Sono giornatacce, per me. Talmente acce da costringermi a trascurare le sciocchezze della povera cronaca quotidiana.
Mi corre però l'obbligo di chiudere (per ora) il dossier "Capitali della cultura" rimediando a un malagurato incidente informatico che ha causato la scomparsa del primo capoverso del mio articolo uscito sull'edizione cartacea del Corriere di ieri. L'articolo completo lo trovate adesso on line a questo link https://torino.corriere.it/cultura/19_gennaio_21/torino-capitale-cultura-2033-lontano-ma-strategia-serve-ora-a87dfcb2-1d59-11e9-bb3d-4c552f39c07c.shtml. L'incipit smarrito nell'impaginazione dell'edizione cartacea è il seguente: "In un sonnacchioso pomeriggio di luglio dello scorso anno Chiarabella - mentre s’allontanavano le Olimpiadi - tirò fuori all’impronta la boutade di candidare Torino a “capitale italiana della cultura” con il dichiarato scopo di “rilanciare la città”. L’idea mi sembrò assai buffa: in un articolo sul Corriere ipotizzai che dalle parti del Municipio ci fosse un pizzico di confusione a proposito di capitali della cultura. Tentai quindi di spiegare a lorsignori che il titolo di “capitale italiana della cultura” frutta pochi soldi e scarsa visibilità. In genere viene assegnato a piccole città con una vocazione culturale, tipo Ravenna, Mantova, Pistoia: per il 2018 ci aveva provato anche Settimo Torinese, sfiorando il successo. La Capitale europea della cultura - mi azzardai a suggerire - è invece una prospettiva seria, che produce risultati seri". In effetti, così è più chiaro perché, nel prosieguo dell'articolo, mi permetto di definire "fanfeluche" gli entusiasmi dell'amministrazione cittadina alla prospettiva di candidare Torino come "Capitale italiana della cultura 2021": a mio avviso è come se la Juve o il Napoli puntassero, oggi come oggi, a vincere il campionato di serie B. Comunque avevo già approfondito la questione in un post e un articolo del luglio 2018.
Grazie a queste candidature vorrei dunque che la cultura tornasse al centro del dibattito politico, per elaborare una visione del mondo nuova da contrapporre a quella che oggi sembra vincente, e che non fa che guardare indietro anziché proiettarsi nel futuro. Mi aspetterei però che alle parole seguissero i fatti, ovvero che si smettesse di tagliare le risorse alla cultura e si ricominciasse ad aumentare i contributi partendo, per esempio, dalle biblioteche, invece di distillare pochi spiccioli come a mendicanti. Il governo spagnolo di Sanchez ha aumentato del 10% i fondi della cultura, del 12 % per i musei e del 7% per le biblioteche. Riprendendo quanto scrive Stefano Lo Rosso, quindi, è vero, siamo tutti stufi di bilanci, di precarietà ed incertezza: per primi gli operatori culturali della nostra città. Partiamo allora tutti insieme per questo obiettivo, Torino Capitale Europea della Cultura 2033, ma facciamolo ridando dignità politica ed economica alla parola cultura".
Più o meno quello che sostengo io. Però con diverse conclusioni: alla luce del mio ragionevole pessimismo io sono portato a pensare che, considerando la Torino reale - la società, la politica, la cultura torinesi - per ciò che è, forse è meglio lasciar perdere.
Mi corre però l'obbligo di chiudere (per ora) il dossier "Capitali della cultura" rimediando a un malagurato incidente informatico che ha causato la scomparsa del primo capoverso del mio articolo uscito sull'edizione cartacea del Corriere di ieri. L'articolo completo lo trovate adesso on line a questo link https://torino.corriere.it/cultura/19_gennaio_21/torino-capitale-cultura-2033-lontano-ma-strategia-serve-ora-a87dfcb2-1d59-11e9-bb3d-4c552f39c07c.shtml. L'incipit smarrito nell'impaginazione dell'edizione cartacea è il seguente: "In un sonnacchioso pomeriggio di luglio dello scorso anno Chiarabella - mentre s’allontanavano le Olimpiadi - tirò fuori all’impronta la boutade di candidare Torino a “capitale italiana della cultura” con il dichiarato scopo di “rilanciare la città”. L’idea mi sembrò assai buffa: in un articolo sul Corriere ipotizzai che dalle parti del Municipio ci fosse un pizzico di confusione a proposito di capitali della cultura. Tentai quindi di spiegare a lorsignori che il titolo di “capitale italiana della cultura” frutta pochi soldi e scarsa visibilità. In genere viene assegnato a piccole città con una vocazione culturale, tipo Ravenna, Mantova, Pistoia: per il 2018 ci aveva provato anche Settimo Torinese, sfiorando il successo. La Capitale europea della cultura - mi azzardai a suggerire - è invece una prospettiva seria, che produce risultati seri". In effetti, così è più chiaro perché, nel prosieguo dell'articolo, mi permetto di definire "fanfeluche" gli entusiasmi dell'amministrazione cittadina alla prospettiva di candidare Torino come "Capitale italiana della cultura 2021": a mio avviso è come se la Juve o il Napoli puntassero, oggi come oggi, a vincere il campionato di serie B. Comunque avevo già approfondito la questione in un post e un articolo del luglio 2018.
