La decisione del direttore del Torino Film Festival, Stefano Francia di Celle, di cancellare ("sospendere" è l'eufemismo usato) dal programma della trentottesima edizione il Premio Cipputi ("visti i tagli al budget e l'emergenza covid non possiamo assolutamente permetterci di sostenerlo") ha suscitato, com'è nell'ordine naturale delle cose, la pronta reazione di Marco Grimaldi, capogruppo di Leu in Regione.
Grimaldi ipotizza che si tratti di una scelta politica. In effetti, il Premio Cipputi - creato 25 anni fa da Altan e da Cosimo Torlo - premia ogni anno un film del Festival dedicato ai temi del lavoro. Ammetto quindi che possa apparire un po' troppo "rosso", per i gusti dell'attuale giunta regionale. Ma Grimaldi ammette anche che potrebbe trattarsi di "un pretesto per parlare del sottodimensionamento del Tff".
Pur non ponendo limite all'idiozia umana, stavolta propendo per quest'ultima motivazione. Ed è quella che deve preoccupare davvero.
La storia recente ci ha insegnato infatti che le miserevoli "censure" della politica finiscono con la fine politica dei censori (ricordate quando Cota negò il patrocinio della Regione a Cinema Gay?); mentre i tagli ai finanziamenti sono per sempre.
Certo, il Premio Cipputi può sembrare poco importante agli occhi cinefili di Francia di Celle; e il suo valore simbolico forse disturberebbe qualche pasdaran della destra, specie in una città del lavoro dove esattamente quarant'anni fa il lavoro cominciò a cambiare con i picchettaggi alla Fiat e la Marcia dei Quarantamila. Ma l'impressione mia è che il tapino direttore, alla prese con un taglio del budget del 35 per cento, non menta quando motiva con ragioni di risparmio la sua decisione: è pur vero che il "Cipputi" costa pochissimo (al massimo un migliaio di euro di spese, azzarda Cosimo Torlo), ma quando hai le tasche vuote perdi la dimensione delle cose e vai col machete. A chi tocca tocca.
Ora, a me pare un'evidente questione di opportunità salvare il Premio Cipputi; anche dal punto di vista della giunta regionale, che non potrebbe che uscire danneggiata dal pur semplice sospetto di aver esercitato una censura tanto cretina.
Ciò che dovrebbe però allarmare davvero i torinesi - i pochi almeno che ancora hanno a cuore certe cose - è il declino di quello che era considerato il secondo più importante cinefestival italiano.
Il 2020 nei sogni di lorsignori doveva essere l'Anno del Cinema (trovatona davvero nata sotto una buona stella...). E' diventato l'anno del Covid. Quindi un Tff d'emergenza e in formato mignon ci può stare; ci deve stare. Ma ridurre del 35 per cento un budget da anni e anni subisce economie, limature e tiramenti di cinghia non è più un sacrificio: è un tentativo di suicidio, che riuscirà se il "sacrificio" diventerà da emergenziale a permanente, come spesso accede nel nostro sventurato paese.
Pur non ponendo limite all'idiozia umana, stavolta propendo per quest'ultima motivazione. Ed è quella che deve preoccupare davvero.
La storia recente ci ha insegnato infatti che le miserevoli "censure" della politica finiscono con la fine politica dei censori (ricordate quando Cota negò il patrocinio della Regione a Cinema Gay?); mentre i tagli ai finanziamenti sono per sempre.
Certo, il Premio Cipputi può sembrare poco importante agli occhi cinefili di Francia di Celle; e il suo valore simbolico forse disturberebbe qualche pasdaran della destra, specie in una città del lavoro dove esattamente quarant'anni fa il lavoro cominciò a cambiare con i picchettaggi alla Fiat e la Marcia dei Quarantamila. Ma l'impressione mia è che il tapino direttore, alla prese con un taglio del budget del 35 per cento, non menta quando motiva con ragioni di risparmio la sua decisione: è pur vero che il "Cipputi" costa pochissimo (al massimo un migliaio di euro di spese, azzarda Cosimo Torlo), ma quando hai le tasche vuote perdi la dimensione delle cose e vai col machete. A chi tocca tocca.
Ora, a me pare un'evidente questione di opportunità salvare il Premio Cipputi; anche dal punto di vista della giunta regionale, che non potrebbe che uscire danneggiata dal pur semplice sospetto di aver esercitato una censura tanto cretina.
Ciò che dovrebbe però allarmare davvero i torinesi - i pochi almeno che ancora hanno a cuore certe cose - è il declino di quello che era considerato il secondo più importante cinefestival italiano.
Il 2020 nei sogni di lorsignori doveva essere l'Anno del Cinema (trovatona davvero nata sotto una buona stella...). E' diventato l'anno del Covid. Quindi un Tff d'emergenza e in formato mignon ci può stare; ci deve stare. Ma ridurre del 35 per cento un budget da anni e anni subisce economie, limature e tiramenti di cinghia non è più un sacrificio: è un tentativo di suicidio, che riuscirà se il "sacrificio" diventerà da emergenziale a permanente, come spesso accede nel nostro sventurato paese.
La miseria del Museo e dei suoi festival ha radici lontane, è dai tempi di Fassino (e della crisi del 2008) che le risorse calano. L'anno scorso il budget del Tff era di un milione e novecentoquarantamila: nel 2016 era di due milioni e mezzo; e già si parlò di "festival con le pezze al culo" quando nel 2017 venne ridotto a 2 milioni e 50 mila. Quest'anno, con il taglio del 35 per cento, precipiteremo a un milione e duecentosessantamila euro. Un terzo di quanto spendono a Roma per la loro trashissima Festa del Cinema.
Il Tff è, con Cinemambiente e Lovers, uno dei festival del Museo del Cinema, dal cui bilancio dipendono quindi i relativi budget. E quest'anno il bilancio del Museo è stato pesantemente colpito dalla scomparse, per mesi, degli incassi della biglietteria che nel 2019 valevano oltre 4 milioni di euro, più di un terzo del totale degli introiti del Museo. E a questa botta si è aggiunto il taglio del 5 per cento dei contributi, deciso dalla Regione a danno di tutte le fondazioni partecipate.
Prima o poi l'era del covid finirà. Finiranno anche i sacrifici? Verranno quantomeno ristabiliti i budget ai livelli pre-pandemia?Sarebbe giusto. Mi pare illusorio sperarlo.
Il Tff è, con Cinemambiente e Lovers, uno dei festival del Museo del Cinema, dal cui bilancio dipendono quindi i relativi budget. E quest'anno il bilancio del Museo è stato pesantemente colpito dalla scomparse, per mesi, degli incassi della biglietteria che nel 2019 valevano oltre 4 milioni di euro, più di un terzo del totale degli introiti del Museo. E a questa botta si è aggiunto il taglio del 5 per cento dei contributi, deciso dalla Regione a danno di tutte le fondazioni partecipate.
Prima o poi l'era del covid finirà. Finiranno anche i sacrifici? Verranno quantomeno ristabiliti i budget ai livelli pre-pandemia?Sarebbe giusto. Mi pare illusorio sperarlo.
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