L'ordinanza regionale con le nuove prescrizioni anti-covid non ha modificato, per ora, le regole per cinema e teatri: si resta al solito tetto dei duecento spettatori per le sale più capienti. E' triste e comico insieme pensare che un mese fa sembrava non solo logico, ma pure imminente, un innalzamento di quel tetto; e adesso pare una botta di culo averlo almeno mantenuto.
In realtà non c'è nessuna botta di culo: come previsto, per la cultura siamo al lockdown virtuale. I grandi teatri sono comunque condannati a restare fermi o a lavorare in perdita, visto e considerato che duecento spettatori non bastano a pagare le spese. Ciò equivale a una condanna a morte (o a perdite ingenti) per i teatri privati, e allo stop per quelli sovvenzionati che non possono permettersi di infliggere altre coltellate al bilancio. E' il caso del Regio, dove non casualmente hanno prorogato sine die la cassa integrazione.
E ciò senza considerare l'effetto psicologico, indotto dall'espandersi del contagio, sulla propensione della gente a frequentare luoghi di spettacolo, benché su un piano di razionalità restino tra i più controllati e sicuri.
Purtroppo la situazione, prima di migliorare, non potrà che peggiorare esponeizalmente, e una chiusura totale è tutt'altro che da escludere. Ma già con l'ordinanza di ieri nasce un nuovo ostacolo alle residue speranza di mantenere un minimo di attività culturale. Mi riferisco al divieto di vendere alcolici dopo le 21, se non per il servizio ai tavoli dei ristoranti, Ora: immaginate un circolo, o un club, che voglia proporre piccole serate - conferenze, proiezioni, concerti in acustico, monologhi teatrali - per spettatori disinfettati, mascherati, seduti e distanziati in ossequio a tutti i protocolli; in genere, in simili occasioni, per non rimetterci gli organizzatori contano non solo sulla biglietteria - l'ingresso non può costare uno sproposito - ma anche e soprattutto sull'incasso del bar. E se al bar lo spettatore non può neanche prendersi una birretta, la vedo dura fare cassa a botte di caffè. Già immagino la festa degli abusivi piazzati nei dintorni dei locali...
Quindi qualcosa dovremo inventarci, se non vogliamo - finita la pandemia - ritrovarci in una città completamente desertificata. Intanto è urgente, come provvedimento minimo e immediato, trovare in fretta l'appiglio legale per rinviare a tempi più propizi il pagamento dei canoni d'affitto da parte delle associazioni concessionarie di spazi di proprietà comunale. E' ovvio che non basterà: ma intanto sarebbe un inizio, e un segno di buona volontà.
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