Tuttavia il mio silenzio sul blog
preoccupa alcuni dei miei pochi amici, che me ne chiedono ragione
temendo per il mio stato di salute. Li rassicuro, e deludo i miei
disistimatori, premettendo che sto benissimo. Fisicamente.
Il problema non è neppure la mancanza
di argomenti. Anzi: in questi giorni di silenzio e assenza ho visto e
sentito cose che sarebbe giusto scrivere, comprese quelle che fanno rivoltare lo stomaco.
Non reggo più il potere da stronzi, la proterva ignoranza,
la noncurante stupidità, l'immorale ipocrisia, la volgare
superficialità, l'ingiustificata superbia, la neghittosa noncuranza,
la cieca avventatezza, le ridicole imprese, le meschine gherminelle, le astuzie
bertoldesche, le inadeguatezze tecniche e mentali, le prepotenze tristanzuole, i trucchetti da circo equestre.
E non reggo più la gggente, i miracolati del suffragio universale, gli arraffoni voltagabbana, i tribuni della mutua, i falliti rancorosi, i muli parlanti, i tramatori nell'ombra, gli opportunisti con la carogna, le carogne opportuniste, i lei-non-sa-chi-ero-io, i lei-non-sa-chi-sarei-io-se-il-sistema-non-mi-avesse-fregato; i parolai, i mentecatti, i buffoni, i mentitori, i mangiapane a tradimento, i traditori, i saltimbanchi, i servi e i loro padroni.
E non reggo più la gggente, i miracolati del suffragio universale, gli arraffoni voltagabbana, i tribuni della mutua, i falliti rancorosi, i muli parlanti, i tramatori nell'ombra, gli opportunisti con la carogna, le carogne opportuniste, i lei-non-sa-chi-ero-io, i lei-non-sa-chi-sarei-io-se-il-sistema-non-mi-avesse-fregato; i parolai, i mentecatti, i buffoni, i mentitori, i mangiapane a tradimento, i traditori, i saltimbanchi, i servi e i loro padroni.
Non reggo più l'umanità dolente che
si agita ridicola in questa città che muore.
Alla lunga mi hanno stufato. Sono tossici. Ti avvelenano il sangue e l'intelligenza.
La scomparsa dei grossi e cattivi
Ma non sono ancora queste le ragioni
per cui ho perso la voglia.
Me ne sciacquo della gggente; quanto ai politicanti da strapazzo, non mi fanno certo paura. Ne ho
affrontati di più grossi e cattivi, nella mia vita professionale.
Grossi cattivi e prepotenti, capaci di minacciare sfracelli e chiedere la mia testa al
direttore di turno: e qui voglio rendere merito a quei direttori che
li hanno mandati affanculo, facendomi così credere nel mio lavoro.
A me piacevano quei politicanti da strapazzo grossi cattivi e prepotenti, perché quando cadevano facevano più rumore: e tutti, tutti adesso dormono sulla collina dei dimenticati, e alcuni in galera. Per cui figuratevi se mi fanno paura quattro cani morti che non sono grossi, qualche volta cercano di fare i cattivi ma fanno solo pena, e le loro prepotenze sono prepotenze da bar sport che impressionerebbero giusto giusto un cliente del bar sport al terzo Fernet Branca.
A me piacevano quei politicanti da strapazzo grossi cattivi e prepotenti, perché quando cadevano facevano più rumore: e tutti, tutti adesso dormono sulla collina dei dimenticati, e alcuni in galera. Per cui figuratevi se mi fanno paura quattro cani morti che non sono grossi, qualche volta cercano di fare i cattivi ma fanno solo pena, e le loro prepotenze sono prepotenze da bar sport che impressionerebbero giusto giusto un cliente del bar sport al terzo Fernet Branca.
No, nessuna paura, ci
mancherebbe. Semmai il contrario. Mancano soggetti degni, cattivi veri, giganti del male. Oggi non c'è più gusto. E' come toreare con i buoi.
Il desengaño ruba l'allegria
E' stato il desengaño. Il
desengaño mi ha tolto la voglia. La disillusione, la noia. Il
che-cosa-devo-fare-con-te? del mio vecchio professore di matematica
dopo l'ennesimo compito in classe senza un voto possibile se non
l'invocazione “Gesù fate luce” che quell'uomo probo e retto,
comunista internazionalista e ateo convinto, tracciò sull'ultimo mio
capolavoro, ritrovando così la fede e perdendo al contempo ogni
speranza di cavare qualcosa dalla mia mente impenetrabile alle scienze numeriche.
Il fattore scatenante: se ne sbattono della mostra di Munari
Insomma, prima o poi doveva
succedere. La goccia che fa traboccare il vaso.
E' successo mercoledì scorso.
E' successo mercoledì scorso.
Vado al Museo Fico, dove
presentano una straordinaria mostra dedicata a Bruno Munari. Mostra
bellissima, completa, importante. L'unica grande mostra visibile in
questo momento a Torino. Dedicata a un gigante del design italiano e
mondiale del Novecento. Fatta in periferia (il Museo Fico è in fondo
a via Cigna, periferia vera) da una Fondazione privata che non riceve
sovvenzioni dal Comune. Quel Comune che non riesce più a organizzare grandi mostre, che però a parole rivendica per Torino il ruolo di capitale del design e che senza posa ciancia di periferie, di riscatto delle periferie, e di cultura nelle periferie.
