E così, dopo tante liti e tante beghe, è finalmente arrivata alla Mole la famosa mostra The Art of James Cameron, "ideata - precisano le comunicazioni ufficiali - dalla Cinémathèque française di Parigi in collaborazione con l’Avatar Alliance Foundation", ovvero la fondazione di James Cameron medesimo. Nessun riferimento - e ci mancherebbe pure! - a una qualsiasi forma di co-produzione con il Museo del Cinema: una co-produzione che inizialmente doveva esserci (come da contratto del 22 ottobre 2022) ma poi sfumò in seguito a una serie di sciagurati eventi sfociati in reciproche querele fra la Cinémathéque e il Museo. Alla fine del relativo processo il giudice assolse la Cinémathéque dall'accusa di indempienza contrattuale mossale dal Museo, e in compenso condannò il Museo per il danno d'immagine causato alla Cinémathèque da alcune infelici dichiazioni dell'allora direttore della Mole. L'arroseur arrosé, direbbero a Parigi.
Il piccolo capolavoro di diplomazia subalpina (che trovate riassunto a questo link) fu poi sbrogliato dal nuovo direttore Chatrian, che in un battibaleno riallacciò i buoni rapporti con i parigini; sicché adesso, dopo i successi nella Ville Lumière, arriva anche da noi in provincia la mostra che non abbiamo co-prodotto (ma chi l'ha già vista dice che è bellissima lo stesso, pensa un po'...).
Vabbè, chiusa qui, e che ci serva di lezione: si prendono più mosche con un cucchiaino di miele che con un barile d'aceto, e i rapporti tra le istituzioni culturali generalmente conviene gestirli non a suon di carte bollate, bensì con l'autorevolezza e l'intelligenza di chi quelle istituzioni dirige.
Restando in tema di musei, voglio ancora segnalarvi l'ennesima "invenzione del museo" ad opera stavolta della consigliera comunale piddina Greco, prima firmataria di una mozione che invoca la creazione di un "Museo dell'Immigrazione". Ma questa è un'altra storia, che racconto e commento nell'articolo uscito stamattina sul Corriere (adesso lo trovate anche a questo link).
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