posto, e per giunta con la stessa gestione?".
Già, come sarebbe giudicato?
Già, come sarebbe giudicato?
Non sono un avvocato, ma mi sembra evidente l'allusione a possibili reati. Non so cos'abbiano in mente gli ex creditori, ma al posto di chi gestisce l'operazione "Nuovo Salone" non farei spallucce. Machiavelli ci insegna che non è buona politica mettere un uomo in una situazione disperata, perché ciò lo spinge ad azioni disperate.
Bonus track: i documenti
Per vostra comodità pubblico qui di seguito tutti i documenti sopra citati, eccetto l'intervista di Lagioia a Repubblica, che non riesco a trovare on line (e rispetto troppo il lavoro dei colleghi per riprodurla illegalmente)
Ecco il post apparso sulla pagina Fb di Pazzi per Torino ieri, 3 dicembre, alle 17,50
FACCIAMO CHIAREZZA.
Il Direttore del Salone del Libro di Torino, Nicola Lagioia, ha rilasciato oggi un’intervista alla cronaca cittadina de la Repubblica, dove si esprime ancora una volta a proposito della nostra iniziativa ‘Pazzi per Torino- Salviamo il Salone del Libro’.
È chiaro a questo punto che il Direttore e’ a conoscenza di disegni, di intenzioni e di fatti che a noi non e’ dato sapere.
Non abbiamo motivo di eccepire, dunque, che egli abbia pienamente la situazione sotto controllo.
Ne siamo felici.
Abbiamo creduto che così’ non fosse.
Apprendiamo che la prossima edizione del Salone Internazionale del Libro si farà e si farà a Torino, magari con un’altra denominazione, ma sarà comunque qui nella nostra città.
A Lagioia che il marchio migri altrove poco importa e, com'egli stesso dichiara, la fiera ‘’sarà un successo".
Pare, pertanto, che la nostra iniziativa volta a raccogliere i fondi per acquisire il marchio, al solo scopo di farlo restare a Torino, non solo non sia necessaria, ma, forse, neppure gradita.
Si vorrebbe che il nostro impegno di buoni cittadini si limitasse ‘a pagare le tasse’ e a restare spettatori che acquistano il biglietto di ingresso.
Ciononostante avvertiamo il rischio che la nostra gioia di sostenitori del Salone possa trasformarsi nella tristezza di vedere che un’altra eccellenza torinese lasci la nostra Città.
Ma tant’è.
Non esiteremo a recuperare tempo alle nostre professioni ed a continuare a coltivare le altre nostre passioni.
Nelle prossime ore valuteremo se e come proseguire la nostra iniziativa, ben sapendo che la generosità dei contributori, dei sostenitori e di tutti coloro che credono e lavorano a questo progetto, in ogni caso, non sarà vana.
Non vogliamo certo impegnarci, senza altri fini se non quello di aiutare la nostra città a salvare un pezzo della sua storia, se le persone a cui abbiamo teso una mano non reputano il nostro contributo necessario.
La storia insegna che ‘’quando cento fiori fioriscono e cento scuole di pensiero gareggiano" si cresce tutti insieme. Ma se si preferisce tagliare gli steli, non rimane che il deserto, con buona pace dei Ronaldo.
FACCIAMO CHIAREZZA.
Il Direttore del Salone del Libro di Torino, Nicola Lagioia, ha rilasciato oggi un’intervista alla cronaca cittadina de la Repubblica, dove si esprime ancora una volta a proposito della nostra iniziativa ‘Pazzi per Torino- Salviamo il Salone del Libro’.
È chiaro a questo punto che il Direttore e’ a conoscenza di disegni, di intenzioni e di fatti che a noi non e’ dato sapere.
Non abbiamo motivo di eccepire, dunque, che egli abbia pienamente la situazione sotto controllo.
Ne siamo felici.
Abbiamo creduto che così’ non fosse.
Apprendiamo che la prossima edizione del Salone Internazionale del Libro si farà e si farà a Torino, magari con un’altra denominazione, ma sarà comunque qui nella nostra città.
