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MOSTRE A TORINO: C'E' VITA OLTRE LA MISERIA

Una sala della mostra di Giacomo Grosso alla Pinacoteca Albertina
"E’ in discussione un modello che vede le nostre istituzioni museali come contenitori e non produttori di cultura, un modello che non porta al rafforzamento delle competenze e delle relazioni dei nostri musei con gli altri musei italiani e stranieri, che non favorisce la ricerca e quindi la produzione che sono alla base di un sistema museale forte anche dal lato della proposta di eventi espositivi". Con queste parole forti e nobili, pronunciate davanti al Consiglio comunale, l'assessore Leon dichiarava, esattamente un anno fa, la sua intenzione di favorire "la ricerca e quindi la produzione" autarchica di grandi mostre da parte del sistema museale torinese. Un anno dopo, il sistema museale cittadino annaspa nelle ristrettezze di bilancio. Di conseguenza non produce grandi mostre. E il pubblico s'assottiglia.

Visitatori: il calo si ferma, o cominciamo a scavare?

Lo scenario dei musei civici è tristanzuolo (se non capite che cosa intendo per "tristanzuolo", leggete qui) e l'emorragia di visitatori non sembra fermarsi: a luglio mancavano all'appello, anno su anno, in 161 mila, ma sento dire che adesso il disavanzo rispetto agli stessi mesi del 2016 ha superato quota duecentomila visitatori desaparecidos, e viaggia sicuro verso i 220 mila. Domani chiamo l'ufficio stampa della Fondazione Torino Musei e mi faccio dare i dati corretti: mica si può vivere di sentito dire. Una volta mandavano i report, puntuali come la bolletta del gas. Adesso non più. Tocca chiedere ogni volta. Un bello sbattimento.
Ad ogni modo, si avvicina la boa del ponte dell'Immacolata, che l'anno scorso vide la débacle del sistema museale senza mostre blockbuster: quel risultato di fine 2016 fu la fossa delle Marianne delle presenze nei musei civici, per cui c'è da sperare che quest'anno la discesa ardita non prosegua, altrimenti significherebbe che abbiamo cominciato a scavare.
D'altra parte, dopo il discreto risultato di "Colori", la Gam ha pensato bene di concedersi un riposino: quindi affronta l'autunno-inverno senza produrre né proporre una mostra di cartello e promette di tornar a fiorire al disgelo, come i bucaneve: allora non vale, così sono buoni tutti a perdere visitatori...

Come andar per mostre nonostante

Ma non disperate. In attesa delle annunciate grandi produzioni autarchiche, a Torino potete ancora concedervi una giornata di full immersion nell'arte grazie all'iniziativa dei privati, o di enti e musei extracomunali.
L'altro giorno, per esempio, io mi sono fatto un regalo: ho attraversato Torino da sud a nord, seguendo il fil rouge di tre mostre che mi raccontano una storia: una storia di pittura, un climax artistico, un mondo a cavallo fra Ottocento e Novecento, fra Belle Epoque e primo Dopoguerra.

Serralunga a Stupinigi: un pittore di scoprire, un sistema di studiare

Il viaggio, che consiglio anche a voi, comincia dalla Palazzina di Stupinigi, dove si è aperta una mostra organizzata da Reverse e Museo Fico in collaborazione con il Comune di Nichelino e l'Ordine Mauriziano, che mi ha fatto scoprire Luigi Serralunga. Torinese, vissuto fra il 1880 e il 1940, costui non mi pare un titano, bensì un ottimo continuatore di quella pittura "d'arredo" - ritratti di famiglia, scene di genere, nature morte - che un tempo ornava le pareti delle case dell'alta borghesia e della nobiltà minore, ne celebrava i successi, ne interpretava il gusto e le ideologie.
Quindi andateci senza timore: non rischiate di cadere stroncati dalla sindrome di Stendhal. 
"Collana rossa" di Luigi Serralunga, in mostra a Stupinigi
La mostra non è neppure una novità o un'esclusiva (quelle ormai ce le sognamo...) però è curata e allestita benissimo da Andrea Busto, e le opere, che non mi paiono capolavori universali, meritano di essere viste, senza troppi problemi interpretativi, per il piacere estetico che regalano a chiunque quadri eseguiti con mano sicura e tecnica di prim'ordine. Serralunga ebbe tra i suoi allievi Ettore Fico, il che spiega l'impegno della Fondazione Mef: una parte significativa delle opere esposte appartiene alla vedova di Fico.
Mi sono quindi interessato alle partnership che hanno generato la mostra. Ho così appreso che di recente il Comune di Nichelino ha creato un "Sistema Cultura" a cui affidare il locale Teatro Superga e le altre iniziative culturali della città; e con un bando, nel 2015, ne ha assegnato la gestione a un'agenzia della zona, la Reverse (sono quelli che organizzavano il festival Ritmika a Moncalieri), con un finanziamento comunale di 250 mila euro. Questa cifra costituisce la fetta maggiore dei 350 mila euro che il Comune di Nichelino, che ha un bilancio attorno ai 30 milioni di euro, destina al settore Cultura. 

