Insiste, l'Azzimato, con 'sta smania di #OccupySalone. Avete letto l'ultima sortita del Giuli? “Da ministro della Cultura ho il dovere di finanziare la cultura. Ci hanno chiesto di aumentare l’impegno per il Salone del Libro di Torino, per renderlo più bello della Buchmesse di Francoforte. Abbiamo risposto che siamo pronti ad assumere l’impegno richiesto. Ci ha stupito la contro risposta dilatoria del Sindaco di Torino e di una parte del Salone, stranamente interessati ai propri equilibri di governance. Ne ho parlato con la direttrice Annalena Benini che mi ha pregato di non credere a ciò che si legge sui giornali. Trovo singolare che alcuni sindaci vengano in trasferta e, una volta ottenute le promesse, insignoriscano”.
Beh, davanti a tanto pervicace scassamento m'è venuto spontaneo il commento uscito ieri sul Corriere:
Trovo singolare che il ministro Giuli trovi singolare la freddezza di Torino all'ipotesi che il ministero della Cultura entri nella governance del Salone del Libro. Singolare intanto perché - come ben hanno spiegato a Giuli i privati proprietari del marchio – non esiste una governance pubblica del Salone in cui entrare, trattandosi per l'appunto di un'impresa privata che vive per l'80 per cento di risorse proprie. E non trovo per nulla strano – a differenza di Sua Eccellenza il Ministro – che a casa propria si possa essere «interessati ai propri equilibrii di governance».
Capisco che S. E. Giuli sia contrariato, avendo ricevuto da alcuni ambienti sollecitazioni non soltanto ad aumentare il contributo statale al Salone (provvedimento senz'altro gradito e che il ministro può liberamente adottare in qualsiasi momento) ma anche ad «entrare nella governance». Questo è un frequente equivoco, anche a me capita talora di essere ospite a casa d'amici e di «invitare» a mia volta altri amici a unirsi alla bella compagnia, in forza di una forse eccessiva confidenza: ma perlomeno, in quelle occasioni, mi premuro di chiedere il parere dei veri padroni di casa. Qui invece assistiamo a una stravagante disputa fra ospiti, il ministro che vorrebbe entrare e il sindaco che frena: tipico della politica, piazzarsi a casa d'altri e pretendere di comandare, anzi «insignorirsi» come direbbe l'acculturato Giuli.
E con quale obiettivo dovrebbe entrare il ministero? «Per rendere il Salone di Torino persino più ambizioso di quello di Francoforte». Benedetti genii, ma se non avete un centro fieristico degno di questo nome, e già adesso stentate ad accogliere decentemente i visitatori, di quali ambizioni state tavanando?
Tuttavia il ministro, offeso perché non gli srotolano davanti i tappetini rossi, va a lamentarsi dalla direttrice del Salone, Annalena Benini, manco fosse lei, dipendente del Salone, a decidere chi è il padrone del Salone; e la direttrice, per rabbonirlo, non trova di meglio che esortarlo a «non dare credito a ciò che si legge sui giornali»: stravagante pure questo, considerato che a dirlo è una giornalista.
Sarebbe invece utile ricordare all'offeso Giuli i motivi dello scarso entusiasmo per l'eventuale arrivo del ministero. Rammentargli ad esempio che ai tempi del tentato scippo milanese l'allora ministro della Cultura Franceschini tenne una posizione assai ambigua, cercando di assecondare Milano senza troppo mortificare Torino: il che è pure comprensibile, non puoi pretendere che un governo nazionale si batta alla morte nell'interesse di una città a discapito di un'altra. Però, con buona pace del ministro Giuli, qui a Torino preferiamo metterci in casa chi fa gli interessi di Torino: sennò finiamo come Garibuja che nascondeva i soldi nelle tasche degli altri.