A Lagioia che il marchio migri altrove poco importa e, com'egli stesso dichiara, la fiera ‘’sarà un successo".
Pare, pertanto, che la nostra iniziativa volta a raccogliere i fondi per acquisire il marchio, al solo scopo di farlo restare a Torino, non solo non sia necessaria, ma, forse, neppure gradita.
Si vorrebbe che il nostro impegno di buoni cittadini si limitasse ‘a pagare le tasse’ e a restare spettatori che acquistano il biglietto di ingresso.
Ciononostante avvertiamo il rischio che la nostra gioia di sostenitori del Salone possa trasformarsi nella tristezza di vedere che un’altra eccellenza torinese lasci la nostra Città.
Ma tant’è.
Non esiteremo a recuperare tempo alle nostre professioni ed a continuare a coltivare le altre nostre passioni.
Nelle prossime ore valuteremo se e come proseguire la nostra iniziativa, ben sapendo che la generosità dei contributori, dei sostenitori e di tutti coloro che credono e lavorano a questo progetto, in ogni caso, non sarà vana.
Non vogliamo certo impegnarci, senza altri fini se non quello di aiutare la nostra città a salvare un pezzo della sua storia, se le persone a cui abbiamo teso una mano non reputano il nostro contributo necessario.
La storia insegna che ‘’quando cento fiori fioriscono e cento scuole di pensiero gareggiano" si cresce tutti insieme. Ma se si preferisce tagliare gli steli, non rimane che il deserto, con buona pace dei Ronaldo.
Ed ecco il doppio commento che Lagioia ha scritto in calce al post oggi, verso mezzogiorno:
Se posso permettermi (visto che
vengo tirato in ballo io direttamente, lo dico anche oggi su
Repubblica, questa volta ho dettato io il virgolettato, lo trovate
sul giornale) non ho mai detto che la vostra iniziativa non è utile.
Tutto il contrario. E' utile se si tiene conto dell'offerta che
se ho ben capito arriva dalle fondazioni bancarie e delle esigenze
dei fornitori. Tutto qui. A scanso davvero di equivoci che non
servono a nessuno, copio/incollo le parole che ho dettato ieri al
giornale: "Più volte ho detto che l'iniziativa del gruppo
'Pazzi per Torino' è un segnale di grande amore per il Salone, un
segnale che chi lavora e ha lavorato perdendo il sonno per la
manifestazione anche quando veniva data per finita, apprezza molto. E
certamente non ho detto, e non penso, che l'iniziativa sia inutile.
Ho detto al contrario che può essere molto utile se è in grado di
migliorare la situazione esistente, tenendo conto sia delle offerte
che già si sono palesate che delle esigenze dei fornitori. Neppure
penso che la questione del marchio non abbia importanza. Ha
importanza eccome! Ritengo però che, comunque vada il 24 dicembre,
il Salone del libro si farà qui a Torino. Noi lotteremo ogni secondo
del nostro tempo perché sia così, come del resto abbiamo fatto in
tutte le situazioni di emergenza - e non sono poche - in cui ci siamo
trovati. Chiunque ci aiuti davvero a farlo, ha tutta la nostra
gratitudine. Detto questo, sempre a disposizione per qualunque tipo
di confronto".
E anche (perché la chiarezza sia
completa) la metafora calcistica: ho detto alla giornalista che il
vero segreto del Salone (il Ronaldo collettivo, se così possiamo
dire) è la squadra, i lettori, il territorio (cioè Torino), e che,
se tutto dovesse andare male (perché l'asta è pubblica e tutti
possono partecipare), quella forza (la squadra del Salone che è
sempre pronta a ogni sacrificio e lavora sempre con grande umiltà, i
lettori, la partecipazione di tutto il territorio) resta qui a
Torino. Anziché la metafora calcistica avrei potuto metterla con
Shakespeare: "una rosa profumerebbe forse di meno, se avesse un
altro nome?" E certo, il nome della rosa è comunque importante.
