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TST: IL TEATRO DELLA FIDUCIA

Filippo Fonsatti e Mario Martone stamattina al Carignano
Dev'essere la primavera. In questo periodo passo da un campo di pomodorini all'altro, e la scena è sempre la stessa. A dire il vero, sono sempre più o meno gli stessi anche i pomodorini. Sempre lieti e trillanti, si esaltano per come sono bravi e per come riescono a fare tante belle cose pur non avendo in tasca un soldo per far ballare un orso.

I sogni son desideri, per il resto ci sono i miracoli

Stamattina, alla presentazione della stagione 2017/2018 del Teatro Stabile, l'assessore alle Fontane ha superato ogni mia più rosea aspettativa, annunciando lieta che il Tst "è un ente culturale che per la città fa moltisimo" (mentre la Città per il Tst fa sempre meno, costretta com'è a ridurgli di un'altra milionata abbondante il finanziamento già minimalizzato da Filura) e che "sempre più diventerà un luogo di vita quotidiana per la città". 
E qui un brivido mi percorre la schiena: fosse mai che decidano di trasformare i teatri in supermercati, che costa meno e rende di più e la gente ci va volentieri a socializzare?
L'assessore alle Fontane, raggiante come la Vispa Teresa dopo che ha acchiappato la gentil farfalletta, mena vanto che "lo Stabile è al secondo posto fra i Teatri Nazionali, ma mi piace pensare che sia il primo". I sogni son desideri. A me piace pensare che la mia Ypsilon Gpl sia una Lamborghini. E finché non fondo il motore, è una figata. Giuro.
Francesca chiarisce, spiegando che "Lo Stabile è il primo Teatro Nazionale almeno nei nostri cuori" (e questo è bellissimo: io, in cuor mio, sono Bill Gates, peccato che il mio direttore di banca si ostini a non crederci); "anche - aggiunge l'assessore sognatore con una botta di sano realismo - alla luce delle difficoltà per la riduzione delle risorse". A tale luce, riconosce Francesca, quello dello Stabile "è un miracolo che avviene nel corso di tutta la stagione".
Insomma, schizziamo nella trascendenza. Ma è vero: da troppo tempo ormai, anno dopo anno, taglio dopo taglio, i bilanci dello Stabile hanno del miracoloso. Alla lunga, però, anche i miracoli finiscono.

Come si fronteggia un taglio milionario (miracoli a parte)

Dopo che i pomodorini si sono sfogati a trillare, viene il momento delle domande. Meglio, della domanda. Il solito stronzo - Gabo -chiede al direttore dello Stabile, Filippo Fonsatti, come pensano di fronteggiare - miracoli a parte - la perdita di un milione e pussa di euro da un anno all'altro: da 2,9 milioni a 1,8.
Il primo "miracolo" è già stato annunciato in conferenza stampa: l'aumento medio del 7 per cento del prezzo dei biglietti e degli abbonamenti, esclusi quelli per studenti che rappresentano il 41 per cento del totale.
Oltre a ciò, il secondo miracolo sta nella fortunata circostanza che quest'anno quattro dipendenti d'alto livello e d'alto stipendio vanno in pensione, e le loro funzioni saranno assunte da figure interne, senza nuove assunzioni. Si chiama blocco del turn over, e nelle aziende normali in genere non è un bel segnale.
Più in generale, spiega Fonsatti, c'è stata una riorganizzazione del lavoro "condivisa con i sindacati". 
Infine, è stato rinviato a tempi meno grami un "progetto produttivo" che però, si affretta a precisare il direttore dei miracoli, "era destinato all'estate e non rientrava nella normale stagione". Insomma, hanno tagliato uno spettacolo, come d'altronde aveva previsto lo stesso Fonsatti.
Di più: si procederà, aggiunge Fonsatti, alla "revisione di altre spese". Ma soprattutto il direttore confida - testuale - "nell'impegno del sindaco e dell'assessore a reintegrare i finanziamenti tagliati". Lo faranno, presumo, con i famosi 61 milioni che non arriveranno dal governo, o con altro pane d'Ucraina.

