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DAMILANO-LO RUSSO-SGANGA, IL TRIELLO AL COLOSSEO

Ricominciamo alla grande. Sono tornato dalla villeggiatura giusto in tempo per il primo confronto pubblico fra i candidati sindaci, ieri al teatro Colosseo, organizzato dalla Stampa. Il Colosseo è proprietà di Claudia Spoto, che è candidata nella lista di Damilano: quindi Damilano giocava in casa, ma il fattore campo non contava, visto che anche Lo Russo e la Sganga si erano portati dietro le tifoserie. Sul palco a dibattere c'erano loro tre: degli altri candidati abbiamo visto soltanto le clip in cui i tizi e i caii illustravano i loro “programmi” e a giudicare da quel che s'è sentito non ci siamo persi niente.
Quanto ai tre agonisti sul palco, le mie “pagelle” (molto molto generose, lo confesso) le trovate sul Corriere di stamattina (https://torino.corriere.it/politica/21_settembre_08/torino-voti-3-candidati-sindaco-il-confronto-42593c2a-1073-11ec-ab7a-b73971e4222a.shtml ). Vi confesso che lo spettacolo non mi ha entusiasmato. Lasciamo stare la Sganga, che porella fa tenerezza quando si proclama certa di arrivare lei al ballottaggio e si schermisce civettuola se le chiedono chi appoggerebbe casomai al ballottaggio ci andassero gli altri due. Manco esistesse ancora un elettore che vota seguendo le indicazioni del partito.
Gli altri due recitano la loro parte in commedia: Damilano fa l'imprenditore di successo che scende in politica per salvare l'amata patria (questa l'ho già sentita...), Lo Russo il serioso che conosce Torino e la macchina del Comune e sa cosa fare per salvare l'amata patria. L'amata patria ringrazia e incrocia le dita.
Chi ha vinto? Dipende dai punti di vista. Sul piano tecnico, della pratica amministrativa, Lo Russo è più preparato, non ci piove: ci sta dentro da almeno dieci anni, e sono dieci anni che studia da sindaco. Ma quei dieci anni sono anche il suo peccato capitale, dato che per Torino non sono stati dieci anni di gloria, né quando Lo Russo stava in maggioranza, né quand'era all'opposizione. Però Lo Russo dice che adesso “loro” (presumo il pd) hanno imparato la lezione, e in effetti dieci anni per apprendere una lezione dovrebbero bastare. Da come vanno le cose dentro al pd torinese non si direbbe, ma forse è solo un'impressione mia, e io sono negativo per natura.
Sta di fatto che le proposte di Lo Russo non fanno gridare al miracolo ma – questo lo riconosco – almeno sulla carta paiono concrete e fattibili: semmai mancano di quella visionarietà a colori che piace all'elettore medio e che oggettivamente servirebbe per tirar fuori Torino dalla palude in cui sta affondando neppure tanto lentamente. Lo Russo è in linea con il chiamparinissimo "esageruma nen". Quello del Chiampa tuttavia era soltanto un vezzo da understatement sabaudo: esagerare con l'esageruma nen non mi pare una figata, adesso.
La visionarietà non manca invece a Damilano. Lui pensa in grande, e ciò è un bene: a Torino abbiamo perso l'abitudine, ma solo pensando in grande si diventa grandi. A voler essere pignoli – e io lo voglio – c'è da dire che la fa fin troppo facile: il tunnel sotto il Po, la monorotaia, l'interramento di Porta Nuova... Peccato non avere uno stretto per farci sopra un ponte. Si sa: l'imprenditore è l'uomo del fare, purtroppo in politica tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare farraginoso della pubblica amministrazione che procede con tempi e modi tutti suoi, e tanti ci si sono rotti i denti scontrandocisi. Però l'assertivo Damilano ha un sogno (I have a dream), e dice che per Torino è il tempo di essere affamati e folli (be hungry be foolish), e lui sogna una Torino internazionale il cui sindaco (lui) porta in dono tartufi e barolo al sindaco di Parigi e al sindaco di Praga, e non ho capito bene perché dovremmo regalare tartufi e barolo proprio al sindaco di Praga (in cambio di prosciutti?), ma insomma è una strategia perché, dice Damilano, è importante avere relazioni (politiche, s'intende) all'estero e anche a Roma (vuol dire che porteremo tartufi e barolo anche a Roma?) ma questo non mi spiega Praga.
Insomma: Damilano ha un grande sogno, e lo dice con voce profonda e bene impostata, e sul piano emozionale scalda gli animi più del serioso Lo Russo.
E sul piano dialettico va forte: l'intervistatore non riesce a incastrarlo su nessun argomento “sensibile”. Ad esempio la questione degli alleati, la Lega e Fratelli d'Italia e il Popolo delle Famiglie con le loro posizioni su immigrazione e diritti lgbt: il Dami si limita a replicare che lui è un liberale e un moderato e sui diritti non farà passi indietro, e nella sua risposta manco li cita, i compagni di strada con “diverse sensibilità”. Come se non esistessero, come se si aspettasse di ritrovarsi sindaco con una maggioranza composta unicamente dai suoi, da quelli della sua lista civica. O magari pensa che fare il sindaco sia come fare l'imprenditore, uno comanda e gli altri eseguono. Ma un Comune non è una ditta individuale, è una società per azioni, dove comandano gli azionisti di maggioranza.
Vabbé: qui il discorso si fa complicato e oggi non ho voglia di complicazioni e avrò cinque anni a disposizione per fare incazzare il prossimo sindaco di Torino, chiunque sarà.
Tanto ci aspetta un mese de fuego e non mancherà occasione per divertirci con le fantasmagoriche avventure di due candidati in cerca del voto.

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