Ci tenevo a mostrarvi questo fermo immagine del servizio sul Museo del Cinema trasmesso lo scorso 15 giugno da "Studio Aperto Mag" di Italia1: quando si dice la notorietà. Ma la notizia del giorno, alla Mole, è un'altra: il Governo entrerà nella compagine societaria della Fondazione del Museo del Cinema, di cui già fanno parte Comune, Regione, Gtt e le due fondazioni bancarie. Ne parlo diffusamente in un articolo sul Corriere di oggi (non è reperibile on line, quindi lo ripubblico, con un giorno di distanza, in calce a questo blog), ma in sostanza i fatti sono questi: ieri il presidente del Museo Enzo Ghigo è andato a Roma per incontrare una nostra vecchia conoscenza, MarioTuretta, oggi al MiC come direttore generale per il cinema. I due hanno impostato l'operazione, che si aprirà con un atto talmente formale da suonare ridicolo: sarà infatti il Museo del Cinema a scrivere al ministro dantista una lettera per proporgli ciò che Sangiuliano già vuole: diventare socio, nell'ambito del suo vasto e ambizioso programma di inversione della famigerata "egemonia culturale"; e allora sia fatta la sua volontà. Ma perlomeno paghi il giusto.
Il dilemma è sempre quello che già duemilaseicento anni fa Esopo descriveva nella favoletta del cane e del lupo: se sia meglio vivere beati e ben pasciuti ma con la catena al collo, oppure magri e affamati però liberi. A voler essere pragmatici fino al cinismo, la risposta è banale: dipende da quanto rende la catena. Fuor di metafora: il ministro Sangiuliano punta a far entrare lo Stato (ovvero il suo ministero della Cultura) nella compagine societaria della Fondazione del Museo del Cinema, di cui al momento fanno parte Comune, Regione, Gtt e le due fondazioni bancarie. Di per sé, ci sta. Si parla del Museo Nazionale del Cinema, l'ottavo più visitato museo d'Italia: a parte i cattivi pensieri sulle smanie di egemonia culturale della destra trionfante, le motivazioni per un ingresso del ministero ci sono tutte. Così ieri il pragmatico presidente del Museo, Enzo Ghigo, ha incontrato a Roma Mario Turetta, direttore generale per il cinema, per impostare l'operazione. Adesso il Museo scriverà al ministro per proporgli ciò che Sangiuliano già vuole: diventare socio. Sistemate le formalità, si passerà alla trattativa, per capire in soldoni quali benefici porterebbe l'arrivo del MiC. Una consistente dote d'ingresso è il minimo che possiamo pretendere. Serve denaro, e tanto (almeno 25 milioni) per realizzare il famoso progetto di ristrutturazione e riallestimento della Mole, e per acquistare dalla Rai la vecchia palazzina di via Montebello angolo via Verdi, che diventerebbe la sede degli uffici e degli archivi del Museo. Ghigo ha già incassato l'appoggio della Compagnia di San Paolo, e gli altri soci non si tireranno indietro, nei limiti delle loro possibilità. Ma una bella iniezione di capitali freschi renderà senz'altro più gradevole l'abbraccio ministeriale.
Abbraccio certo pericoloso: l'indipendenza di qualsiasi ente culturale decresce proporzionalmente all'aumento dei soggetti politici nella propria governance; e tra i soggetti politici il Governo romano è istituzionalmente il più forte, e spesso il più prepotente. Aggiungi che, nello specifico, il ministro Sangiuliano ha già dato prova di interventismo spinto nelle nomine – ad esempio nella pantomima per il direttore del Salone del Libro. Pure per la direzione del Torino Film Festival Sangiuliano sponsorizza – dicono – un suo uomo, che gli insider identificano nel regista Giulio Base: d'altronde, dopo Nanni Moretti, Paolo Virzì e Gianni Amelio, sarebbe difficile mantenere l'identico livello registico. Intanto la selezione va per le lunghe, la commissione deve ancora ascoltare alcuni candidati: ma presidente Ghigo assicura che entro un paio di settimane ci sarà la decisione. E non penso di far peccato se sospetto che sulla scelta finale influiranno anche gli accordi romani sull'ingresso del MiC nella governance della Mole.
Nulla di nuovo sotto il sole, per carità. Il problema non è Sangiuliano: i ministri passano, le dinamiche restano. Sangiuliano è più plateale nelle sue entrate a gamba tesa, ma il potere fa sempre i comodi suoi, nessuno è senza peccato: restando alla Mole, è ancora fresca la memoria del guazzabuglio a cinquestelle per la nomina del direttore del Museo; e qualcuno ricorderà il rospo che ingoiò il Chiampa quando il ministro “amico” Franceschini gli impose giustappunto Turetta alla direzione della Reggia di Venaria. In un ambientino simile è già un discreto risultato contenere i danni e massimizzare i vantaggi. La libertà, se non ce la possiamo (o vogliamo) permettere, almeno vendiamola cara.
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