Il dipinto di Jacopo del Sellaio al centro della vicenda |
Il quadro "Madonna col Bambino, san Giovannino e due angeli", 1480-1485, di Jacopo del Sellaio (Firenze 1443–1493) da oggi acquista un valore non soltanto artistico di importante esempio della più alta pittura italiana rinascimentale, ma anche simbolico in quanto memoria del dramma dei suoi proprietari originali Gustav Arens, di sua figlia Ann e di suo marito Friedrich Unger, travolti dallo scandalo delle espropriazioni illegittime di opere d’arte durante l’epoca nazista.
Il dipinto, acquistato dall’uomo d’affari e importante collezionista Gustav Arens presso la Galerie Sanct Lucas di Vienna all’inizio del 1936, fu inviato all’Akademie der bildenden Künste per il restauro: lì il professore e storico dell’arte Emmerich Schaffran attribuì l’opera a Jacopo del Sellaio rettificando la precedente attribuzione a Raffaellino del Garbo. Alla morte di Gustav Arens, avvenuta nel marzo 1936, il dipinto - ereditato dalla figlia maggiore Ann Arens sposata con Friedrich Unger - fu sequestrato con l’intera collezione della famiglia Unger dalle autorità naziste, si presume dopo il marzo 1938, e restituito dietro il pagamento di un cospicuo riscatto. Con l’acuirsi della persecuzione antiebraica, nel giugno del 1938 Ann e Friedrich Unger con le figlie Grete e Gitte fuggirono dapprima in Francia e nel maggio del 1939 negli Stati Uniti. A nulla servirono gli sforzi della famiglia per sdoganare e spedire negli Stati Uniti le opere d’arte e gli altri beni rimasti in deposito a Parigi; le operazioni furono ostacolate dalla burocrazia e, nel febbraio del 1942, le autorità tedesche requisirono definitivamente ogni proprietà della famiglia Unger ivi compresa la collezione d’arte.
Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Unger poterono recuperare parte del loro patrimonio artistico ma non il quadro di Jacopo del Sellaio, di cui si erano perdute le tracce. La famiglia cercò ostinatamente per decenni di rientrare in possesso del dipinto amato particolarmente sin dall’infanzia dalla figlia minore Grete. Nel 1974 l’opera riapparve misteriosamente sul mercato presso la Galerie Fischer di Lucerna e nel 1985 a Londra a un’asta di Christie’s. Due anni dopo, ignaro degli eventi drammatici che avevano contrassegnato la peripezia del dipinto, il collezionista Francesco Federico Cerruti lo acquistò da un mercante italiano che lo aveva acquistato all’asta di Christie’s.
Il quadro da allora fu conservato nella camera della torre di Villa Cerruti, che oggi fa parte del polo museale Castello di Rivoli – Collezione Cerruti.
Nel 2016, dopo la morte di Cerruti (luglio 2015) si avviano gli accordi per l’affidamento della Collezione Cerruti al Castello di Rivoli, poi formalizzato nel 2018. Le ricerche condotte dallo staff del Castello di Rivoli hanno permesso di riconoscere nella tavola il quadro sottratto alla famiglia Unger e, nel 2018 la Fondazione Cerruti, anche a nome del Castello di Rivoli, ha contattato l’HCPO (Holocaust Claims Processing Office) dello Stato di New York grazie al quale sono stati individuati gli attuali eredi nella famiglia di Grete Unger Heinz, figlia minore di Ann e Friedrich Unger, e nei figli di sua sorella Gitta Unger Meier: Karen Reeds, Andrea Meier e Alan Meier. Nel 2018 è stata quindi avviata una trattativa tra le parti conclusasi felicemente quest'anno, con le finalità di mantenere integra la Collezione Cerruti, preservare il ricordo dei tragici eventi che hanno scosso l’Europa nel corso del XX secolo e permettere al pubblico di vedere il dipinto nella nuova casa museo, Villa Cerruti, gestita dal Castello di Rivoli. Oltre a un compenso finanziario da parte delle Fondazione Cerruti alla famiglia, è stato concordato di narrare le vicissitudini del dipinto e della famiglia Arens e Unger ai visitatori. Ora è dunque possibile ammirare l’opera di Jacopo del Sellaio, un dipinto particolarmente amato da Cerruti.
In realtà le guide hanno adempiuto questo obbligo morale dalle prime visite guidate a Villa Cerruti, già prima della conclusione della trattativa. Come sempre, il Castello di Rivoli si rivela un prezioso scrigno umano, oltre che artistico.
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