Questione di fiducia

A quel punto, all'attento direttore non sfugge un mio sorrisetto ironico. Lo so, la vita mi ha reso scettico. Non credo più alle favole e non ho mai creduto ai miracoli. Finirò all'inferno. Per intanto, Fonsatti mi riprende, bonario: "Lo so che la pensi diversamente, ma noi diamo fiducia a chi ci ha dimostrato fiducia". In effetti, Fonsatti è ben saldo sulla massima poltrona dello Stabile, e gode della fiducia del governo cittadino. Fiducia che peraltro io condivido in pieno, perché Fonsatti è una macchina da guerra, preparato, ambizioso e intelligente: un secchione di talento che sa lavorare e far lavorare.

Affinità e differenze fra Appendino e Fassino: non tutti i tagli sono uguali

Ad ogni modo, Fonsatti per chiudere il discorso ci mette il carico da otto: "Se ti tagliano i finanziamenti - conclude con deliberata perfidia - è meglio saperlo a marzo piuttosto che a dicembre, com'è avvenuto tante volte in passato".
Il riferimento è a Fassino e alla sue sorpresine di fine anno che gettavano nella più cupa disperazione i responsabili degli enti culturali. Stavolta, invece, Fonsatti l'ha presa bene, come quasi tutti i suoi colleghi, Cibrario escluso. Adesso so anche perché: perché gliel'hanno detto per tempo, almeno evita di impegnarsi in spese che non può sostenere, né gli tocca d'andare in giro a vendere caseggiati. E questo ha una logica.
Credo abbia una logica anche la toccatina leggera come una palla medica all'indirizzo di Fassino. Le cose cambiano, e noi cambiam con esse.

Cura della Persona e altri miracoli laici 

Chiuso il capitolo Lourdes, guardiamo al concreto:  il bilancio 2016 dello Stabile si è chiuso in pareggio a 12.825.488 euro. Quest'anno dovranno vedersela con un milione e 78 mila euro in meno di finanziamento comunale. 
Per fortuna non tutti i soci hanno il braccino corto. Stamattina l'assessore Parigi ha confermato l'impegno della Regione, pure con un piccolo aumento del contributo, salito a un milione e centomila euro, da 900 mila che erano. Duecentomila euro in più, senza neppure l'obbligo di pellegrinaggio.
Altri miracoli laici arrivano da Fondazione Crt (600 mila euro più centomila per finanziare il progetto "Un posto per tutti", biglietti gratuiti ai meno abbienti) e Compagnia di San Paolo, che mette giù un'abbondante milionata, oltre a finanziare, insieme con la Regione, l'unico grande progetto per il futuro dello Stabile, l'Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona: ideato e diretto da Gabriele Vacis e Roberto Tarasco, è un esperimento pilota a livello nazionale che proporrà un approccio diverso al teatro come strumento di welfare e di benessere sociale.
Miracoli laici, per l'appunto.

Martone, Fonsatti e la cerimonia degli addii

Valerio Binasco e Mario Martone
Ma stamane al Carignano ci aspettavamo soprattutto la cerimonia degli addii per Mario Martone, e l'epifania del nuovo "consulente alla direzione artistica" Valerio Binasco.
Martone è entrato allo Stabile dieci anni fa come direttore (artistico, ma soprattutto direttore unico) e ne esce come consulente (l'intera storia è raccontata qui), onusto di glorie e ringraziamenti e commozioni, ma non so se volontario e felice, o demotivato e "non trattenuto". Nel suo discorso d'addio noto che tra i ringraziamenti prevale (contando le righe) quello a Evelina Christillin: il che potrebbe far anche presumere che il buon Marione rimpianga quei tempi felici.
Ad ogni modo, va tutto come deve andare: Martone abbraccia Fonsatti, tutti applaudono in piedi, quasi quasi mi scappa una lacrimuccia. Martone è molto contenuto e molto sommesso, da napoletano atipico qual è.

Ah già! C'è anche Binasco...

Esauriti gli abbracci, toccherebbe a Valerio Binasco. Ma il presidente del Tst Vallarino Gancia, ancora emozionato per le edificanti scene d'affetto fra Fonsatti e Martone, si dimentica di chiamarlo a parlare. Il presidente sventatello acchiappa il microfono e annuncia "adesso, se ci sono domande..." e il povero Binasco, seduto in prima fila, alza il ditino e chiede la parola.
Gliela danno, e lui improvvisa il suo mini-show. Bravo, senza dubbio. Divertente. Estroverso. Molto più napoletano lui mandrogno del napoletano Martone.
In sostanza Binasco dice che questa per lui è una grande occasione e un grande onore e non si sente degno di raccogliere l'eredità del maestro Martone ma che farà ciò che può e confida nell'aiuto e nel sostegno del bravo Fonsatti che è una guida forte e sicura. Così è ben chiaro chi comanderà allo Stabile.