Ho detto tra l'altro alla giornalista che insieme con il nome l'asta
del marchio comprende anche le sale, pure molto importanti per
organizzare il Salone, ma temo che forse per motivi di spazio questo
altro dettaglio sia saltato. Tenete tra l'altro conto che, mentre si
lotta per il marchio, noi dobbiamo anche rassicurare un migliaio di
editori che il Salone comunque (marchio o non marchio) si fa qui.
Perché se abbiamo il marchio ma non abbiamo gli editori, è finita.
Insomma, destreggiarsi in questa situazione non è affatto semplice.
E certo, senza marchio diventa tutto più difficile. Detto questo,
comunicare attraverso la mediazione delle rispettive interviste
(ricordatevi sempre che i titolisti la sparano grossa al di là dei
virgolettati, è il loro mestiere) mi sembra il modo migliore per
fraintendersi. Tutto più facile se ci si sente o ci si vede
direttamente, no? Io ora sono a Roma perché iniziano gli incontri
per il Salone di Più Libri Più Liberi. Ma se volete chiamarmi, o
volete che vi chiami, con grande piacere ci parliamo.
Ecco poi il post che Pazzi per Torino ha pubblicato sulla sua pagina Fb stasera verso le 19
Ecco poi il post che Pazzi per Torino ha pubblicato sulla sua pagina Fb stasera verso le 19
Ecco il dono per chi
ha versato un contributo al “Comitato Pazzi per
Torino”per salvare il Salone del Libro.
Si tratta di una stampa di un’opera
che l’artista Sabrina Rocca ha realizzato per noi.
Con Eppela, la piattaforma di
crowdfunding, abbiamo scelto questa forma di “ricompensa” per tutti
i sottoscrittori.
L’opera non conterrà, come previsto
in origine, sul dorso di ciascun libro, i nomi di tutti i
salvatori del Salone, perché ci fermiamo qui.
Perché ci fermiamo qui?
Ci ha preoccupato lo scioglimento e la
liquidazione della Fondazione per Libro.
Apprendere poi che il marchio
ed i beni ad esso collegati sarebbero stati messi all’asta, ci ha
spinti a riunirci.
La lettura del bando di
vendita, in particolare laddove si ordina “ che l’aggiudicatario
dell’asta si impegni già in sede di partecipazione alla stessa ad
assicurare la continuità delle attività culturali svolte
dal Salone del Libro, direttamente o tramite terzi
affidatari, in ragione del fatto che il compendio
vincolato è testimonianza e ricaduta materiale di una attività
culturale di grande rilievo la cui permanenza nel panorama culturale
nazionale è di interesse generale” ci ha ulteriormente convinti
che non si poteva rimanere fermi. Bisognava agire.
Il fatto cioè che il marchio
e la continuità del Salone potessero migrare altrove,
privando ancora una volta la nostra Città di un’eccellenza con
forti ricadute economiche, sociali e culturali, ci ha allarmato.
Per questo abbiamo promosso la
raccolta fondi. Perché il salone del Libro resti a Torino.
La risposta è stata straordinaria, sia
in termini di partecipazione sia di contributi economici, ma
soprattutto abbiamo stimolato un più ampio dibattito sul
futuro del Salone.
Restituiremo tutto ciò che il Comitato
riceve, ma dobbiamo dire stop ai contributi.
Ci fermiamo perché le dichiarazioni
pubbliche di chi ha la responsabilità di difendere il marchio
e organizzare la prossima kermesse hanno escluso in maniera
categorica che vi sia un pericolo per il Salone.
A rischiare, semmai,
sarebbe il marchio. Ma anche qui risulterebbe che vi siano
delle “offerte che si sono già palesate”, garantendone la
continuità.
Non possiamo che fare il tifo per chi
ha il nostro medesimo obiettivo: che il marchio e con
esso il Salone restino a Torino.
Missione compiuta dunque? Per quanto
ci riguarda sì.
Se il Salone resta
a Torino, sì.
L’energia positiva e propositiva,
generata insieme a tanta parte della comunità cittadina, è ora
patrimonio del Salone.
A noi il compito di non
disperderla, alle Istituzioni la responsabilità di non deluderla.
Una storia così non si cancella!
