Luca Beatrice |
Stamattina, però, ci ho riflettuto su e ho deciso che lo scritto - considerato l'autore - ha un suo spiccato valore di cronaca: mi sembra infatti che contenga alcuni concreti spunti di discussione e riflessione e ben rappresenti lo stato d'animo di almeno una parte degli operatori culturali torinesi; tra cui i tanti cuordileone che mi esprimono analoghe preoccupazioni in privato, e in pubblico tacciono e si adeguano.
Pertanto ritengo sia corretto pubblicare il testo come post autonomo. Ecco ciò che mi scrive Luca Beatrice:
Caro Gabo, leggo con attenzione e trasporto la tua invettiva testoriana. I più ora si chiederanno a cosa mi riferisco: si tratta di Giovanni Testori, uno dei grandi intellettuali eretici del nostro dopoguerra, secondo solo, in quanto a scomodità e fare caustico, a Pier Paolo Pasolini.
Due giorni fa sono stato con i miei studenti dell’Accademia in visita alla mostra di Bruno Munari al MEF. Ragazzi in gamba, iscritti al biennio, motivati e attenti. Eppure, nel raccontare loro chi fosse stato Munari, il suo ruolo anticipatore fin dagli anni ’30 del ‘900, mi sono chiaramente accorto di stare a parlare per pochi. Gli altri, spaesati, privi di punti di riferimento, mai curiosi, mai una domanda, un interrogativo.
Gabo, questo è il segno dei tempi. Noi siamo residuali: leggiamo libri su carta, scriviamo su giornali in via d’estinzione, ascoltiamo il buon vecchio rock commuovendoci per un assolo di chitarra, non disdegnando alcun tipo d’esperienza, dal teatro alla danza, tanto per dire. E discutiamo ancora di politica, ci infervoriamo, insistiamo a chiederci sugli effetti e l’eredità del ’77, ora che sono passati 40 anni e non tutto è ancora chiaro.
E tu, mio buon amico, che metti non un dito ma tutta la mano sul sale delle ferite, notando come né il sindaco né l’assessore alla cultura della nostra città si siano minimamente interessati alla mostra del MEF, la migliore oggi a Torino e perfino in periferia, ti dico, caro Gabo, che hai torto. E’ giusto così. Si tratta di gente che non scrive, non legge, se va a teatro è solo per farsi fotografare e poi via appena spengono le luci, che non ha opinioni se non sul contingente, che ascolta musica di merda, che giudica il consenso politico a colpi di like. Si tratta di mondi diversi, incompatibili, il nostro e il loro. Tu discendi dall’utopia della Grecia di Pericle, altri dalla finta democrazia della rete, dove l’opinione di un genetista vale quanto quella di chi si costruisce il proprio parere al bar virtuale. Non l’accetto, non l’accetterò mai.
Sai che c’è Gabo: mi sono rotto i coglioni. Di rispondere al solito (...) e alle sue obiezioni sul Circolo dei lettori come il salotto bene di Torino. Di invitare le istituzioni municipali cui non gliene frega niente se portiamo a Torino Paul Beatty, Ian McEwan, Vinicio Marchioni a recitare Dino Campana, e tante cose ancora ogni sacrosanto fottuto giorno. Di preoccuparmi se ogni anno mi tagliano un pezzo di risorse, ché non riescono neppure a dirmi che Torino Spiritualità non sanno proprio cosa sia se non una pesante eredità del passato.
Ho deciso, me ne strabatto le palle. Li ignoro, anzi se posso li evito. E lavoro, nell’istituzione, nella scuola, nella mia attività professionale, per quelle persone anziane cui non manca mai un sorriso e un grazie, per quelli disposti a lasciare il lavoro un’ora prima se c’è da incontrare uno scrittore, per gli studenti che hanno ancora voglia di imparare, nonostante io agli esami faccia loro un culo così e alla fine si ricordano di me, a distanza di anni. Per chi legge i miei articoli sul Giornale e cerca di confutare le diverse opinioni. Per donne e uomini convinti che la cultura sia il massimo valore della democrazia e che l’educazione civica ne sia il fondamento primario.
Gli altri, tutti ma propri tutti, in ogni ordine e grado, mi auguro vengano seppelliti dal mare della loro stessa merda.
