Una domenica così bigia e fredda non ti invoglia a uscire. Meglio starsene tappati in casa a gironzolare per la rete. E gironzolando per la rete mi imbatto in un mio articolo del 2012, di cui avevo perso ogni memoria. Lo scrissi su TorinoSette per commentare il cosiddetto "Caso Martina", la vicenda della potente dirigente del Comune travolta dalla "scoperta" di irregolarità nel suo operato.
Rileggendolo mi accorgo che sto diventando - come tutti i vecchi - noioso e ripetitivo: dico sempre le stesse cose. O forse sono LORO che pestano sempre gli stessi merdoni? Giudicate voi. Premesso che fra le due vicende ci sono enormi differenze, io vi ripubblico, in sequenza, i due articoli: quello del 19 ottobre 2012 sul "Caso Martina" e quello di pochi giorni fa sul "Caso Soria" uscito su La Stampa del 17 febbraio, proprio la mattina del giorno in cui Soria, in tribunale, vuotò il sacco accusando di "complicità" politici, intellettuali e artisti assortiti.
Anna Martina, a lungo dirigente del Comune nel settore cultura, ha rassegnato le dimissioni dopo la rivelazione (rivelazione?) che, ella regnante, molti incarichi professionali pubblici erano stati affidati alla società del figlio, titolare di uno studio di registrazione (peraltro fra i più reputati del Piemonte). Questi i fatti: che, pur in assenza di riflessi penali, appaiono imbarazzanti per l’amministrazione e inducono taluni a postulare l’esistenza di un «sistema Martina», così come ai tempi dello scandalo Grinzane si scoprì (ma va?) che esisteva un «sistema Soria». Le due vicende non sono neppur lontanamente paragonabili: allora vennero accertati reati assai gravi, con abuso di denaro pubblico. Qui, per quanto ci è dato di capire, siamo invece di fronte - a seconda di come vogliate leggerlo - a un problema etico, a una questione di opportunità, a una leggerezza. Ma in entrambi i casi è stata comicamente simile la reazione dei politici, dei pubblici amministratori, che non mancano di ostendere ad ogni piè sospinto la convinzione di tutto sapere, tutto potere e tutto prevedere. E che in queste occasioni fanno come i bambini di Povia: «Ooohhh».
C’è poi chi approfitta di queste miserie per denigrare l’intero mondo della cultura. Che invece non è peggiore (e spesso è migliore) di tanti altri. Anna Martina ha lavorato bene, e ha avuto indubbi meriti nella promozione di Torino; poi, come chiunque, ha pure commesso errori, indipendentemente dagli addebiti che ora l’hanno spinta alle dimissioni. Ma il problema è altro, e si ricollega a quanto scritto in questa rubrica la settimana scorsa quando proponemmo di sottrarre ai politici quanto meno il potere di nominare i vertici delle istituzioni culturali sfuggendo a qualsiasi forma di verifica (o voto) popolare: quis custodiet custodes? Sono questi signori in grado di valutare, scegliere per il meglio, e in ultimo controllare? A sentire loro, sì. Ma allora, perché alla prova dei fatti salta fuori che sono sempre gli ultimi a sapere?
Rileggendolo mi accorgo che sto diventando - come tutti i vecchi - noioso e ripetitivo: dico sempre le stesse cose. O forse sono LORO che pestano sempre gli stessi merdoni? Giudicate voi. Premesso che fra le due vicende ci sono enormi differenze, io vi ripubblico, in sequenza, i due articoli: quello del 19 ottobre 2012 sul "Caso Martina" e quello di pochi giorni fa sul "Caso Soria" uscito su La Stampa del 17 febbraio, proprio la mattina del giorno in cui Soria, in tribunale, vuotò il sacco accusando di "complicità" politici, intellettuali e artisti assortiti.
