Il barone von Ungern-Sternberg come lo immaginò Hugo Pratt in "Corte sconta detta Arcana". La sua strategia è la nostra |
Domani, poi domani, poi domani: così, da un giorno all’altro,
a piccoli passi, ogni domani striscia via fino all’ultima sillaba
del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno rischiarato, a degli stolti,
la via che conduce alla polvere della morte. (Macbeth)
E' stata, ieri, un'altra inutile giornata piena di strepito e furore; poi è scesa la sera, ed il buio misericordioso ci ha tolto il dolore dagli occhi; e ci ha portato le stelle, le placide stelle; e mentre in quell'immensità si perdeva il pensier mio, una domanda, uscita da chissà quali misteriose regioni dell'inconscio, mi ha d'un tratto illuminato d'una luce nuova e inquietante la scena triste del Salone nella tempesta, come un fulmine che squarci la notte di Valpurga:
“Ma chi diavolo sarà il direttore
della Fiera del Libro di Milano? Chi il presidente?”.
Ecco il tassello che mi mancava. Nei
giorni frenetici che abbiamo attraversato, fiumi di parole hanno
annunciato, commentato, sviscerato, analizzato il Grande Scisma
dell'Occidente librario e le contromosse dei torinesi per parare i
colpi e l'attivismo dei bauscia e i loro piani faraonici; e la
conseguente urgenza, per il Salone del Libro, di darsi un'adeguata
governance (ah, che salvifica espressione, la governance:
assaporatene il suono così smart, che sa di efficienza e orizzonti di gloria),
e vai con l'inseguimento del presidente perfetto, del direttore-star,
del format innovativo (però partecipato e condiviso, mi raccomando!)
e Massimo Bray che fa no no e poi sì sì e poi nì nì, e
Gramellini sì e Gramellini no, e Culicchia no e Culicchia sì, ma no
non vorrete mica un direttore torinese che sembriamo provinciali e va
bene allora cerchiamolo in Mozambico e sulle sponde dell'Orinoco ma
cerchiamolo per carità, e madamin che scalpita dobbiamo fare presto
per fregare sul tempo i milanesi e allora tutti insieme cerchiamo in
fretta la governance, sì però Bray accetta il 23 di agosto
all'anima del fare presto e il direttore quando lo scegliamo, a
Natale?, no ma senza Bray, no ma senza direttore-star, sì però l'operativo...
Ma nessuno, nessuno ci ha detto chi
diavolo è il direttore editoriale della Fiera del Libro di Milano.
Né chi ne è il presidente.
Nessuno l'ha detto. Perché quei nomi
non interessano a nessuno. Non hanno importanza. Forse non esistono
neppure, un direttore e un presidente.
Semplicemente, a Milano sanno cosa fare, e lo stanno facendo.
Non lo fanno per cattiveria, per
invidia, per prava volontà di nuocerci, come ci piace
consolatoriamente pensare. No. Lo fanno perché così deve essere.
In realtà gli editori milanesi non
scalpitavano per inventarsi il loro Salone. Ci sono arrivati per dispetto
e per necessità.
Il milanese inevitabile
Ci sono arrivati per dispetto perché
Torino, a un certo punto, l'hanno sentita nemica e arrogante, nella
sua granitica certezza di essere l'unica depositaria del verbo salonistico. No, non risulta che Fassino abbia mai pronunciato la
fatidica frase “se quelli di Milano vogliono il Salone, che ci
provino a farselo loro, e vedremo cosa combinano”; però, dicono
gli editori milanesi, l'atteggiamento era un po' quello.
Ma non è soltanto questione di malumori spiccioli. Ciò che accade, accade perché la Storia vuole così.
E la Storia ha deciso che Milano si riprenda il posto che era suo. Scusate, ci eravamo un po' distratti, ma adesso rieccoci.
Ghe pensi mi.
Il vento è
cambiato. Certo, la politica ha il suo peso, nel cambiamento. E non
penso solo agli errori che Torino ha commesso nel recente (e meno
recente) passato; ma anche all'oggettiva situazione che si è creata
con la vittoria dei cinquestelle. Non credo che se a Torino ci fosse
ancora la vecchia ditta il governo – e nel governo Franceschini,
l'amico di Fassino – avrebbe assistito silente allo “scippo”;
che poi scippo non è, noi ci teniamo il nostro svuotato Salone e i
milanesi ne fanno uno nuovo, più bello e più ricco perché i
milanesi, si sa, le cose le fanno più belle e più ricche di
default, o almeno così dicono e quando lo dicono ne sono talmente
convinti che tutti gli credono, e alla fine le cose vanno come i milanesi hanno deciso che vadano.
