Poi tutto sprofondò, e il gran sudario del mare continuò a stendersi
come si stendeva cinquemila anni fa (H. Melville, "Moby Dick")
Poco da ridere 1: Parigi e Braccialarghe, assessori con le tasche vuote |
Problemi di bilancio per gli enti culturali piemontesi. Dopo l'allarme del Teatro Regio di Torino, che ha annunciato carenze di cassa per 11 milioni di euro, anche il Teatro Stabile punta il dito contro i ritardi nei pagamenti da parte di Comune di Torino e, soprattutto, Regione Piemonte. "Anche noi non abbiamo ricevuto i fondi previsti per il 2014 e quelli del 2015", rivela all'Ansa il direttore dello Stabile torinese, Filippo Fonsatti, che parla di un "ritardo patologico e pericoloso". La Regione ha annunciato "un piano di rientro". Ma a tenere alta l'attenzione sul problema ci pensa Fabio Naggi, vicepresidente di Agis Torino: "Il sistema delle piccole e medie imprese dello spettacolo dal vivo affronta con grandissima difficoltà - dice - la stretta di liquidità che deriva dal ritardo degli enti". Chiede "maggiore responsabilità da parte degli enti" Giulio Arbinati, della Cgil: "Le voci sui drammatici ritardi nell'erogazione dei fondi stanno creando preoccupazione nei lavoratori del settore".
Ma è davvero la notizia di giornata?
Chiampa's way: soldi non ne abbiamo e se li abbiamo non li diamo a voi
Poco da ridere 2: Fonsatti (Stabile) e Vergnano (Regio) uniti nella lotta |
Lui e il suo vice, l'assessore al Bilancio Reschigna, da mesi guardano alle richieste (ormai minimali) dell'assessore Parigi come a un fastidioso non-problema, da eludere senza dare risposte né assumere impegni; e anzi, riducendo sempre più i già ridicoli stanziamenti.
Anche l'ultima manovra (cfr. il post "Cultura a strozzo") si è risolta in una beffa per un'Antonellina sull'orlo di una crisi di nervi. Vaso di coccio tra vasi di palta, assessore "tecnico" e quindi sgraditissimo ai lottizzatori di partito, la sventurata ha cercato di difendersi sul piano politico: mais c'est l'argent qui fait la guerre, e questa Parigi, a differenza di quella che sta in Francia, argent non ne ha più.
Aggiornamento 1: il lamento del MuseoMontagna e la dichiarazione del Chiampa
Aggiornamento 2: il Comune paga e Vergnano respira
Interessi passivi e passivi incoscienti
E attenzione: Regio e Stabile protestano, perché hanno ancora la forza (e il peso politico) per protestare. Ma nelle stesse condizioni, o peggiori, ci sono tutti. Anche - soprattutto - i più piccoli, che sono alla canna del gas e senza nessuna prospettiva se non chiudere le bottega e ritrovarsi in mezzo a una strada (la casa, molti se la sono già ipotecata).Per questo mi stupisce lo stupore di alcuni addetti ai lavori; e mi deprime il silenzio rassegnato di tanti.
Non ditemi che non lo sapevate, voi operatori culturali che fino all'ultimo vi siete illusi (cfr. il post "Il silenzio degli incoscienti") di essere più furbi degli altri e di poter salvare il vostro proprio e personalissimo culo pur nel disastro generale.
Trovo strepitoso scoprire oggi che gli enti locali in generale, e la Regione in modo specialissimo, promettono contributi che alla prova dei fatti non vengono versati, o arrivano con ritardi biblici, costringendo i virtuali beneficiari a indebitarsi con le banche, ritrovandosi a pagare interessi da paura nell'attesa che i promessi soldi si trasformino - forse, prima o poi, chissà - in soldi contanti. E più spesso conpochi.
Santi e vaneggiamenti
Così siete andati allegramente al macello, voi speranzosi beneficiari di finanziamenti fantasmatici, convinti, ognuno per sé, di avere un santo speciale in Paradiso.E invece non ci sono più santi in Paradiso. E non c'è nemmeno il Paradiso.
