ATTENZIONE: QUESTO POST E' LUNGO, SENZA
LINK E SENZA FIGURE, E NON E' NEANCHE TANTO COMICO. POTREBBE ANNOIARE
PARECCHI LETTORI E SCONTENTARNE ALTRI. CHI PROSEGUE LO FA A SUO
RISCHIO E PERICOLO. NON DITE CHE NON VI AVEVO AVVISATI. NON SI
ACCETTANO RECLAMI.
Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi: affresco di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena |
Non è vero che quando tocchi il
fondo non puoi che risalire: a me capita di cominciare a scavare.
La fortuna è cieca, ma la sfiga ci
vede benissimo.
(Freak Antoni)
Anche il destino odia i perdenti.
Stamattina trapela il nome del nuovo direttore del Salone del Libro,
Nicola Lagioia: è l'occasione buona per un'esposizione mediatica
significativa del malconcio Salone, finora subissato da Milano – nel bene
come nel male – persino nella conta dei titoli sui
giornali e sui siti.
Ed ecco che la sfiga onniveggente entra
in azione: la notizia che il Salone ha finalmente un direttore arriva
nel giorno in cui purtroppo muore Dario Fo e fortunatamente Bob Dylan
vince il Nobel per la Letteratura.
Per cui Nicola Lagioia direttore del
Salone di Torino scende precipitevolissimevolmente dalle aperture
delle pagine culturali ai tagli bassi. Speriamo soltanto che, per lo scorno, Philip Roth non si barrichi sul tetto dell'Empire State
Building minacciando di buttarsi, sennò finiamo nelle brevi.
Però la sfiga uno se la cerca anche.
Dopo tanti annunci roboanti di quel Bray paracadutato al Salone, in un
garrir di bandiere e benedizioni ministeriali, predicando la
volontà di regalarci un direttore di statura internazionale,
qualsiasi normodotato ammetterà che il nome di Nicola Lagioia fa un
po' l'effetto di un sospiro nello spazio, come dicevano i miei
condiscepoli di Oxford ostili al turpiloquio.
Ora: voglio precisare che non ho nulla
contro Nicola Lagioia. Non lo conosco, ma non ho motivo di dubitare
che sia una splendida persona e un eccellente scrittore. Non ho mai
letto un suo libro, però questo non significa disprezzo. In realtà
leggo pochissimi scrittori viventi: avendo una certa età e ancora
praterie di capolavori del passato da affrontare, non vorrei morire
perdendomi “Il cantare del Cid” perché al suo posto ho letto
l'ultimo Strega. Non me ne voglia Nicola Lagioia, come non me ne
vogliono tanti miei amici scrittori.
Quindi, nulla di personale. Le mie
riserve non riguardano né l'uomo Nicola Lagioia, né lo scrittore.
Semmai, non capisco perché proprio lui.
Nicola Lagioia ha vinto il premio
Strega? Bene, bravo. Ma anche Alessandro Barbero ha vinto il premio
Strega, e per di più ha una cattedra universitaria. Non credo che
per questo abbia mai aspirato a dirigere il Salone del Libro.
Nicola Lagioia ha scritto quattro o
cinque libri? Bene, bravo. Ma Giuseppe Culicchia e Andrea Bajani (due
candidati naturali alla direzione) ne hanno scritti (e venduti) di più.
E inoltre conoscono il Salone come le loro tasche, ci hanno già
lavorato e hanno fatto bene. Però non sono stati scelti come
direttori del Salone del Libro.
Nicola Lagioia pubblica per Einaudi ed
ha stretti rapporti con minimum fax, editori cruciali - per motivi
diversi – nel war game dei saloni? Bene, bravo. Ma anche gli altri
scrittori succitati, e direi quasi tutti gli scrittori di una certa rilevanza, pubblicano per qualche editore
più o meno importante. Pochi, oggidì, si affidano alla tradizione
orale o agli amanuensi. Tuttavia solo Nicola Lagioia è stato scelto fra tanti.
Nicola Lagioia è stato per tre anni
uno dei selezionatori della Mostra del Cinema di Venezia? Bene,
bravo. Alberto Barbera la dirige da anni, la Mostra del Cinema di
Venezia, eppure a nessuno passa per l'anticamera del cervello di
chiamare Barbera a dirigere il Salone del Libro.
Non so se Nicola Lagioia ha mai
organizzato qualcosa. Suppongo di sì, come chiunque: almeno una festa a
sorpresa, o una cena tra ex compagni di scuola. Paolo Verri ha
organizzato per anni il Salone del Libro con Accornero, e dopo aver
organizzato parecchie altre cose adesso sta organizzando Matera
Capitale europea della Cultura, dopo averla guidata alla conquista di
quel riconoscimento ambìto. Ciononostante, non sarà Paolo Verri il
direttore del Salone del Libro, figurarsi mai!
