Pubblico anche qui l'articolo uscito ieri sul Corriere e non disponibile on line. Per quanti fossero interesati, segnalo inoltre che sul Corriere di oggi mi occupo dell'apertura delle stagione del Circolo dei Lettori, con il "discorso d'investitura" del neodirettore Giuseppe Culicchia.
Gli egittologi sono come gli amori: fanno giri lunghissimi e poi ritornano. E così, alla fin fine, Zahi Hawass al Museo Egizio ci è arrivato: da ospite, però, e non da padrone di casa come avrebbe voluto l'immaginifico ministro Gennaro Sangiuliano.
Come qualcuno ricorderà, appena un'estate fa Genny se ne andava in gita alle piramidi con Hawass, lo stravagante egittologo che, in un empito di modestia, si autodefinisce «l'unico al mondo che ha completato il lavoro di Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon». E progettava, Genny, di piazzare lui, Hawass, al nostro Museo Egizio, dando il benservito a Christillin e Greco, che a quanto pare non gli andavano a genio. Hawass, a dire il vero, negava d'essere interessato; poi la brusca fine all'esperienza ministeriale di Sangiuliano troncò pure quei progetti epurativi. Poco male comunque per l'Egizio, che prospera anche senza Hawass e continua a polverizzare i propri record: oltre un milione di visitatori nel 2024, quest'anno a fine agosto era già a quota 800 mila ed è prevedibile che a fine dicembre avrà superato il milione e centomila.
Ma veniamo all'oggidì. Succede che Hawass pubblica la sua indispensabile autobiografia «L'uomo col cappello» (non c'entrano Giancarlo dei Murazzi, e neppure Fedez e J-Ax: trattasi del cappello alla Indiana Jones che Hawass ostenta a certificazione del proprio mito). E a Torino, noblesse oblige, l'Indiana Jones d'Egitto aspira a presentare il suo parto letterario proprio all'Egizio.
Christillin e Greco, padroni di casa, sono personcine ammodo e non serbano rancore: prego, si accomodi, ospitalità accordata. E così ieri sera Hawass ha potuto, da ospite, intrattenere il pubblico con il racconto delle sue mirabolanti imprese, non prima di aver reso cortese omaggio al «bravo direttore» Christian Greco.
Sala gremita per i quaranta minuti (traduzione compresa) di conferenza preceduti dalla proiezione di un video Zahi-centrico. La conferenza, di per sé, non spalanca nuovi orizzonti alle mie scarse conoscenze egittologiche: ok, Hawass ce l'ha con le pseudoteorie sugli alieni costruttori delle piramidi, ma fin lì ci arrivavo anch'io. Però lui è un precursore, già trent'anni fa per smentire tali bubbole partecipò al programma «Misteri» (vi sovviene? Lo faceva Lorenza Foschini, con Roberto Giacobbo giovane di bottega) e, sempre attento all'audience, pensò bene di chiamare a fargli da spalla il suo amico Omar Sharif perché «alle donne italiane piaceva Omar Sharif e quindi avrebbero seguito più volentieri il programma».
All'incontro torinese, purtroppo, mancava il mitico Giacobbo, che ancor oggi spesso si accompagna all'Uomo col Cappello. Di recente i due hanno deliziato i telespettatori con una lisergica puntata di «Freedom» nella quale l'Uomo col Cappello, che «viene chiamato l'ultimo faraone perché forse l'unico che conosce i faraoni come lui è solo lui» (cit. Giacobbo), rivelava che la tomba di Tutankhamon in realtà non era quella ma un'altra.
En manque de Giacobbò ci siamo dovuti accontentare dello spiccio indirizzo di saluto all'ospite da parte del direttore Greco (assente, per pregressi impegni e con profondo rammarico, la presidente Christillin). Ma con un Hawass bello carico l'entertainment non difetta mai: dalla viva voce dello schivo egittologo apprendiamo che «tutte le persone famose che arrivano in Egitto» vogliono conoscerlo, ma lui resta umile: soltanto una volta ha cazziato – afferma – Beyoncé e annesso bodyguard; un'altra ha chiesto a Kate Perry, non avendola riconosciuta, che mestiere faceva; e ancora, a Los Angeles ha concesso un selfie al «suo grande fans» Bruce Willis, sempre senza riconoscerlo. Quest'uomo non è un gran fisionomista.
