Per quest'anno niente Artissima all'Oval |
Premetto: questo è il progetto, oggi. Va da sé che un ulteriore inasprimento delle misure anti-covid (ad esempio, dio non voglia, la chiusura dei musei...) butterebbe tutto a carte quarantotto.
Ma, rebus sic stantibus, una domanda mi sorge spontanea: perché?
Voglio dire: partendo dal presupposto - l'hanno ripetuto alla nausea, in questi anni, i bottegai della politica - che l'investimento in cultura si giustifica per via delle "ricadute economiche sul territorio", mi pare lecito domandarsi il perché.
Voglio dire: partendo dal presupposto - l'hanno ripetuto alla nausea, in questi anni, i bottegai della politica - che l'investimento in cultura si giustifica per via delle "ricadute economiche sul territorio", mi pare lecito domandarsi il perché.
Perché nel pieno della seconda ondata pandemica, Artissima - come tanti altri eventi, dai cinefestival a Club to Club - si fa comunque, a dispetto dei santi e del covid e delle ricadute economiche che non ci sono?
Perché anche le altre istituzioni, dal Castello di Rivoli alla Sandretto, onorano la tradizione novembrina delle Arti contemporanee inaugurando le loro mostre di prestigio nel “periodo di Artissima”, anche se Artissima non c'è?
Perché anche le altre istituzioni, dal Castello di Rivoli alla Sandretto, onorano la tradizione novembrina delle Arti contemporanee inaugurando le loro mostre di prestigio nel “periodo di Artissima”, anche se Artissima non c'è?
Perché le altre fiere, da The Others a Flashback - il "contorno" di Artissima, le definivano - si propongono orgogliosamente "in presenza"? "Contorno" di che, se Artissima manca?
Sia chiaro: a me, personalmente, sembra bellissimo che si voglia mantenere vivo il progetto del Mese dell'Arte Contemporanea anche – e soprattutto – in un tempo così sbandato e incerto.
Insomma, mi son detto, queste cose avvengono nonostante. I visitatori non arriveranno, albergatori e ristoratori e taxisti non lavoreranno, le gallerie non venderanno le loro opere a collezionisti che resteranno a casa loro. Eppure le cose accadono, nelle modalità che la situazione consente, e nessuno sembra preoccuparsi delle ricadute economiche. E per un attimo ho sperato che la risposta fosse, semplice e chiara come dovrebbe essere, "perché l'arte e la bellezza non possono morire e neppure fermarsi per un giro, e si giustificano di per sé, non per le ricadute economiche sul territorio o per qualsivoglia altro conto del macellaio".
In realtà le cose non stanno esattamente così. Per come la spiega la direttrice Ilaria Bonacossa, anche la “fiera-non fiera” di quest'anno potrà portare vantaggi più materiali del puro appagamento estetico e culturale. Intanto, le opere esposte nelle varie mostre provengono dalle gallerie che hanno aderito ad Artissima, e quindi i collezionisti che le vedranno on line o in presenza potranno anche acquistarle: sono, come dire?, in conto-vendita. Poi, aggiunge l'Ilaria, c'è il vantaggio della “diluizione” su due mesi, anziché i soliti quattro giorni di un weekend lungo: strategia adottata peraltro anche dalla “sorellina pestifera” Paratissima. La speranza è che durante quei due mesi molti collezionisti vengano comunque a Torino per vedere di persona le opere esposte - con calma, non tutti in massa negli stessi giorni, ma vengano comunque - e facciano di conseguenza lavorare albergatori, ristoratori, taxisti e quant'altri, oltre – beninteso – a comperare le opere dei galleristi. Così saranno tutti felici e contenti. Beh, proprio tutti no: si perdono comunque immense occasioni di lavoro - pensate alla logistica, alla guardiania, ai servizi, agli allestimenti di una fiera “fisica” - ma poco è meglio che niente.