Diego Sarno è l'assessore alla Cultura di Nichelino, e mi dice che l'operazione funziona: in un anno al Superga ci sono stati 3500 spettatori in più, e gli eventi e i concerti alla Palazzina di Caccia - da Stefano Bollani agli appuntamenti di Lirica a Corte - hanno richiamato in totale 150 mila presenze. Sarno mi dà anche i conti della mostra di Serralunga: costa 80 mila euro, di cui solo 13 mila a carico del Comune: il resto lo sborsano - contando sugli incassi alla biglietteria - Reverse, Museo Fico (che è un museo privato) e Ordine Mauriziano. Il meccanismo mi pare renda tutti ragionevolmente felici: il Comune ha la mostra, il Mauriziano porta pubblico alla Palazzina, Reverse tenta il suo business e il Museo Fico valorizza le opere.

Dall'allievo al maestro: Giacomo Grosso, due musei e il Costa Rica

Ad ogni modo: Luigi Serralunga frequentò l'Accademia Albertina di Torino, e il suo maestro fu Giacomo Grosso. Quindi lascio la Palazzina di Stupinigi e me ne vengo in centro, dove c'è l'imperdibile mostra dedicata a Grosso. E' una mostra "diffusa", nel senso che le sedi a Torino sono due: il Museo Accorsi e la Pinacoteca Albertina. Ah, stavolta c'è pure il determinante contributo dei musei civici: Palazzo Madama, per sedere al tavolo degli organizzatori, espone infatti in Corte medievale un dipinto - dicesi uno - di Giacomo Grosso. Vabbé, tutto fa: tra gli alleati antitedeschi nella Prima Guerra Mondiale c'era anche il Costa Rica.
Io ho visitato la parte esposta alla Pinacoteca Albertina. Considero Giacomo Grosso l'ultimo dei grandi della scuola piemontese tra Otto e Novecento che il gusto contemporaneo trascura, ingiustamente condannandola a un nobile oblio. Oblio dal quale adesso l'Accademia si sforza di riscattarla con il progetto espositivo dedicato ai suoi maestri. La mostra di Grosso, curata da Angelo Mistrangelo, è esemplare ed esaustiva. Se vale il parere di un ignorante, è la miglior mostra che al momento si possa vedere a Torino. E tenete conto che, alla Pinacoteca Albertina, oltre alla mostra vi beccate pure, con lo stesso biglietto, anche le opere della collezione permanente, che da sole - non mi stancherò mai di ripeterlo - valgono ampiamente la visita.

I capolavori di Boldini a Venaria li porta Arthemisia

Alla Reggia di Venaria prosegue la mostra di Giovanni Boldini
Giacomo Grosso aveva tre specialità: le natura morte, i nudi (sensualissimi e carnali) e i ritratti. Questi ultimi, in particolare, rendono doverosa l'ultima tappa del viaggio: la Reggia di Venaria, dove è in corso una splendida mostra dedicata il più grande ritrattista italiano dell'Ottocento, Giovanni Boldini, il testimone massimo della Belle Epoque. Mostra splendida e sontuosa, come la pittura di Boldini: una gioia per gli occhi. Come quella di Mirò a Palazzo Chiablese, anche la mostra di Boldini è prodotta da Arthemisia Group. E meno male: che se aspettavo le mirabolanti mostre che ci produrremo da noi (Leon dixit) l'altro giorno me ne restavo a casa a guardare "I fatti vostri". Senza aprire porte e finestre, nataurally.

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