Anna Martina (foto dal sito del Comune di Torino) |
TorinoSette del 19 ottobre 2012: I bambini fanno "Ooohhh"
Quando accadono cose come quelle che stanno accadendo in questi giorni a Torino, la faccenda più curiosa è che tutti sembrarono cascare dal pero, come se fossero vissuti all’estero fino all’altro ieri.Anna Martina, a lungo dirigente del Comune nel settore cultura, ha rassegnato le dimissioni dopo la rivelazione (rivelazione?) che, ella regnante, molti incarichi professionali pubblici erano stati affidati alla società del figlio, titolare di uno studio di registrazione (peraltro fra i più reputati del Piemonte). Questi i fatti: che, pur in assenza di riflessi penali, appaiono imbarazzanti per l’amministrazione e inducono taluni a postulare l’esistenza di un «sistema Martina», così come ai tempi dello scandalo Grinzane si scoprì (ma va?) che esisteva un «sistema Soria». Le due vicende non sono neppur lontanamente paragonabili: allora vennero accertati reati assai gravi, con abuso di denaro pubblico. Qui, per quanto ci è dato di capire, siamo invece di fronte - a seconda di come vogliate leggerlo - a un problema etico, a una questione di opportunità, a una leggerezza. Ma in entrambi i casi è stata comicamente simile la reazione dei politici, dei pubblici amministratori, che non mancano di ostendere ad ogni piè sospinto la convinzione di tutto sapere, tutto potere e tutto prevedere. E che in queste occasioni fanno come i bambini di Povia: «Ooohhh».
C’è poi chi approfitta di queste miserie per denigrare l’intero mondo della cultura. Che invece non è peggiore (e spesso è migliore) di tanti altri. Anna Martina ha lavorato bene, e ha avuto indubbi meriti nella promozione di Torino; poi, come chiunque, ha pure commesso errori, indipendentemente dagli addebiti che ora l’hanno spinta alle dimissioni. Ma il problema è altro, e si ricollega a quanto scritto in questa rubrica la settimana scorsa quando proponemmo di sottrarre ai politici quanto meno il potere di nominare i vertici delle istituzioni culturali sfuggendo a qualsiasi forma di verifica (o voto) popolare: quis custodiet custodes? Sono questi signori in grado di valutare, scegliere per il meglio, e in ultimo controllare? A sentire loro, sì. Ma allora, perché alla prova dei fatti salta fuori che sono sempre gli ultimi a sapere?
Giuliano Soria |
La Stampa del 17 febbraio 2015: Giuliano Soria, il cattivo necessario
Adesso è proprio finita. Giuliano Soria rinuncia anche all’appartamento di Parigi, superstite gioiello del suo impero. Sono passati cinque anni e dell’epopea del Premio Grinzane Cavour non resta più nulla, se non un cumulo di atti giudiziari e la cattiva coscienza di chi incensò Soria nella buona sorte e lo rinnegò nella disgrazia. Attorno a Soria, all’epoca del suo massimo splendore, si muoveva una pittoresca corte dei miracoli fatta di politici, intellettuali e giornalisti, ammaliati, talora complici e sempre vezzeggiati. Non avendo mai usufruito dei suoi viaggi premio, dopo la caduta del Grande Affabulatore mi sono riservato il diritto di riconoscerne i meriti, oltre alle colpe. Soria fu un manager culturale con una visione: e inventò un modello di sviluppo che – al netto di deviazioni e abusi di cui deve occuparsi la magistratura – aveva in sé spunti di grande modernità. Non voglio assolverlo: il fine non sempre giustifica i mezzi, e nel caso di Soria neppure i fini pare fossero particolarmente encomiabili. Ritengo però che la bulimica ricerca di finanziamenti, alla base del sistema-Soria, poggiasse su un meccanismo che, utilizzato con onestà e trasparenza, potrebbe ancora oggi rivelarsi vincente, e virtuoso, se indirizzato al bene pubblico e non al profitto personale o familistico.
Ma queste sono riflessioni senza importanza, ormai. In certe
storiacce affollate di code di paglia, per chiudere i conti ci vuole un Cattivo
assoluto che faccia sentire buoni tutti gli altri. E ripenso alle parole del gangster
Al Pacino in “Scarface”: “Vi serve la gente come me, così potete puntare ilvostro dito del cazzo e dire Quello è un uomo cattivo. Coraggio, augurate la buona notteal cattivo!”.
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