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A COSA SERVE UNA MOSTRA

"Suonatore di liuto" di Perugino, già attribuito a Raffaello
"A Torino Raffaello è il grande assente", dice Angelamaria Aceto, curatrice di "Nel segno di Raffaello", la mostra che fino al 26 luglio presenta ventisei disegni cinquecenteschi conservati alla Biblioteca Reale.
Detta così, fuori contesto, l'affermazione può suonare ironica. In effetti, dei ventisei disegni esposti nessuno è di mano di Raffaello: alcuni sono del suo maestro Perugino o della scuola; altri di allievi e seguaci raffaelleschi; altri ancora di continuatori. 
E poi, diciamocelo: a Torino i "grandi assenti" sono tanti, Raffaello ma anche Michelangelo, e Caravaggio, e se è per questo anche Giotto, e insomma, la grande pittura italiana classica - quella famosa nel mondo che fa accorrere i turisti - da noi non è granché rappresentata, almeno con i nomi canonici (i Ferrari, Macrino, Gandolfino sono gioielli nostri amatissimi, ma poco spendibili sul mercato dei tour operator...), sicché quando parliamo di Rinascimento e dintorni ci ritroviamo con il solito Antonello da Messina e con i disegni di Leonardo che ci siamo ormai giocati fino all'inflazione, come dimostra il modesto afflusso di visitatori alla recente ostensione pasquale. 
Ma.
Ma con questa premessa non intendo dire che "Nel segno di Raffaello. Disegni del Rinascimento italiano dalle collezioni della Biblioteca Reale" non sia una mostra importante. Tutt'altro. E' una mostra importantissima perché assolve a una funzione essenziale di quei musei che non vogliono diventare semplici contenitori d'arte e parchi gioco per adulti acculturati: la funzione di "conservazione e studio", e sottolineo "studio". Mostra di alto valore scientifico, perché occasione per la curatrice di approfondire la conoscenza delle opere esposte, molte delle quali inedite, o studiate in tempi ormai remoti; arrivando così a nuove conclusioni, a nuove scoperte. L'attribuzione al Perugino di un foglio precedentemente ritenuto di mano raffaellesca, o l'approfondimento delle reciproche influenze fra Raffaello, Michelangelo e Baccio Bandinelli, sono risultati che non emozioneranno i non addetti ai lavori, ma preziosi per l'avanzamento degli studi d'arte. Questo deve fare un museo, quanto e più che presentare mostre da decine di migliaia di visitatori. Decine di migliaia di visitatori che immagino non affolleranno (e me ne dispiace) il caveau della Biblioteca Reale dove sono esposti i ventisei disegni; ma non era questo l'obiettivo. "Nel segno di Raffaello" è occasione e restituzione di una ricerca; e la ricerca, ripeto, è la prima missione di un museo serio. Le mostre inutili sono altre: sono quelle senza valore scientifico, e tuttavia senza visitatori.
Vabbé, non voglio tediarvi coi soliti pipponi. Qui sotto c'è la descrizione della mostra. E se vi incuriosisce, e se avete buon gusto, andate a visitarla. Non vi deluderà.

Dal 29 aprile al 17 luglio la Biblioteca Reale di Torino espone un prezioso nucleo di 26 disegni italiani cinquecenteschi, riconducibili alla cerchia di Raffaello.

 

La mostra ripercorre circa settant’anni di storia del disegno italiano, a partire da Perugino, il maestro da cui il giovane Raffaello Sanzio riceve il battesimo artistico, passando per la bottega romana, nella quale Raffaello, all’apice del suo successo, diventa un polo di attrazione e un modello di stile per un’intera generazione di artisti – Giulio Romano, Parmigianino, Peruzzi, Polidoro da Caravaggio, Baccio Bandinelli, Girolamo da Carpi – che da Roma prenderanno strade diverse, diffondendo in tutta l’Italia la lezione del maestro urbinate.