Per finire, ecco la lettera aperta che i fornitori dell'ex Fondazione per il Libro hanno scritto ai vertici del Salone del Libro (quello che verrà, intendo)
Alla C.A. del presidente Biino e del direttore Nicola Lagioia,
Gentile presidente e gentile direttore,
abbiamo letto e seguiamo con grande interesse le vostre dichiarazioni apparse nei giorni scorsi sui giornali, ivi comprese le opportune precisazioni condivise dal direttore sui social network, ma crediamo sia ingiusto e scorretto, dire che si possa fare un "Salone del Libro" a Torino, con o senza la titolarità del Marchio. Quel Marchio è ciò che rimane di una struttura che ha 4.500.000,00 € di debiti con il territorio. Quel Marchio, assieme al lavoro non pagato dei fornitori che, non dimentichiamolo, hanno contribuito a mantenere in vita il Salone, incarna in se un evento fieristico di straordinario successo e raccoglie delle categorie merceologiche sulle quali l’evento si basa. Pensare di realizzare un evento analogo senza acquistarlo equivale a “pensare ad una truffa” palese e sfrontata. Rappresentate una delle istituzioni culturali più importanti della Città e della Regione e non potete operare con un modus operandi così spregiudicato. Come sarebbe giudicato, qualsiasi gestore di un'attività che decida di chiuderla non pagando i propri debiti e riaprirla il giorno successivo, con o senza lo stesso nome, ma mantenendone lui stesso la proprietà, nello stesso posto, e per giunta con la stessa gestione? Ci aggrappiamo all’etica, ed al “buon senso”, perché non ci è rimasto molto altro, le istituzioni di questo territorio dovrebbero risolvere i problemi, non crearne altri.
abbiamo letto e seguiamo con grande interesse le vostre dichiarazioni apparse nei giorni scorsi sui giornali, ivi comprese le opportune precisazioni condivise dal direttore sui social network, ma crediamo sia ingiusto e scorretto, dire che si possa fare un "Salone del Libro" a Torino, con o senza la titolarità del Marchio. Quel Marchio è ciò che rimane di una struttura che ha 4.500.000,00 € di debiti con il territorio. Quel Marchio, assieme al lavoro non pagato dei fornitori che, non dimentichiamolo, hanno contribuito a mantenere in vita il Salone, incarna in se un evento fieristico di straordinario successo e raccoglie delle categorie merceologiche sulle quali l’evento si basa. Pensare di realizzare un evento analogo senza acquistarlo equivale a “pensare ad una truffa” palese e sfrontata. Rappresentate una delle istituzioni culturali più importanti della Città e della Regione e non potete operare con un modus operandi così spregiudicato. Come sarebbe giudicato, qualsiasi gestore di un'attività che decida di chiuderla non pagando i propri debiti e riaprirla il giorno successivo, con o senza lo stesso nome, ma mantenendone lui stesso la proprietà, nello stesso posto, e per giunta con la stessa gestione? Ci aggrappiamo all’etica, ed al “buon senso”, perché non ci è rimasto molto altro, le istituzioni di questo territorio dovrebbero risolvere i problemi, non crearne altri.
A nostro parere ci sono solo 2 modi
affinché le istituzioni possano parlare a pieno titolo ed in modo
convinto di un possibile Salone organizzato sotto il loro cappello a
Maggio, a Torino:
1) Fare un'offerta da 4.500.000,00 €
al bando indetto dal tribunale di Torino.
2) Organizzare un tavolo di lavoro con
tutti i soggetti che a vario titolo si sono palesati, come soggetti
privati interessati all’acquisto del marchio e cioè: le Fondazioni
Bancarie, gli organizzatori del Foundraising e noi Fornitori. Per
costruire tutti insieme un offerta che arrivi a 4.500.000,00 € e
che successivamente attivi un processo per rimettere il marchio, e di
conseguenza anche l’evento, a disposizione delle istituzioni.
Solo pagando i propri debiti il Salone
del Libro può tornare ad essere l’orgoglio di questo territorio ed
i rappresentanti Istituzionali possono tornare a vantarsene.
In attesa di un cortese riscontro
porgiamo distinti saluti.
I fornitori del Salone del Libro.
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