Se lo lasceranno lavorare, Giovanni Carlo Federico Villa potrebbe davvero essere il direttore che risolleva le sorti di Palazzo Madama. Quest'apertura di credito non dipende da quanto GCF ha fatto finora, che non è molto e neppure eccezionale: d'altronde allorché ha preso servizio si è trovato un calendario bloccato da progetti già avviati (e talora mediocri come l'esposizione della più che modesta tavola di Ugo da Carpi). La prima prova del fuoco di Villa, dopo il buon balloon d'essai di Pompei, sarà la grande mostra sul Liberty della primavera prossima.
Ancora non giudico GCF per i risultati; bensì perché mi dà l'impressione - rara di questi tempi a Torino - di avere una visione.
Me lo ha confermato uno scambio d'opinioni che abbiamo avuto qualche giorno fa mentre m'aggiravo per Palazzo Madama riflettendo sulle ambiziose aspettative e le ristrette prospettive di una Torino che arranca per tornare nell'empireo delle Grandi Mostre nazionali e internazionali (ecco il link all'articolo che è uscito sul Corriere di oggi).
Seguendo il filo dei miei pensieri, ho fatto notare a Villa che Grandi Mostre implicano non solo grandi capitali, ma anche un grande spazio espositivo per accogliere un grande pubblico: spazio che a Torino non c'è. Serafico, Villa ha ribattuto: "Non è detto: una metropoli moderna sceglie, e se necessario crea, la sede delle sue Grandi Mostre, lo spazio comune dove agiscono in diversi con un unico obiettivo. Siamo tanti musei, ciascuno con le sue specificità: se ci mettiamo insieme per costruire un progetto per uno spazio condiviso, e adeguato, tutto cambia...”.
La replica di Villa mi colpisce: intanto perché mi lascia intravvedere con semplicità un concreto destino per una Cavallerizza restituita alla città, al di là del banale chiacchiericcio corrente. Ma soprattutto perché non mi capita spesso di trovare un direttore di museo che guardi oltre il suo particulare, e ragioni come parte di un tutto.
In effetti c'è una visione, nell'immaginare una Cavallerizza (ma è solo un esempio non cogente, s'intende) che diventa sede delle Grandi Mostre della città, curate di volta in volta da uno o più musei con un progetto condiviso, e finanziata robustamente dall'ente pubblico anziché disperdere le risorse in mille rivoli e mille falliti tentativi di nozze con i fichi secchi.
Il problema, semmai, sarebbe governare le gelosie, le rivalità, gli egoismi. Lì non servono "cabine di regia", come auspica qualcuno; lì serve il polso saldo di una politica che voglia davvero fare il bene delle istituzioni, e coordini, diriga il traffico, crei punti d'incontro, smorzi gli attriti. E ovviamente premii i migliori e tenga alla larga i dannosi. Vasto e impegnativo programma. Nel frattempo, però, sarebbe sufficiente non permettere che le crisi si ulcerino: per dire, vi pare normale che la ammalorata Fondazione Torino Musei non abbia ancora un nuovo presidente, a tre mesi dalle dimissioni di Cibrario?
articolo interessante, per chi come me ricorda belle mostre come quella sull'Africa alla Gam, o le muse inquietanti a Torino esposizioni. Il mondo è pieno di arte, basta cercarla e portarla qui, come accade a Parigi alla fondazione Cartier
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