A concludere il florilegio dell'understatement hawassiano, il notizione: nel 2026 conta di scoprire la tomba di Nefertiti, e per l'occasione accanto a sé vorrebbe Harrison Ford, perché «lui è l'Indiana Jones fake, quello vero sono io». Beh, per la verità questa la ripete in tutte le interviste, però fa sempre ridere.
Come qualcuno ricorderà, appena un'estate fa Genny se ne andava in gita alle piramidi con Hawass, lo stravagante egittologo che, in un empito di modestia, si autodefinisce «l'unico al mondo che ha completato il lavoro di Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon». E progettava, Genny, di piazzare lui, Hawass, al nostro Museo Egizio, dando il benservito a Christillin e Greco, che a quanto pare non gli andavano a genio. Hawass, a dire il vero, negava d'essere interessato; poi la brusca fine all'esperienza ministeriale di Sangiuliano troncò pure quei progetti epurativi. Poco male comunque per l'Egizio, che prospera anche senza Hawass e continua a polverizzare i propri record: oltre un milione di visitatori nel 2024, quest'anno a fine agosto era già a quota 800 mila ed è prevedibile che a fine dicembre avrà superato il milione e centomila.
Ma veniamo all'oggidì. Succede che Hawass pubblica la sua indispensabile autobiografia «L'uomo col cappello» (non c'entrano Giancarlo dei Murazzi, e neppure Fedez e J-Ax: trattasi del cappello alla Indiana Jones che Hawass ostenta a certificazione del proprio mito). E a Torino, noblesse oblige, l'Indiana Jones d'Egitto aspira a presentare il suo parto letterario proprio all'Egizio.
Christillin e Greco, padroni di casa, sono personcine ammodo e non serbano rancore: prego, si accomodi, ospitalità accordata. E così ieri sera Hawass ha potuto, da ospite, intrattenere il pubblico con il racconto delle sue mirabolanti imprese, non prima di aver reso cortese omaggio al «bravo direttore» Christian Greco.
Sala gremita per i quaranta minuti (traduzione compresa) di conferenza preceduti dalla proiezione di un video Zahi-centrico. La conferenza, di per sé, non spalanca nuovi orizzonti alle mie scarse conoscenze egittologiche: ok, Hawass ce l'ha con le pseudoteorie sugli alieni costruttori delle piramidi, ma fin lì ci arrivavo anch'io. Però lui è un precursore, già trent'anni fa per smentire tali bubbole partecipò al programma «Misteri» (vi sovviene? Lo faceva Lorenza Foschini, con Roberto Giacobbo giovane di bottega) e, sempre attento all'audience, pensò bene di chiamare a fargli da spalla il suo amico Omar Sharif perché «alle donne italiane piaceva Omar Sharif e quindi avrebbero seguito più volentieri il programma».
All'incontro torinese, purtroppo, mancava il mitico Giacobbo, che ancor oggi spesso si accompagna all'Uomo col Cappello. Di recente i due hanno deliziato i telespettatori con una lisergica puntata di «Freedom» nella quale l'Uomo col Cappello, che «viene chiamato l'ultimo faraone perché forse l'unico che conosce i faraoni come lui è solo lui» (cit. Giacobbo), rivelava che la tomba di Tutankhamon in realtà non era quella ma un'altra.
En manque de Giacobbò ci siamo dovuti accontentare dello spiccio indirizzo di saluto all'ospite da parte del direttore Greco (assente, per pregressi impegni e con profondo rammarico, la presidente Christillin). Ma con un Hawass bello carico l'entertainment non difetta mai: dalla viva voce dello schivo egittologo apprendiamo che «tutte le persone famose che arrivano in Egitto» vogliono conoscerlo, ma lui resta umile: soltanto una volta ha cazziato – afferma – Beyoncé e annesso bodyguard; un'altra ha chiesto a Kate Perry, non avendola riconosciuta, che mestiere faceva; e ancora, a Los Angeles ha concesso un selfie al «suo grande fans» Bruce Willis, sempre senza riconoscerlo. Quest'uomo non è un gran fisionomista.
A concludere il florilegio dell'understatement hawassiano, il notizione: nel 2026 conta di scoprire la tomba di Nefertiti, e per l'occasione accanto a sé vorrebbe Harrison Ford, perché «lui è l'Indiana Jones fake, quello vero sono io». Beh, per la verità questa la ripete in tutte le interviste, però fa sempre ridere.

Commenti
Posta un commento