Il Tff è finito in gloria, e a quest'ora avrete già letto di tutto e di più, per cui non intendo tediarvi con cronache e commenti ulteriori. Approfitto invece dell'occasione per raccontarvi una storia non raccontata benché sia rimasta sotto gli occhi di tutti, seppure sottotraccia, per l'intero Festival. La storia del lungo addio di Steve Della Casa, il quale, con gusto davvero cinefilo, ha costruito con la sua prediletta retrospettiva dedicata a John Wayne una narrazione autobiografica di se stesso alle prese con il suo ultimo Festival e il suo vagheggiato futuro di cincinnato/pensionato intento alle opere dei campi.
La narrazione s'inizia esattamente dall'inizio, anzi, dal pregresso: dallo Steve che ai tempi della sua prima direzione del Tff, vent'anni fa, dichiarava "finché ci sarò io al Festival, ci saranno i western al Festival". Impegno mantenuto, anche vent'anni dopo. E a confermarlo è subito arrivato il manifesto del Tff41: l'immagine, elaborata da Ugo Nespolo, della celebre scena finale - evocata pure da Godard - di "Sentieri selvaggi", in cui John Wayne prende in braccio Natalie Wood. E qual è la battuta del Duca? "Andiamo a casa, Debbie". Già, l'avventura è finita, siamo al termine della pista, è giunto il tempo di andare a casa.
Come sarebbe giunto quel tempo per il capitano Nathan Brittles dei "Cavalieri del Nord Ovest", chiamato, nell'ultimo giorno di servizio, alla sua missione più eroica; missione che, notate bene, alla fine gli frutterà (o costerà) una promozione per meriti di guerra, e dunque il rinvio della pensione a data da destinarsi. Se finirà così anche per l'alter ego di Brittles/Wayne ce lo dirà soltanto il prossimo futuro. Comunque il "non scusarti mai, è segno di debolezza" del capitano Brittles aderisce perfettamente allo stile di direzione dellacasiano: lasciali dire, e fai la cosa giusta.
Ma l'identificazione Steve/John si sublima nell'atto finale di Della Casa da direttore del Tff, quando, ieri sera, dopo le premiazioni, gli applausi, i discorsi, il bandolero stanco va a presentare nella saletta 3 del Massimo l'ultimo film della sua ultima rassegna al suo ultimo festival: "The shootist", passo d'addio di un crepuscolare John Wayne che interpreta un vecchio e celebre pistolero al suo ultimo duello. Testamento spirituale di Wayne, e anche di Steve, ha detto Steve stesso. Il vecchio West è finito. Ma questo è un altro film.
P.S. Quando John Wayne interpretò "The shootist" era già malato e sarebbe morto tre anni dopo. Per fortuna Steve Della Casa gode di ottima salute.
Bonus track
Per dovere di completezza, pubblico qui un articolo su Tff e dintorni uscito sul Corriere di mercoledì scorso, e non reperibile on line. Si intitola "Due domande a Enzo Ghigo".
L'ultimo Tff di Steve Della Casa per me è ormai agli atti, me lo godo come qualsiasi altro cinefilo, e intanto guardo al futuro, come Alessandro Gassman nella pubblicità dell'assicurazione. Guardando al futuro – del Festival e del Museo del Cinema – due domande mi ronzano in testa fin dal giorno dell'inaugurazione, aizzate dalle solite voci che girano. Ma quando le voci girano, l'unica certezza te la può dare chi davvero sa. Nel caso specifico, chi sa è il presidente del Museo Enzo Ghigo. Così acchiappo Ghigo – impresa non difficile, il presidente è assai presente agli eventi del Festival – e gliele pongo, le due domande.
La prima domanda riguarda il Festival che verrà: “Presidente, quanto è fondata la voce, o l'ipotesi, di una consulenza per il prossimo Tff da affidare a Tiziana Rocca, importante produttrice cinematografica ed esperta in organizzazione di eventi, nonché moglie del regista Giulio Base, nuovo direttore del Festival?”. Ghigo non ha esitazioni: “È una voce priva di qualsiasi fondamento”, taglia corto. Ciò significa che Ghigo è convinto al mille per mille che Giulio Base sarà perfettamente in grado di dirigere alla grande i prossimi Tff senza nessun “aiutino”. O forse, più banalmente, il presidente non vuole prestare il fianco a facili polemiche del tipo ah ma danno la consulenza alla moglie... Sia come sia, la voce è smentita senza appello.
Prendo nota, e passo alla seconda domanda: “Quanto è fondata l'ipotesi di affidare a Steve Della Casa una consulenza al Museo per curare la parte della storia del cinema, e in particolare per produrre una serie di podcast su quell'argomento?”.
Anche stavolta Ghigo non esita: “Questa è assolutamente vera, confermo quanto ho già detto, è un'idea mia e sono convinto che sia utile per la divulgazione della storia del cinema con lo strumento dei podcast, e Steve è la persona giusta: ha esperienza radiofonica, competenza, e capacità di raccontare. Si deve fare”. Ammesso e non concesso, beninteso, che Steve accetti, il che è tutt'altro che scontato. Ad ogni modo, poniamo che il Nostro rinvii a data da destinarsi la sospirata pensione, ignori le proposte di lavoro romane, ottenga le garanzie che chiede, e dica di sì a Ghigo: “In tal caso – chioso io - Steve farebbe ciò che al Museo Egizio fa, tra mille altre cose, il direttore Christian Greco”. Ghigo non coglie, o finge di non cogliere, e precisa “... una cosa come Barbero quando racconta la storia...”.
Non spingo la perfidia fino a domandare al cortese presidente perché i podcast non potrebbe farli (risparmiando così un compenso extra) il direttore del Museo del Cinema, che immagino competente quanto e più di Steve, essendo il direttore e non un semplice consulente. La domanda inespressa aleggia tuttavia fra noi, quindi, come dicono gli avvocati nei processi americani, riformulo: “Ma non sarà che il direttore del Museo, chiunque esso sia, si sentirà, come dire?, un po' schiacciatello, messo in ombra dalla personalità e dell'autorevolezza di un fuoriclasse come Stefano Della Casa?”.
“Vabbè - replica l'abile Ghigo - però Steve si occuperebbe di quello specifico ambito dei podcast, non della gestione del Museo... D'altra parte ha fatto per due anni il direttore del Tff e non è mica successo niente...”. Vabbè, se lo dice Ghigo...
Il quale Ghigo aggiunge, in trionfale chiusura: “E poi, se il Comitato di gestione sceglie quella strada lì, il direttore si adeguerà”. L'intendance suivra. Senza perfidia, neh!
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