Comunque facciamocene una
ragione: il governo non si sbatterà contro il sodale Sala per far fare bella figura
all'Appendino (e nemmeno a Chiamparino che ormai gli sta sul culo, se
possibile, anche più dei cinquestelle). E'
nella logica della politica, e non raccontiamoci favolette: a ruoli
invertiti, gli altri farebbero lo stesso, pena passare per coglioni.
Però non stanno qui le ragioni profonde per cui il vento è cambiato. E' la Storia che fa il suo giro. E credo che le radici remote del controsorpasso milanese stiano addirittura nella decisione del governo Prodi, dieci anni fa, di appoggiare la candidatura di Milano all'Expo, anziché quella di Torino. All'epoca sembrò un comprensibile risarcimento per una metropoli umiliata e depressa; mentre Torino appena reduce dall'Olimpiade appariva e si considerava (ma non era, come constatiamo oggi) invincibile e trionfante.
Poi, è andata com'è andata. La Storia non ha nascondigli, la Storia dà torto o dà ragione. E noi abbiamo avuto torto.
Sventurato il paese che ha bisogno di eroi
Ecco perché nessuno si domanda chi sarà il direttore della fiera libraria milanese, e chi il presidente. Non sono importanti. C'è Milano, e tanto basta.
Invece Torino si preoccupa di chi sarà
il presidente, chi il direttore del suo morituro Salone, perché –
conscia della propria intrinseca debolezza, di un declino ormai
avviato, di una ritrovata marginalità – non può aggrapparsi ad
altri che ai salvatori della patria, e ne cerca ansiosamente i nomi;
nei nomi, e nelle persone che quei nomi incarnano, nel loro prestigio
e nella loro credibilità, Torino ripone una cieca, animistica fede.
Saranno loro, il Grande Presidente e il Grande Direttore, con la loro
credibilità, la loro fama, la loro potenza intellettuale, il loro
carisma, a capovolgere le sorti già segnate della Guerra dei Saloni:
due Cid campeadores, due Achilli piè veloci, due Orlandi paladini,
due Rambo della letteratura, che da soli debelleranno le schiere
nemiche, seminando strage e distruzione nel campo avverso.
Ma mentre Torino cogita sui conducator
cui affidare la salvezza della res publica libraria, Milano
fa.
Fa con molta naturalezza, con molta
logicità e pragmaticità. Con la forza tranquilla dei predestinati.
Torino cogita e promette e sogna, loro sono
pronti. Il primo imperativo categorico della stratega Appendino –
bruciare Milano sul tempo, presentando entro settembre uno
sfavillante progetto del Salone 2017 – è già fallito.
A nessuno piace perdere: nemmeno ai cuori-Toro
Il secondo imperativo categorico dettato dalla stratega – battere Milano sul piano delle presenze, avere “almeno un visitatore in più” - è assai problematico. E credo che sia un forte deterrente per chiunque venga chiamato oggi a guidare il Salone. Ecco perché Bray tentenna. Bray sa bene qual è la reale situazione, quali le forze in campo. Non è torinese, e dunque è insensibile alla retorica tremendista di Torino, un tempo appannaggio del tifo granata e oggi, in questa dolorosa vicenda del Salone, diffusa all'intera città. Il tremendismo induce a pensarsi capaci sempre di imprese disperate, di gettare il cuore oltre l'ostacolo, di recuperare l'irrecuperabile, di difendere la sconfitta volgendola a vittoria. Tremendismo bene interpretato da Sandro Baricco, noto cuore Toro, nell'intervista di ieria “Repubblica” in cui afferma apoditticamente che “gli scrittori preferiranno Torino”. Chi l'ha detto? Baricco. Però Baricco è un meraviglioso affabulatore, ed è sempre bello ascoltarlo, e crederci.
Bray è titubante perché non ha il
cuore Toro. Ma anche i cuori Toro senza paura, fuori dalla stadio,
possono ragionare su un piano di realtà. Ciò renderà molto
difficile trovare un direttore-star. O anche un semplice direttore
bravo e capace. A nessuno piace perdere, nemmeno ai cuori Toro;
figurarsi quelli che tengono per un'altra squadra. E chiunque sarà
invitato a sedere sulla scottante panchina di direttore del Salone
del Libro, sa – razionalmente – che probabilmente perderà.