La logica, il buonsenso e
persino il più bieco opportunismo politico autorizzavano a presumere
che all'inaugurazione si sarebbero avventati il sindaco e Appendino e
l'assessore alle Fontane Leon, a testimoniare l'apprezzamento della
Città per una simile iniziativa che non pesa sulle casse comunali,
ridà finalmente a Torino un evento espositivo di valore nazionale,
ci riporta al centro del dibattito sul design, ed esalta la cultura
in una periferia che dio solo sa quanto ne ha bisogno.
Ebbene: né alla conferenza
stampa né all'inaugurazione si sono visti il sindaco o Appendino o
l'assessore alle Fontane. Erano invitati, ma hanno fatto scrivere
dalle loro segreterie che avevano altri impegni. E non hanno neppure mandato a rappresentarli il mitico Fabio Versaci con una delle sue leggendarie prolusioni sulla cultura. Non uno dei tronfi talenti politici che s'aggirano per Palazzo Civico s'è degnato di trasferire le sue pesanti chiappe in via Cigna quel dì, per vedere una mostra che dopotutto potrebbe pure giovare a patrimoni cognitivi tanto disastrati.
Gesù, fate luce
Ora: mi spiace davvero che la goccia che fa traboccare il vaso sia capitata con questi qua, che poi pensano che ce l'ho con loro. Me ne fotto di loro e di ciò che pensano, ma non è vero. Non ce l'ho con loro. In genere non considero i politici degni della mia avversione, che è un sentimento alto che riservo a chi stimo intellettualmente. E poi qui non è questione di appartenenze politiche. E' questione di teste. Una carenza bipartisan.
Beh, a farla corta mi sono incazzato sul
serio.
Perché non è la prima
volta che accade. Accade sempre.
Perché non è il modo di
comportarsi: nemmeno in un casino, figurarsi in una città che si
pretende civile.
Perché maleducazione, indifferenza, superficialità non sono soltanto forma: sono sostanza.
Perché certi concetti glieli hanno spiegati, semmai non ci arrivassero da soli; e ripetuti; e comunque uno con un minimo di cervello dovrebbe arrivarci da solo e se non ci arriva è inadeguato e stop.
Ma più di tutto mi sono incazzato perché questa è l'ennesima
conferma di ciò che penso da sempre: i politicanti di ogni razza e colore si riempiono la bocca di cultura per convenienza di bottega ma
in realtà non gliene sbatte un benamato cazzo, ciò che gli interessa è
andare in culo all'avversario, e tutto il resto finisca pure in vacca.
Il sospiro e il rutto
Quella sera volevo scrivere. Ci ho provato. Ma non funzionava. Non mi divertivo. Provavo soltanto pena e disgusto. E scrivevo frasi acide, rabbiose, grevi. Non soltanto non mi divertivo, ma non avrei divertito neppure i lettori.
Era scattato qualcosa dentro di me.
L'ironia aveva ceduto al sarcasmo: e fra l'ironia e il sarcasmo c'è la differenza
che passa fra un sospiro e un rutto.
Il sarcasmo è rancoroso e
violento.
Ti mette sullo stesso piano
di quella gggente che tanto disprezzi.
Così ho lasciato perdere.
E mi ha preso il desengaño.
L'avvelenata. Ma secondo a voi cosa mi frega di prendermi la bega di
star qui a scrivere? Per chi, e perché? Per questa città senza un
futuro? Per quattro gatti che non si rassegnano alla perdita della
civiltà? O per le montanti maree di stronzi? Non l'ho mai fatto. Ho
sempre scritto perché mi divertivo.
Se non mi diverto, non ha
senso.
Se non mi diverto non scrivo
Può capitare, quando ti pagano per fare
questo mestiere, di scrivere perché devi farlo, senza passione né
sincerità. Capita quando la vita ti maltratta e tu hai ben altro per
la testa che le cazzate che ti tocca di scrivere; e quando ti
affibbiano una storia che non ti interessa, non ti prende, non ci
credi; o semplicemente quando non puoi chiamare canaglie le canaglie e figli di puttana
i figli di puttana.
Capita, prima o poi, a chiunque faccia
questo mestiere. Ed è lì che vedi davvero se hai il mestiere, se in
quelle circostanze riesci a scrivere comunque una sessantina di righe
non troppo faticose né troppo sciatte, e abbastanza oneste da non
vergognarti, facendo del tuo meglio per salvare la giornata come una
squadra di fondoclassifica che lotta per un pareggio purchessìa; e se sei discretamente abile e fortunato porti a casa il
tuo dannato pareggio e magari domani qualcuno ti dirà persino che
hai giocato una magnifica partita, cioé hai scritto un magnifico
pezzo; e tu sai che non è vero, era un pezzo di maniera senza
passione né sincerità. E quel che è
peggio era un pezzo scritto senza allegria.
Qui però nessuno mi paga per scrivere,
e non ho doveri verso nessuno. Quindi non scrivo. Aspetto che mi passi la nausea, o che qualcuno dei burattini ne combini una talmente scema da farmi incazzare e talmente buffa da divertirmi.
Da lunedì però ricomincio a fare le cose. Vado nei posti, ascolto le puttanate, prendo appunti.
Da lunedì però ricomincio a fare le cose. Vado nei posti, ascolto le puttanate, prendo appunti.
Se mi torna il divertimento,
scriverò.
Sennò, pace. Potete benissimo
devastarvi da soli.
Il resto è silenzio.
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