Però Nicola Lagioia ha presentato un
“progetto innovativo” per il Salone del Libro. Un “progetto che
spariglia”, mi assicura Antonellina Parigi. Bene, bravo. Sarà
senz'altro un progetto stratosferico. E proprio qui casca
l'asino della nostra vana sicumera. Prendete nota: finora ho citato,
come possibili alternative a Nicola Lagioia, soltanto dei torinesi.
Eh già. Dacché ci siamo fatti fregare
il Salone (e scrivo “ci siamo fatti fregare”, non “ci
hanno fregato”) abbiamo ripetuto il mantra consolatorio che sempre
ripetiamo quando perdiamo qualcosa per nostra stolta inadeguatezza:
“Ecco, i milanesi cattivi ci rubano questo e quello, ma noi di
Torino siamo più bravi e più creativi e abbiamo le idee migliori e
faremo qualcosa di ancora più grande e più bello”. Ce la siamo
raccontata per mesi, come sempre ce la raccontiamo, che i torinesi
“lo fanno meglio”, che “gli altri hanno i soldi ma noi abbiamo
le idee”. E adesso che cosa si scopre? Si scopre che l'idea
fantastica che salverà il Salone l'ha avuta un barese.
Okay, i baresi sono geniali, e poi si
sa, se Torino avesse lu meri sarebbe una piccola Beri: ma di grazia,
dove sta la celebre e celebrata creatività per cui i torinesi fanno
cose innovative e spalancano orizzonti inesplorati? Eh? Dov'è finita
la squadra fortissimi fatta di gente fantastici?
Chiarisco: io non ci credo. Non credo che il progetto di Lagioia sia geniale, e che tutti gli altri siano balbettii di deficienti. Ma per una volta voglio almeno far finta di credere a lorsignori. Quindi, diamo per vero che Nicola Lagioia abbia partorito l'unica genialità del mazzo .
Ergo, dall'esito dell'elefantiaca gestazione
del nuovo direttore, che senza dubbio (dicono loro) salverà il Salone
del Libro, apprendiamo che, per trovare un progetto innovativo,
dobbiamo aggrapparci a un barese, Lagioia, scelto da un leccese, Bray.
Nessuna questione di
campanile. Ci mancherebbe. Il talento non ha patria, a me sta
benissimo un direttore indostano, o inglese, o uruguagio, o persino
venusiano, purché ci tolga dalla merda nella quale ci siamo
precipitati con la nostra celebre creatività. Ma per cortesia,
piantiamola con questa retorica alla crema gianduja che noi a Torino
abbiamo le idee eccetera eccetera. Chi ha poco cervello cerchi almeno
di avere tanta dignità.
Da quanto detto, emerge un fatto nuovo:
il Salone del Libro – se come tutti speriamo si farà e sarà un
successo e offuscherà la brutta copia milanese – sarà sempre il
Salone del Libro. Ma non “di Torino”. Casualmente si farà a
Torino, anche perché Milano già ne ha uno e quindi non avrà motivo
di prendersi pure questo. Ma non sarà il “Salone del Libro di
Torino” perché non sarà il frutto dell'intelligenza, della
passione, della creatività di Torino.
Sarà un Salone pensato da non
torinesi, e che nascerà altrove. Dubito infatti che da domani
Massimo Bray e Nicola Lagioia si trasferiscano armi e bagagli a
Torino, prendano alloggio in Vanchiglia e la sera, usciti
dall'ufficio in via Santa Teresa, vadano a farsi l'apericena al Caffè
Roberto e a comperare le bignole da Ghigo. Più probabilmente, come
già prima di loro Giovanna Milella, resteranno a casa propria (Bray
abita a Roma, Lagioia non so) e verranno a Torino “quando serve”,
alloggiando in albergo (a spese della Fondazione per il Libro, ci
mancherebbe: non facciamone una questione da pezzenti) e mantenendo
con la città dove esercitano la loro funzione presidenziale e
direttiva lo stretto rapporto che può avere un commesso viaggiatore,
o un pendolare.