A meno di ostinarsi a credere ai vaneggiamenti che arrivano dalla Regione su un "piano di rientro" per pagare i contributi arretrati: gli stessi vaneggiamenti ascoltati esattamente un anno fa. Semmai riuscissero a saldare le cifre del 2014 (del che dubito), resterebbero gli scoperti del 2015, con relativi interessi - e vi faccio grazia delle pendenze del 2013; salvo indebitarsi poi nel 2016, e così via, fino al definivo default del sistema. Prevedo comunque che non la tireremo troppo per le lunghe.
L'Apocalisse è arrivata: avete deciso cosa mettervi?
Sono due anni ormai che lo scrivo: è un sistema perverso, e non poteva che finire così, con il tracollo generale. Ma gli imbecilloni facevano spallucce, convinti che qualcuno ci avrebbe messo una pezza, come ai bei tempi. Invece l'unica pezza che rimane è quella al culo. Tristissimo risveglio: i "post dell'Apocalisse" (vi ricordate "L'Apocalisse è qui e non abbiamo niente da metterci"?) in poco più di un anno da profezie sono trasmutati in tragica realtà. E non venite a raccontarmi che qualcuno se la cava: certo, può accadere, se sei l'Egizio o il Museo del Cinema e puoi contare sul cash flow prodotto da centinaia di migliaia di visitatori. Ma quelle sono le eccezioni. La regola è la canna del gas.Così è crollato il Salone
La prima tromba del Giudizio è già suonata: è stato proprio questo "sistema" perverso a mandare a picco il Salone del Libro. Centinaia di migliaia di euro in interessi passivi sganciati alle banche (in primis alla controllata di quell'istituto che adesso vorrebbe "salvare" la vittima spolpata), una marea di denaro pagato ogni anno come conseguenza diretta dell'insolvenza degli enti pubblici; gli stessi enti, Comune e Regione, che adesso fanno i verginelli e si scandalizzano pure, mentre fior di contabili e magistrati s'interrogano sulle cause del passivo. Eh sì, ci vogliono dei cervelloni per capire come fai a finire col culo per terra quando i soldi che devono uscire escono e quelli che devono entrare non entrano.E questo non è allarmismo: secondo voi, per quale motivo Unicredit - che a differenza nostra conosce esattamente la situazione contabile del Salone - non è per niente intenzionata a entrare in Fondazione?
Spocchia e stracci: un romanzo picaresco
Ma d'altra parte gli enti pubblici sono spiantati. I soldi non li hanno e non possono stamparli, possono solo prometterli: come da copione del conte Mascetti. Peggio: come i nobili decaduti nei romanzi picareschi della Spagna del Seicento, spocchiosa e stracciona. Al più, secondo l'usanza dei nobili spiantati, ammollano - anziché il contante - qualche palazzo disgraziato che nessuno riesce a vendere.E mentre si va a fondo, si balla, perché così si usa fra gente per bene. La tecnica è nota e perversa: guardare ai risultati di oggi - frutto di investimenti ormai remoti - per non vedere la bancarotta che ci attende domani. Funziona finché il domani non diventa oggi.
Ah, dimenticavo: non illudetevi che il Comune stia meglio della Regione. A luglio ho scritto che la cattiva notizia stava nel fatto che dopo il 2015 ci sarebbe stato un 2016. Ecco: il 2016 è arrivato.
Triste e realistico quadro della situazione, ma non cedo alla rassegnazione. Daisaku Ikeda, il mio maestro, insegna a non permettere al fatalismo e alla rassegnazione di prendere il sopravvento.
RispondiEliminaCirca un secolo fa lo scrittore francese Romain Rolland (1866-1944) espresse il suo dissenso sfidando l'assunzione che la guerra fosse inevitabile, dicendo "fatalità è ciò che noi vogliamo; e, più spesso, è anche ciò che non desideriamo abbastanza" (Romain Rolland, Au-dessus de la mêlée, 1915) citato da Daisaku Ikeda in Buddismo e Società, numero 174, gennaio-febbraio 2016