Guardiamola in faccia, la realtà
Tra le reazioni alla proposta della candidatura europea 2033, credo meriti di essere ripreso quanto ha scritto sulla sua pagina Fb l'assessore Parigi, che ha il coraggio di non nascondersi le criticità e di andare oltre gli anfanamenti di circostanza, mettendo sul tavolo una serie di problemi che ritengo assolutamente reali. Scrive infatti la Parigi: "La parola "cultura", e aggiungerei anche formazione e istruzione, sono scomparse dal dibattito politico. Non mi riferisco alla sterile propaganda elettorale, che guarda a due mesi al massimo tre, ma a una visione del mondo che orienti politiche di lungo termine: perché sono convinta sia di queste che abbiamo bisogno.E credo anche che la costruzione di una riflessione politica nel centrosinistra dovrebbe ripartire proprio da qui, dalla cultura. Non solo perché utile all'identità europea, motore di integrazione e fattore di trasformazione delle città, come scrive anche Stefano Lo Russo, ma perché è l'unica risposta plausibile alla paura del futuro, che percorre tutte le società occidentali, e alla crescente complessità dei problemi che il mondo intero deve affrontare. Cultura e formazione possono fornire gli strumenti cognitivi per muoversi a proprio agio in un mondo in cambiamento e che necessita risposte complesse. Di fronte allo sviluppo della tecnologia, della robotica e dell'intelligenza artificiale e delle paure ad esse connesse, l'unica risposta possibile è infatti quella di potenziare l'uomo e la sua umanità. Ecco perché, insieme alla candidatura di Torino come Capitale Europea della Cultura, io vorrei anche candidare la città a diventare il laboratorio di un nuovo umanesimo, in dialogo con tecnologia e sviluppo. Mettendo cioè al centro alcuni temi fondamentali e strettamente legati allo sviluppo tecnologico, dall'etica al lavoro, che possano contribuire a umanizzarlo e a renderlo "a misura d'uomo", quindi non più un processo ineluttabile, incontrollabile e destinato a travolgere le nostre società, ma una possibile risorsa. Su queste riflessioni vorrei che Torino diventasse un punto di riferimento, dove si elaborano e si propongono nuove visioni su tecnologia e umanità.Grazie a queste candidature vorrei dunque che la cultura tornasse al centro del dibattito politico, per elaborare una visione del mondo nuova da contrapporre a quella che oggi sembra vincente, e che non fa che guardare indietro anziché proiettarsi nel futuro. Mi aspetterei però che alle parole seguissero i fatti, ovvero che si smettesse di tagliare le risorse alla cultura e si ricominciasse ad aumentare i contributi partendo, per esempio, dalle biblioteche, invece di distillare pochi spiccioli come a mendicanti. Il governo spagnolo di Sanchez ha aumentato del 10% i fondi della cultura, del 12 % per i musei e del 7% per le biblioteche. Riprendendo quanto scrive Stefano Lo Rosso, quindi, è vero, siamo tutti stufi di bilanci, di precarietà ed incertezza: per primi gli operatori culturali della nostra città. Partiamo allora tutti insieme per questo obiettivo, Torino Capitale Europea della Cultura 2033, ma facciamolo ridando dignità politica ed economica alla parola cultura".
Più o meno quello che sostengo io. Però con diverse conclusioni: alla luce del mio ragionevole pessimismo io sono portato a pensare che, considerando la Torino reale - la società, la politica, la cultura torinesi - per ciò che è, forse è meglio lasciar perdere.
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