Con affetto
Pertanto ritengo sia corretto pubblicare il testo come post autonomo. Ecco ciò che mi scrive Luca Beatrice:
Caro Gabo, leggo con attenzione e trasporto la tua invettiva testoriana. I più ora si chiederanno a cosa mi riferisco: si tratta di Giovanni Testori, uno dei grandi intellettuali eretici del nostro dopoguerra, secondo solo, in quanto a scomodità e fare caustico, a Pier Paolo Pasolini.
Due giorni fa sono stato con i miei studenti dell’Accademia in visita alla mostra di Bruno Munari al MEF. Ragazzi in gamba, iscritti al biennio, motivati e attenti. Eppure, nel raccontare loro chi fosse stato Munari, il suo ruolo anticipatore fin dagli anni ’30 del ‘900, mi sono chiaramente accorto di stare a parlare per pochi. Gli altri, spaesati, privi di punti di riferimento, mai curiosi, mai una domanda, un interrogativo.
Gabo, questo è il segno dei tempi. Noi siamo residuali: leggiamo libri su carta, scriviamo su giornali in via d’estinzione, ascoltiamo il buon vecchio rock commuovendoci per un assolo di chitarra, non disdegnando alcun tipo d’esperienza, dal teatro alla danza, tanto per dire. E discutiamo ancora di politica, ci infervoriamo, insistiamo a chiederci sugli effetti e l’eredità del ’77, ora che sono passati 40 anni e non tutto è ancora chiaro.
E tu, mio buon amico, che metti non un dito ma tutta la mano sul sale delle ferite, notando come né il sindaco né l’assessore alla cultura della nostra città si siano minimamente interessati alla mostra del MEF, la migliore oggi a Torino e perfino in periferia, ti dico, caro Gabo, che hai torto. E’ giusto così. Si tratta di gente che non scrive, non legge, se va a teatro è solo per farsi fotografare e poi via appena spengono le luci, che non ha opinioni se non sul contingente, che ascolta musica di merda, che giudica il consenso politico a colpi di like. Si tratta di mondi diversi, incompatibili, il nostro e il loro. Tu discendi dall’utopia della Grecia di Pericle, altri dalla finta democrazia della rete, dove l’opinione di un genetista vale quanto quella di chi si costruisce il proprio parere al bar virtuale. Non l’accetto, non l’accetterò mai.
Sai che c’è Gabo: mi sono rotto i coglioni. Di rispondere al solito (...) e alle sue obiezioni sul Circolo dei lettori come il salotto bene di Torino. Di invitare le istituzioni municipali cui non gliene frega niente se portiamo a Torino Paul Beatty, Ian McEwan, Vinicio Marchioni a recitare Dino Campana, e tante cose ancora ogni sacrosanto fottuto giorno. Di preoccuparmi se ogni anno mi tagliano un pezzo di risorse, ché non riescono neppure a dirmi che Torino Spiritualità non sanno proprio cosa sia se non una pesante eredità del passato.
Ho deciso, me ne strabatto le palle. Li ignoro, anzi se posso li evito. E lavoro, nell’istituzione, nella scuola, nella mia attività professionale, per quelle persone anziane cui non manca mai un sorriso e un grazie, per quelli disposti a lasciare il lavoro un’ora prima se c’è da incontrare uno scrittore, per gli studenti che hanno ancora voglia di imparare, nonostante io agli esami faccia loro un culo così e alla fine si ricordano di me, a distanza di anni. Per chi legge i miei articoli sul Giornale e cerca di confutare le diverse opinioni. Per donne e uomini convinti che la cultura sia il massimo valore della democrazia e che l’educazione civica ne sia il fondamento primario.
Gli altri, tutti ma propri tutti, in ogni ordine e grado, mi auguro vengano seppelliti dal mare della loro stessa merda.
Con affetto
Luca Beatrice
Grande Luca Beatrice. Grazie
RispondiEliminaGrazie Luca Beatrice
RispondiEliminaGiù il cappello!
RispondiEliminaSi però la migliore amica di Luca Beatrice, la Christillin, ha da poco rilasciato un'intervista dove loda l'operato della sindaca Appendino.... Che facciamo?!
RispondiEliminaCazzo vuol dire? Io ho un sacco di amici che amano cose e persone che io detesto. Come vengono in certe teste certe domande?
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