Bonus track: il discorso di Martone

Ecco dunque la mia stagione conclusiva, la decima. Alla fine non vi figura una mia nuova produzione, come non ve ne figuravano nella prima, a voler sottolineare un'idea che ho cercato di tener viva in tutti questi anni: un teatro pubblico è un luogo assembleare e non la casa di un solo artista, è un cantiere aperto dove i registi al lavoro devono essere numerosi e diversi tra loro, a patto che ci sia un orizzonte comune, e che gli spettacoli non sembrino un assemblaggio di merci sullo scaffale. Questo orizzonte è per me la direzione artistica. Un campo dove tutte le forze che vi si incontrano devono poter dialogare tra loro e dare vita a un quadro coerente e a una comunità viva, di cui il pubblico sia parte integrante, anzi i pubblici, perché, come diversi devono essere gli artisti, altrettanto variegate devono essere le fasce di spettatori, la loro età, la loro estrazione sociale, il loro diverso grado di istruzione. E, quasi per incanto, in questa stagione, tra nuove produzioni, riprese e un progetto speciale che presenteremo a giugno, sfileranno tutti i registi che hanno lavorato in questi dieci anni a definire l'orizzonte dello Stabile di Torino insieme a me: Gabriele Vacis, Valter Malosti, Andrea De Rosa, Valerio Binasco, Jurij Ferrini, Leo Muscato, Marco Isidori, artisti straordinari che avvolgo tutti in un unico abbraccio pieno di gratitudine. C'è una regia di Eugenio Allegri, e abbracciando lui mi sembra di abbracciare tutti gli artisti torinesi e piemontesi che hanno sfilato nelle nostre produzioni. C’è lo spettacolo omaggio a Gianmaria Testa, non solo per ricordare un uomo a cui abbiamo voluto tutti molto bene ma per dire che esiste una catena in teatro che rende gli artisti immortali, come chiunque può vedere salendo nelle stanze del Centro Studi dello Stabile di Torino, un luogo ormai unico in Italia, dove il culto della memoria si trasforma, come in un motore avveniristico, nel carburante di cui si alimenta il futuro. C'è la regia di un grande regista europeo come Martin Kušej e la coproduzione di Tre sorelle con l'Odéon di Parigi con Valeria Bruni Tedeschi, e l'abbraccio si allarga ai protagonisti del teatro internazionale che hanno calcato anno dopo anno i nostri palcoscenici, e a Fabrizio Arcuri che, col Festival Prospettiva, ha spinto ad aperture trasversali e internazionali verso linguaggi e generi innovativi. C'è la prima grande produzione di un giovane di grande talento come Fabrizio Falco, e in lui abbraccio tutti i registi che hanno esordito con noi, e con loro Paola Rota, che dopo avermi preziosamente affiancato nei primi anni della direzione torna oggi con le sue regie nel nostro cartellone. C'è il debutto di un nuovo autore, Antonio Piccolo, lo abbraccio senza conoscerlo ancora perché presenta un testo che è stato selezionato attraverso un concorso nazionale, ma è solo l'ultimo di una lunga serie di testi contemporanei che hanno costellato le nostre stagioni. Ma devo abbracciare gli attori tutti, i collaboratori artistici (dagli scenografi ai costumisti, dai musicisti ai light designer) e poi i docenti e gli allievi della Scuola col loro direttore Valter Malosti, i grafici che hanno curato l'immagine del nostro teatro, un mondo di creatività e di pensiero che fa impressione a riguardarlo tutto insieme. 
