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TOTO' E PEPPINO DIVISI A TORINO: SPY STORY ALLA MOLE

E adesso, con calma, cerchiamo di capire cosa cavolo sta succedendo in questa città dove ogni giorno nuove e meglio congegnate catastrofi si abbattono sul quel che resta del disastrato tessuto culturale. 
Al momento, e in attesa di ulteriori sfighe, i grandi malati sono ovviamente il Regio, poi il Museo del Cinema, e naturalmente il Salone del Libro: per il Salone la malattia è ormai cronicizzata.
Cominciamo dal Museo del Cinema, dove si attende l'esito del bando per il nuovo direttore in un clima che ricorda le spy stories nella Berlino degli Anni Sessanta: giochi di potere, pace armata, guerra fredda, manovre segrete e altre amenità. Va da sé: più che "La spia che venne dal freddo" il modello cinematografico di riferimento è "Totò e Peppino divisi a Berlino".
Dopo il famoso scazzo da cortile fra la presidente Milani e il (per niente suo) Comitato di gestione, l'altro giorno, 19 aprile, si è riunito il Collegio dei Fondatori del Museo, in teoria per approvare il bilancio. Dev'essere stata una giornatina simpatica. Il comunicato finale emesso dall'ufficio stampa è un capolavoro degno degli ultimi giorni di Breznev: "Il Collegio dei Fondatori del Museo Nazionale del Cinema, unitamente al Comitato di Gestione, esprime piena soddisfazione sui positivi risultati del bilancio consuntivo 2017, che chiude con un avanzo di circa 180.000 euro, permettendo la copertura del disavanzo dell’esercizio precedente.
Il Collegio dei Fondatori prende inoltre atto che è stato individuato un percorso corretto per proseguire proficuamente le attività del Museo in attesa della nomina del Direttore"
.

Sul bilancio, nulla da obiettare: solo la conferma che la Milani ha fatto da professionista ciò che doveva fare, cioé recuperare il disavanzo del 2016 (181 mila euro su un bilancio totale attorno ai 14 milioni); e le voci fatte circolare ad arte di un "buco" che nelle versioni più creative sfiorava addirittura il milione di euro altro non erano che una riuscita gherminella per cacciare Barbera. Qui a Torino usa così: per liberarci del nemico di turno gli attribuiamo un buco. In fondo è più umano che impalarlo.
Ma il passaggio interessante del comunicato brezneviano è il secondo, laddove gli allegri compagni della foresta di Sherwood prendono atto che "è stato individuato un percorso corretto per proseguire proficuamente le attività del Museo in attesa della nomina del Direttore". 
Traduco; hanno trovato una pace armata sulla questione delle deleghe del direttore. Quelle deleghe attribuite pro-tempore a Donata Pesenti e che dovevano essere riassegnate a causa della prolungata assenza della Pesenti per motivi personali. Alla riunione dei Fondatori si è deciso che per il momento se le assuma la presidente Milani, giusto per fare fronte alle urgenze di gestione senza darla vinta all'Annapaola Venezia e al Comitato di gestione che alla Venezia le aveva consegnate in toto. Ma alla prossima, imminente seduta del Comitato la Milani se ne libererà, rimettendole ai componenti del Comitato perché, se ci tengono, se le spartiscano fra di loro: la presidente vuole mantenere il ruolo di controllore che lo Statuto le attribuisce, senza assumersi anche quello di controllato.
Tutti questi bizantinismi hanno indotto gli osservatori, anche i più attenti, a interpretare la pantomima come un semplice scazzo fra primedonne. Mi permetto di dubitarne. A margine della riunione del Collegio dei Soci Fondatori è difatti trapelata la notizia che al bando per il direttore hanno partecipato 38 candidati.
Trattasi di notizia piccolina, in apparenza insignificante. E invece qualcosa significa. Mi spiego; a norma di regolamento, non si dovrebbe sapere nulla sui participanti al bando. Né chi sono, e neppure quanti sono. Una società specializzata deve esaminare le candidature e preparare una short list di cinque nomi da sottoporre alla decisione finale del Comitato di gestione. Fino ad allora neppure i soci del Museo rappresentati nel Comitato di gestione (Regione, Comune, Fondazione Crt, Compagnia di San Paolo e Gtt) dovrebbero sapere nulla, per scongiurare indebite pressioni o influenze.
Non servono doti da veggente per immaginare che alcuni dei soci - o magari tutti - hanno almeno un loro protegé fra i 38 partecipanti; e in queste faccende ogni informazione sulla "concorrenza" può essere preziosa. Pare che la Milani (che rappresenta la Regione) si sia invece ostinatamente opposta alla pur minima indiscrezione a beneficio di chiunque, se stessa compresa. Una rigidità giustificata dal rispetto delle regole ma irritante per i soci, come dire?, più intraprendenti. Il particolare trapelato sui giornali dei 38 candidati non mi sembra pertanto una banale indiscrezione, bensì il sintomo di un lavorìo sotterraneo che al momento vede gli altri soci del Museo impegnati - tramite i loro rappresentanti nel Comitato di gestione - a perforare il muro (non di Berlino, ma di silenzio) che la Milani ha eretto attorno al bando.
Se le cose stanno davvero così - non dimenticate che sto lavorando su un'ipotesi - la parte migliore dello spettacolo ce la godremo se tra i cinque nomi della short list ci saranno anche quelli dei candidati dei vari soci: in tal caso la fragile alleanza attuale si trasformerà in un appassionante tutti contro tutti per piazzare il proprio protegé sulla cadrega da direttore. Se invece i candidati dei soci, o di qualcuno dei soci, non entreranno nella cinquina, assisteremo a meravigliosi show acrobatici per tentare di ripescarli. La replica, insomma, dello stupefacente circo andato in scena al Museo del Cinema nel dicembre del 2016.

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