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I CONTI SENZA L'OSTE

Alè, ricomincia la giostra. Stamattina sono uscite sui giornali le interviste al neo-riconfermato presidente del Circolo dei Lettori Giulio Biino (foto). A questo link c'è quella del Corriere. Nell'intervista osservo che la mission di Biino presidente è "far entrare il governo nel Circolo dei lettori, e di conseguenza nel Salone del Libro", al che lui risponde: «Beh, non è così dettagliata. Si tratta di favorire i rapporti con il ministero della Cultura per rendere sempre più importante il legame tra il Mic e il Salone: ciò passa necessariamente attraverso un rapporto con il Circolo che del Salone è la parte culturale. Il Salone è un efficace partenariato pubblico-privato: anche alla luce delle interlocuzioni che ho avuto con il ministero, io ho espresso il desiderio che ciò si traducesse in una partecipazione attiva del Mic nel Salone, il che implica un interessamento del ministero per il Circolo. Ma non ho mai parlato di governance del Circolo, bensì di intervento nel Salone. In quale forma, in quale modo è tutto da discutere...». E precisa che la discussione avverrà «in sinergia con la Regione, con i privati, con la Fondazione per la Cultura, con la Salone del Libro srl». 

Nella faccenda io ci vedo un cavallo di Troia che consentirà ai pomposi maneggioni romani di venire a far danno a casa nostra. Tipo il rinomato caso Venezi a Venezia. Biino mi garantisce che non sarà così, e vabbè. Però non mi sembra tanto convinto neppure Silvio Viale, presidente dell'Associazione Torino Città del Libro (il cui braccio operativo è Salone del Libro srl). Ovvero la proprietà del marchio del Salone. Nel pomeriggio, infatti, Viale rilascia una dichiarazione peperina, che vi ricopio volentieri: «Condivido con il Presidente del Circolo dei Lettori, Giulio Biino, la necessità di costruire un grande progetto per la promozione del libro e della lettura. Incontrerò il notaio appena possibile e capirò quali sono le intenzioni ed eventualmente le riporterò ai miei azionisti, come è giusto che sia... Relativamente alle cosiddette questioni di governance, come ho già avuto modo di dichiarare durante i giorni del Salone del Libro 2025, credo che se ne parli in modo improprio. Comprendo i meccanismi della comunicazione politico-istituzionale e anche la naturale ‘voglia’ di discutere di possibili ingerenze o contrapposizioni, ma non è questo il caso. Il Salone del Libro, pur rappresentando un’evidente missione pubblica, è al momento di proprietà privata. Io sono al mio posto, l’amministratore delegato Piero Crocenzi è al suo posto, così come la direttrice Annalena Benini, che ha un contratto 3+3 con l’Associazione che rappresento. Questo contratto si rinnoverà automaticamente al termine di questa edizione e ne siamo molto felici. Le circostanze ci hanno portato ad acquistare il marchio del Salone e il suo compendio, a seguito della messa in liquidazione della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura, decisa dagli enti pubblici. Ritengo che, dal febbraio 2019, nonostante le difficoltà legate al periodo pandemico, e anche grazie alla collaborazione con le istituzioni territoriali e le fondazioni bancarie, si sia riusciti a portare avanti un piano industriale che ha restituito al Salone il ruolo di uno dei più importanti eventi di promozione del libro e della lettura a livello europeo. Se si desidera modificare la logica di governance del Salone, lo si può fare solo a partire dalla manifestazione di una eventuale volontà di riacquisto, che rappresenterebbe innanzitutto un importante riconoscimento del lavoro che abbiamo svolto (colga il benigno lettore la sottile ironia... NdG). Ma non ci risulta che questo scenario sia all’ordine del giorno. E, nel caso, qualunque proposta sarebbe opportunamente sottoposta alle valutazioni dei nostri azionisti».

Insomma, ci risiamo: ad oscurare gli orizzonti di gloria per un Salone del Libro ministerializzato si staglia l'ombra della proprietà privata, che fino a prova contraria e con buona pace di Carletto Marx nel nostro paese non è ancora un furto. Alla tavolata del Salone i commensali dovranno rassegnarsi: i conti li fa l'oste, non gli attovagliati.


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