Tutto questo è nato dieci anni fa da una telefonata di Evelina Christillin, io non avevo nessuna intenzione di tornare a dirigere un Teatro Stabile ma lei mi convinse, e oggi gliene sono profondamente grato. Quando volevo lasciare lo Stabile qualche anno fa di nuovo mi convinse a restare, e di nuovo sono felice e grato di averla ascoltata: non c'è che dire, ero il suo direttore e me lo ha dimostrato con tutta la sua grande forza e tutto il suo affetto, che è totalmente ricambiato da parte mia. Come sono grato a Filippo Fonsatti che mi ha affiancato con assoluta competenza e autorevolezza insegnandomi il concetto di resilienza, un concetto di cui abbiamo fatto tesoro in questi anni di tagli continui ai contributi pubblici, e grazie al quale abbiamo sorretto e rilanciato il teatro anno dopo anno. E mi dispiace di salutare dopo solo poco tempo Lamberto Vallarino Gancia, di cui ho apprezzato immediatamente il garbo e l'amore per il teatro che presiede, nonché i consiglieri di amministrazione con i quali abbiamo lavorato così bene. Ringrazio i sindaci, i presidenti della Regione e gli assessori alla cultura che mi hanno rinnovato la fiducia in questi anni, con un saluto particolare a Fiorenzo Alfieri. Ma niente sarebbe stato possibile senza la meravigliosa, umanamente e professionalmente unica, compagine del personale del Teatro Stabile di Torino. Lasciare queste persone sarà la cosa più difficile, quella per cui mi morderò le labbra cento e cento volte, e che avrò sempre nel cuore. 
Di Torino mi hanno colpito sin dall'inizio i tanti organismi culturali, fortissimi in ogni campo, e immediata è stata per me la spinta a trovare con ognuno di essi forme di collaborazione che hanno allargato il campo dell'attività dello Stabile: dal Teatro Regio al Museo del Cinema, dal Circolo dei lettori al Festival delle Colline, a Torinodanza, col quale tale era la sintonia da arrivare a unione strutturale, per cui si può dire che il nostro Teatro Nazionale sia l'unico in Italia ad aver dato forma riconoscibile e duratura al rapporto tra teatro e danza, allineandosi così con i più grandi teatri europei, che da decenni sviluppano questo rapporto. Oggi ci troviamo entrambi a voltare pagina, Gigi Cristoforetti ed io, e il nostro non può che essere un abbraccio pieno di soddisfazione. Posso fare durare questi abbracci ancora qualche mese, una sensazione piacevole, ma che mi dà soprattutto la possibilità di lavorare costruttivamente in spirito di collaborazione con Valerio Binasco, che lo Stabile di Torino ha designato come mio successore. Anche in questo caso mi sembra che il nostro Stabile lanci un segnale in controtendenza in Italia, un segnale di amore e di rispetto per le istituzioni, qualcosa di cui si sente francamente il bisogno in un paese così lacerato. Lo Stabile è fresco di qualifica di Teatro Nazionale, ai massimi livelli di considerazione da parte del teatro italiano ed è importante che con questo avvicendamento si consolidi la sua posizione nei prossimi anni: sono certo che il direttore Filippo Fonsatti guiderà saldamente questo processo. Quanto alla direzione artistica, Valerio Binasco è tra i nomi dei registi che ho elencato all'inizio, è una colonna dello Stabile da me diretto fin dalla prima stagione, e non posso che essere felice che la scelta del Consiglio di Amministrazione sia caduta su di lui. Ma ciò che oggi mi colpisce è ricordare con quanta energia scrivevo il personaggio che Valerio avrebbe interpretato in Noi credevamo, come lo osservavo nel buio a prepararsi per la sua entrata in scena nell'Edipo a Colono, come ho pianto di commozione quando l’ho visto abbracciare, nei panni di Pietro Giordani, il giovane Leopardi sul set. È principalmente per questo, perché è un artista, che sono felice del suo arrivo a Torino nel ruolo che ho ricoperto per dieci anni. Se è vero che i teatri hanno il dovere, anche civile, di essere macchine dalla buona conduzione gestionale, hanno però senso solo se la follia e la tensione degli artisti riescono ad aprire squarci imprevedibili e visionari. Valerio Binasco col suo teatro coraggioso e innamorato degli attori ribalta da sempre, con grande talento, tanti luoghi comuni sui testi che mette in scena, che siano classici o contemporanei, con lui lo Stabile di Torino continuerà ad aprire sulla scena mondi interiori e a interrogare la realtà col teatro. 
Mario Martone

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