Il direttore della Gam Riccardo Passoni |
Ieri ho avuto la ventura di ammirare un autentico capolavoro heautontimorumenico nientemeno che alla Gam, dove si presentava la mostra top della stagione primaverile: una settantina di opere di Helmut Newton selezionate dalla Fondazione berlinese intitolata al celebre fotografo tedesco di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita.
La fotografia che tira
Mostra senz'altro buona, con le stimmate del successo: intanto è una mostra di fotografia, e si sa che di questi tempi le mostre di fotografia sono una manna per i musei, non costano troppo, le capiscono tutti (o pensano di capirle), e il pubblico accorre, specie per la canonica dozzina di nomi santificati dalla mid-culture: in primis Steve McCurry, per chi vuole vincere facile, poi Mapplethorpe, Capa, Salgado, i soliti noti insomma.
Helmut Newton rientra fra quei "soliti", con i suoi ritratti di ricchi e famosi e soprattutto le sue donne patinatamente spogliate bellissime e algide il giusto per non sentirsi banali voyeurs bensì partecipi di una sublime esperienza culturale.
Il direttore della Gam Riccardo Passoni ci conta, su questa mostra, per imprimere un'impennata al conteggio dei visitatori. In realtà non ce ne sarebbe bisogno, a sentir lui che ieri non appena mi ha visto si è premurato di segnalarmi che pecco di severità quando definisco "anemico" il museo affidato alle sue cure. Passoni mi fa notare che, se si escludono le due annate-monstre 2015 (372 mila presenze) e 2016 (247 mila) miracolate da Monet, non era mai accaduto che la Gam superasse, com'è accaduto nel 2018 e 2019, i 180 mila visitatori. E questo è vero. Basta accontentarsi. Intanto, però, non credo dispiacerebbe a nessuno se prima o poi riuscissimo almeno a superare la soglia psicologica dei 200 mila.
Facciamoci sempre del male
E quella di Helmut Newton è una mostra che potrebbe far del bene alla Gam, e meriterebbe di essere vista. Dico "meriterebbe" perché giusto ieri, in sede di presentazione, la scelta accolita di presentatori si è premurata di mettermela nella peggior luce possibile.
Dopo i generici autocompiacimenti di Leon e Cibrario, e i moderati ottimismi di Passoni, ha aperto le danze Alberto Rossetti di Civita, una delle società private che regolarmente vendono o co-producono mostre per i musei torinesi. Civita, ad esempio, ha firmato di recente quelle di Mantegna a Palazzo Madama e LaChapelle a Venaria.
(Per inciso: una volta o l'altra vorrei domandare alla Leon che fine ha fatto il suo veemente atto d'accusa contro "un modello che vede le nostre istituzioni museali come contenitori e non produttori di cultura, un modello che non porta al rafforzamento delle competenze e delle relazioni dei nostri musei con gli altri musei italiani e stranieri, che non favorisce la ricerca e quindi la produzione che sono alla base di un sistema museale forte anche dal lato della proposta di eventi espositivi". Ricordate? Era l'ottobre del 2016 quando la fresca di nomina Francesca declamava il fiero anatema annunciando la rivoluzione dell'avvenire. Sono trascorsi meno di quattro anni, e ieri Maiunagioia mi è sembrata felice come una pasqua che la Gam fosse il "contenitore" della mostra di Helmut Newton. Come diceva Tenco? Ah, già, "i sogni sono ancora sogni, e l'avvenire è ormai quasi passato").
Ma sto divagando. Torniamo a noi.
A me, che non me ne fotte nulla del "modello" ma guardo al risultato, la mostra di Newton è piaciuta assai, per cui sarei incline a scriverne un gran bene, se non fosse che loro hanno fatto di tutto per convincermi che non ne vale la pena. Ha dato il la, dicevo, il responsabile di Civita, premurandosi di precisare che la mostra ha debuttato nel 2019 a San Gimignano (mica Parigi o New York, raga: San Gimignano, roba forte) e adesso "la stiamo portando in tournée in Italia"; e dunque è un puro caso se l'approdo a Torino coincide con il centenario newtoniano. Però è una mostra importante, anche se, precisa il Civita-man, ha "solo" settanta fotografie (per la precisione sono 68).
Ma a Milano è molto meglio
Questa è l'ouverture: il pezzo di bravura dell'opera tafazziana tocca all'ultimo relatore, il noto critico d'arte Denis Curti. Il quale in realtà non c'entrerebbe nulla. Però Matthias Harder, il curatore della Helmut Newton Foundation di Berlino che ha selezionato le immagini da esporre, figurarsi se viene a Torino per una ripresa qualunque di una vecchia mostra: e dunque i nostri astutilli, per avere un esperto di Newton in conferenza stampa, hanno pensato bene di convocare Denis Curti, che collabora con Civita (ad esempio era il curatore della mostra di David LaChapelle vista a Venaria), dirige festival e musei di fotografia, e di Newton è espertissimo: talmente esperto da annunciare con vibrante soddisfazione, alla conferenza stampa per la mostra di 68 fotografie di Newton a Torino, che ben presto a Milano ci sarà una mostra importante su Newton, quella sì pensata appositamente per celebrarne il centenario della nascita, con ben duecento immagini. Mica la robetta che ci possiamo permettere noi pezzenti. No, questo non lo aggiunge. Lo aggiungo io. Come aggiungo io una domanda a lorsignori, anzi due.
1) Ma se uno sta non dico a Macerata, ma ad Alessandria, e gli punge vaghezza di vedere una mostra di Helmut Newton, date le succitate premesse, secondo voi dove va, a Milano o a Torino? E dunque la Gam esaurisce la sua mission con mostre di richiamo cittadino, per quei torinesi bogianen che non vogliono prendere il Frecciarossa? Bon, fate vobis.
2) E comunque, se è quello il progetto, è proprio indispensabile far venire uno da Milano a spandere merda sulle povere mostre che possiamo permetterci noi sfigatoni?
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