Sia come sia, questo è il piano-B che la direttrice s'è inventata in corsa, quando – con il crescere dei contagi - ha capito che l'idea della solita fiera all'Oval non era più realistica. E dunque ha rìnunciato all'Oval, contenendo i danni e senza sprecare del tutto il lavoro già fatto: tra l'altro, non dovrà pagare a Gl l'esoso affitto, se l'è cavata con una sopportabile penale. Va da sé che simili condizioni – senza le quote di partecipazione delle gallerie – non sarebbero sostenibili per una fiera privata. Artissima può permetterselo perché sovvenzionata con denaro pubblico. Ma siamo ai limiti. “Ci siamo fermati in tempo” dice la direttrice: e con “fermarsi in tempo” intende “fermarsi prima di buttar via dei soldi”, prima cioè del punto di non ritorno, quando si spende più di quanto ci si può permettere di perdere senza andare a ramengo.
Sia chiaro: a me, personalmente, sembra bellissimo che si voglia mantenere vivo il progetto del Mese dell'Arte Contemporanea anche – e soprattutto – in un tempo così sbandato e incerto.
Insomma, mi son detto, queste cose avvengono nonostante. I visitatori non arriveranno, albergatori e ristoratori e taxisti non lavoreranno, le gallerie non venderanno le loro opere a collezionisti che resteranno a casa loro. Eppure le cose accadono, nelle modalità che la situazione consente, e nessuno sembra preoccuparsi delle ricadute economiche. E per un attimo ho sperato che la risposta fosse, semplice e chiara come dovrebbe essere, "perché l'arte e la bellezza non possono morire e neppure fermarsi per un giro, e si giustificano di per sé, non per le ricadute economiche sul territorio o per qualsivoglia altro conto del macellaio".
In realtà le cose non stanno esattamente così. Per come la spiega la direttrice Ilaria Bonacossa, anche la “fiera-non fiera” di quest'anno potrà portare vantaggi più materiali del puro appagamento estetico e culturale. Intanto, le opere esposte nelle varie mostre provengono dalle gallerie che hanno aderito ad Artissima, e quindi i collezionisti che le vedranno on line o in presenza potranno anche acquistarle: sono, come dire?, in conto-vendita. Poi, aggiunge l'Ilaria, c'è il vantaggio della “diluizione” su due mesi, anziché i soliti quattro giorni di un weekend lungo: strategia adottata peraltro anche dalla “sorellina pestifera” Paratissima. La speranza è che durante quei due mesi molti collezionisti vengano comunque a Torino per vedere di persona le opere esposte - con calma, non tutti in massa negli stessi giorni, ma vengano comunque - e facciano di conseguenza lavorare albergatori, ristoratori, taxisti e quant'altri, oltre – beninteso – a comperare le opere dei galleristi. Così saranno tutti felici e contenti. Beh, proprio tutti no: si perdono comunque immense occasioni di lavoro - pensate alla logistica, alla guardiania, ai servizi, agli allestimenti di una fiera “fisica” - ma poco è meglio che niente.
Sia come sia, questo è il piano-B che la direttrice s'è inventata in corsa, quando – con il crescere dei contagi - ha capito che l'idea della solita fiera all'Oval non era più realistica. E dunque ha rìnunciato all'Oval, contenendo i danni e senza sprecare del tutto il lavoro già fatto: tra l'altro, non dovrà pagare a Gl l'esoso affitto, se l'è cavata con una sopportabile penale. Va da sé che simili condizioni – senza le quote di partecipazione delle gallerie – non sarebbero sostenibili per una fiera privata. Artissima può permetterselo perché sovvenzionata con denaro pubblico. Ma siamo ai limiti. “Ci siamo fermati in tempo” dice la direttrice: e con “fermarsi in tempo” intende “fermarsi prima di buttar via dei soldi”, prima cioè del punto di non ritorno, quando si spende più di quanto ci si può permettere di perdere senza andare a ramengo.
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