Non dico che non funzionerà. Anzi:
qualcuno gioirà al pensiero che Lagioia (e Bray) sfuggano alla
nefasta influenza del famigerato “sistema Torino”. Però sia
chiaro che il Salone del Libro non sarà “di Torino” perché non
sarà impregnato – in positivo come in negativo, s'intende - di
torinesità, di quel “genius loci” che, secondo la sullodata
retorica alla crema gianduja, sarebbe invece la “marcia in più”
di ciò che nasce sotto la Mole. Sarà un Salone pensato da
uomini che non dubito brillanti, ma che non conoscono Torino, e non
possono amarla e capirla come un torinese. E Torino è difficile da
capire, e ancor più difficile da amare. Bisogna coglierne lo
spirito, e saperlo volgere al meglio: operazione difficilissima per
chi a Torino vive, come ben s'è visto, e si vede in continuazione;
ma impossibile per chi non la conosce.
E allora? Tutto qui il problema? Boh, magari non c'è problema. Viviamo nell'epoca della globalizzazione, non delle piccole
patrie. La tutela delle diversità del territorio è roba da Slow
Food, va bene per il lardo di Colonnata o il porro di Cervere, non si
applica necessariamente ai Saloni del Libro.
Tuttavia il rischio di
un definitivo straniamento, di un distacco tra il Salone e la città,
non si può archiviare con una scrollatina di spalle – e m'immagino certi miei affezionati lettori, che potrei citare con nome e cognome,
che le stanno scrollando già da un bel po' di righe. Non scrollatele, perché se ciò dovesse accadere, avremo perso non una, ma due volte il Salone del Libro: prima nella sostanza, e poi nell'anima.
Lo so. Tra i molti torinesi che finora
si sono affaccendati attorno al Salone, non tutti hanno fatto bene, e
alcuni si sono fatti allegramente i cazzi propri. Però chi ci ha
creduto ci ha creduto davvero, e ci ha investito passione,
competenza, serietà, entusiamo. Non sono serviti, se guardiamo a
come siamo ridotti; però il Salone è anche stato grande, per merito
di quelle persone; e se alla fine il peggio ha avuto il sopravvento,
non per questo il loro lavoro è stato inutile.
Adesso mi è impossibile prevedere se Massimo Bray e Nicola Lagioia
vorranno gettare il cuore al di là dell'ostacolo, per salvare ciò
che resta del Salone che fu di Torino. Il mio naturale pessimismo mi fa propendere per il no, e ho imparato a fidarmi del mio naturale pessimismo. Però il futuro non è scritto e gli uomini sono spesso sorprendenti. Se Bray e Lagioia saranno i nostri gladiatori, e sputeranno sangue e intelletto per fare il Salone più grande e più bello che pria, gliene saremo
grati per sempre, e li onoreremo nel pantheon delle glorie cittadine.
In caso contrario, non ditemi che non era prevedibile. Vorrei
che i miei dotti lettori (in particolare quelli ormai stremati dallo
scrollamento di spalle) riprendessero in mano un vecchio libro, uno
di quelli che amo leggere facendo torto ai bravi autori viventi: è
“Il Principe”, del mio amato Niccolò Machiavelli. Date un'occhiata al capitolo dodici, “Quot sint genera
militiae et de mercenariis militibus”. Deprecando il ricorso alle truppe mercenarie, germe della decadenza italiana, il segretario fiorentino scriveva, nel 1513, che esse “non
hanno altro amore né altra cagione che le tenga in campo che uno
poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che voglino
morire per te”.
Ecco, signori incaricati di salvare il
Salone: a voi nessuno chiede di morire per Torino, con o senza
stipendio. Però metteteci tutta la passione che potete.
Per favore.
Mai 'na lagioia.
RispondiEliminaHo letto il suo post con attenzione e, mi creda, senza scrollare le spalle. Ciò che afferma non è frutto del "suo naturale pessimismo" ( non la conosco e non posso saperlo), ma mi sembra un'analisi cruda e puntuale della realtà: Torino ha già perso il Salone del Libro nell'anima prima ancora che nella città con la Presidenza Milella. Io l'ho pensato da tempo e, come ho già avuto modo di affermare, la " perdita " è iniziata con l'inserimento di due componenti milanesi all'interno del cda, inserimento che avrebbe dovuto far riflettere.
RispondiEliminaLe "personalità" torinesi non mancavano allora e non mancano neppure oggi. All'elenco che ha suggerito lei, personalmente avrei aggiunto il nome di un docente universitario, scrittore ( non ha vinto il Premio Strega, ma si è classificato al terzo posto), filosofo, assessore alla Cultura al Comune di Firenze: Sergio Givone. Non so se sarebbe stato interessato, ma certamente non è stato nemmeno preso in considerazione. Sarò "partigiana" perchè è un mio compaesano, ma lo ritengo un "grande".
la ringrazio per le sue analisi che si rivelano sempre oggettive e complete.