 

L'esposizione è il risultato di un progetto iniziato nel 2020, in occasione del 500° anniversario della morte del Maestro, finalizzato alla selezione, allo studio e alla catalogazione dei disegni italiani riconducibili alla cerchia di Raffaello posseduti dalla Biblioteca Reale. Realizzato in partnership con Intesa Sanpaolo – Gallerie d’Italia, il lavoro è stato affidato ad Angelamaria Aceto, ricercatrice presso l’Ashmolean Museum di Oxford, Istituto che conserva la più importante raccolta di disegni di Raffaello al mondo.

 

disegni sono forme d’arte di particolare fascino perché danno accesso alla dimensione più intima di un artista, testimoniano il processo creativo e formativo di un autore, diversamente da altre, si basano sull’utilizzo di poche tecniche, spesso un unico medium su una piccola porzione di carta bianca. Questa essenzialità conferisce loro una particolare forza espressiva, i disegni rivelano l’essenza della mano e della mente che li ha prodotti, ma la lettura del messaggio può risultare meno immediata rispetto ad altre opere d’arte. Per questo la mostra presenta un ricco apparato didascalico, con grandi pannelli contenenti anche immagini di confronto con opere possedute da altri Musei, per accompagnare il visitatore alla scoperta dell’articolato mondo della tradizione disegnativa rinascimentale fatta di citazioni, di copie e di studi per altre opere.

 

Il percorso espositivo è articolato in tre sezioni: Perugino e la formazione di Raffaello in Umbria; i seguaci di Raffaello a Roma negli anni delle committenze pontificie; i continuatori di Raffaello.

 

Nella prima sezione sono presenti i disegni di Perugino, il “divin pittore” formatosi nella prestigiosa bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio, frequentata a quel tempo dagli artisti più promettenti, tra cui Sandro Botticelli e Leonardo da Vinci. Perugino trasmette ai suoi allievi il valore della pratica disegnativa, tra questi il più talentuoso è il giovane Raffaello Sanzio da Urbino, che acquisisce rapidamente la lezione del maestro: lo stile classico e rigoroso, l’equilibrio e lo studio matematico delle proporzioni e della prospettiva, diventando rapidamente un modello indiscusso per gli artisti che lo seguiranno.

 

La seconda sezione è invece dedicata ai seguaci di Raffaello, giovani artisti che negli anni di papa Leone X arrivano a Roma da diverse città d’Italia e confluiscono numerosi nella bottega dell’artista urbinate, richiamati dal suo carisma e dal grande successo che gode presso i committenti più potenti e facoltosi. La gran mole di commissioni, unita alla sua nota generosità intellettuale, portano Raffaello a delegare molto lavoro ai suoi promettenti allievi che hanno così l’opportunità di apprendere rapidamente e di maturare artisticamente sotto la guida del maestro. Alla morte improvvisa e prematura di Raffaello, Giulio Romano è ormai un pittore con grande esperienza e capace di produzione autonoma, in grado di continuare molte delle prestigiose commissioni lasciate incompiute dal Maestro. In questo periodo la sua attività si intreccia strettamente con quella di Polidoro da Caravaggio, Perino del Vaga e Baldassarre Peruzzi, e di personaggi un po’ meno noti ma ugualmente interessanti come Vincenzo Tamagni.

 

La terza sezione documenta infine il fervente clima artistico della Roma di Clemente VII che attira in città artisti da tutta Italia. Tra questi, il ventenne Parmigianino, il cui incontro con le gloriose antichità classiche e con Raffaello cambia radicalmente la sua arte. Negli stessi anni un altro emiliano, Biagio Pupini, si trasferisce a Roma, cadendo profondamente sotto l’influenza di Polidoro da Caravaggio, di cui assorbe l’espressivo linguaggio grafico. Anche Baccio Bandinelli rivolge lo sguardo ai disegni di Raffaello quasi come fossero un mezzo per comprendere meglio la sua stessa personale risposta all’espressiva poesia visiva di Michelangelo, come dimostra eloquentemente un poco discusso disegno a penna e inchiostro presente in mostra.

 

Il percorso espositivo si conclude con un’innovativa proposta di ricostruzione di un foglio ricavato da tre frammenti, contenuti nel taccuino di modelli di Girolamo da Carpi, un manufatto che nei contenuti e nella forma ci racconta molto della cultura rinascimentale.

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