E devo ancora citare l'indegna pantomima messa in scena dalla politica al momento di scegliere il successore di Lagioia alla direzione del Salone? Nel guazzabuglio di spinte e controspinte, candidature e controcandidature, non mancò di far sentire la sua autorevole opinione l'impareggiabile ministro Sangiuliano, che in teoria non aveva voce in capitolo eppure non si astenne da metter becco con la famosa «garbata richiesta» di piazzare tre consulenti di sua fiducia a fianco del futuro direttore, con tutto il putiferio che ne seguì. Ora, se un ministero senza alcun titolo per immischiarsi nel Salone riesce a piantare un tale bordello, giudicate voi quali malestri potrebbero combinare lorsignori qualora ce li ritrovassimo tra i piedi con licenza di dettar legge in una futura, fantomatica governance.
Trovo singolare che il ministro Giuli trovi singolare la freddezza di Torino all'ipotesi che il ministero della Cultura entri nella governance del Salone del Libro. Singolare intanto perché - come ben hanno spiegato a Giuli i privati proprietari del marchio – non esiste una governance pubblica del Salone in cui entrare, trattandosi per l'appunto di un'impresa privata che vive per l'80 per cento di risorse proprie. E non trovo per nulla strano – a differenza di Sua Eccellenza il Ministro – che a casa propria si possa essere «interessati ai propri equilibrii di governance».
Capisco che S. E. Giuli sia contrariato, avendo ricevuto da alcuni ambienti sollecitazioni non soltanto ad aumentare il contributo statale al Salone (provvedimento senz'altro gradito e che il ministro può liberamente adottare in qualsiasi momento) ma anche ad «entrare nella governance». Questo è un frequente equivoco, anche a me capita talora di essere ospite a casa d'amici e di «invitare» a mia volta altri amici a unirsi alla bella compagnia, in forza di una forse eccessiva confidenza: ma perlomeno, in quelle occasioni, mi premuro di chiedere il parere dei veri padroni di casa. Qui invece assistiamo a una stravagante disputa fra ospiti, il ministro che vorrebbe entrare e il sindaco che frena: tipico della politica, piazzarsi a casa d'altri e pretendere di comandare, anzi «insignorirsi» come direbbe l'acculturato Giuli.
E con quale obiettivo dovrebbe entrare il ministero? «Per rendere il Salone di Torino persino più ambizioso di quello di Francoforte». Benedetti genii, ma se non avete un centro fieristico degno di questo nome, e già adesso stentate ad accogliere decentemente i visitatori, di quali ambizioni state tavanando?
Tuttavia il ministro, offeso perché non gli srotolano davanti i tappetini rossi, va a lamentarsi dalla direttrice del Salone, Annalena Benini, manco fosse lei, dipendente del Salone, a decidere chi è il padrone del Salone; e la direttrice, per rabbonirlo, non trova di meglio che esortarlo a «non dare credito a ciò che si legge sui giornali»: stravagante pure questo, considerato che a dirlo è una giornalista.
Sarebbe invece utile ricordare all'offeso Giuli i motivi dello scarso entusiasmo per l'eventuale arrivo del ministero. Rammentargli ad esempio che ai tempi del tentato scippo milanese l'allora ministro della Cultura Franceschini tenne una posizione assai ambigua, cercando di assecondare Milano senza troppo mortificare Torino: il che è pure comprensibile, non puoi pretendere che un governo nazionale si batta alla morte nell'interesse di una città a discapito di un'altra. Però, con buona pace del ministro Giuli, qui a Torino preferiamo metterci in casa chi fa gli interessi di Torino: sennò finiamo come Garibuja che nascondeva i soldi nelle tasche degli altri.
E devo ancora citare l'indegna pantomima messa in scena dalla politica al momento di scegliere il successore di Lagioia alla direzione del Salone? Nel guazzabuglio di spinte e controspinte, candidature e controcandidature, non mancò di far sentire la sua autorevole opinione l'impareggiabile ministro Sangiuliano, che in teoria non aveva voce in capitolo eppure non si astenne da metter becco con la famosa «garbata richiesta» di piazzare tre consulenti di sua fiducia a fianco del futuro direttore, con tutto il putiferio che ne seguì. Ora, se un ministero senza alcun titolo per immischiarsi nel Salone riesce a piantare un tale bordello, giudicate voi quali malestri potrebbero combinare lorsignori qualora ce li ritrovassimo tra i piedi con licenza di dettar legge in una futura, fantomatica governance.
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