Se anche il
Salone 2017 avrà – come hanno deciso i politici – la struttura di un
Salone-salone, una fiera classica, al Lingotto, com'è sempre stato e
come ahinoi sarà pure il concorrente milanese, c'è poco da
sperare. Certo, ogni partita fa storia a sé, e capita (ogni tanto)
che il Toro vinca il derby; però sulle forze in campo nessuno, anche
il tifoso più innamorato, può farsi soverchie illusioni. E
comunque, se la Fiera libraria di Milano si presenta in campo con
tutta la potenza e la prepotenza di una Juventus egemone, il Salone
sabaudo non è il Toro da derby; bensì una squadra ancora tutta da
inventare, e che per quanto oggi ne sappiamo potrebbe
ritrovarsi a lottare per non retrocedere.
Ammetterete che, in queste
condizioni, ci vuole un bel becco – o un bell'eccesso d'orgoglio
matto e luciferino – a dichiarare che come allenatore vogliamo
Mourinho. Di sicuro Mourinho non accetterebbe. Ma anche Novellino ci
penserebbe su un bel po', prima di firmare.
La difesa della sconfitta
Quindi andremo al big match del maggio 2017 con tutti gli sfavori del pronostico, perché abbiamo deciso – più che altro per puntiglio – di affrontare i milanesi sul loro stesso terreno, anziché cambiare gioco (e magari anche sport) e trasformare il Salone in qualcosa d'altro, magari il Grande Festival Letterario d'Italia che surclasserebbe le varie Mantova e Pordenone - e non fate dell'ironia sul "vincere facile": è comunque più gradevole che perdere 6 a 0. Né abbiamo protestato con l'arbitro, il governo, per trattare nuove regole, o almeno un accordo onorevole: ad esempio, un Salone condiviso, un anno a Milano e un anno a Torino. No, noi siamo tremendisti: faremo il nostro Salone in concorrenza diretta con quello milanese, a una o due settimane di distanza, e vedremo chi è il più forte.
Indovinate chi vincerà. Salvo miracoli di un direttore Puliciclone.
Poi, se tutto andrà secondo
logica e pronostico, ci leccheremo le ferite, e forse allora, solo
allora, cominceremo a ripensare l'intera faccenda. E magari
decideremo, finalmente, che questo sport è troppo rude per noi; e ne
sceglieremo un altro, e faremo – forse ma forse – il Grande
Festival Letterario d'Italia, o ci inventeremo un altro gioco
bellissimo che soltanto noi sapremo inventarci; e lo giocheremo molto
bene e – forse ma forse ma forse – un giorno
torneremo a vincere.
torneremo a vincere.
Bonus track: il comunicato del Salone del Libro
Come utile documento degli eroici furori torinesi, vi riporto il comunicato stampa diffuso ieri dal Salone del Libro al termine della riunione del Comitato d'indirizzo.Massimo Bray ha assicurato la propria disponibilità a diventare Presidente della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura e a lavorare da subito al progetto della trentesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, in un percorso che prevede la sua nomina formale ai primi di settembre da parte dell’Assemblea dei Soci Fondatori.
Contestualmente alla nomina di Bray,
verranno esaminate la prima bozza del progetto del nuovo Salone e la
modifica dello Statuto della Fondazione. Già il 23 agosto
è fissata una nuova riunione del Comitato d’Indirizzo che
discuterà le proposte di modifica statutaria e individuerà
il Direttore editoriale del Salone: un nome di alto profilo
del panorama culturale, scelto di concerto fra il Presidente e i Soci
fondatori. Entro metà settembre sarà approvato il nuovo Statuto. Le
modifiche principali prevedono, fra l’altro, l’istituzione di
un Advisory Board - un tavolo di lavoro nazionale con
gli editori e altri soggetti (librai, autori, lettori)
coinvolti nell’ideazione e organizzazione del Salone - e
l’individuazione e nomina di una nuova figura diDirettore
organizzativo della Fondazione, con il compito di gestirla sotto
il profilo amministrativo e contabile e di riorganizzarla in funzione
della nuova missione valorizzandone le professionalità.
Sono le decisioni emerse oggi dalla
riunione del Comitato d’Indirizzo della Fondazione per il
Libro, presieduto dalla Sindaca di Torino Chiara Appendino.
Assieme al Presidente designato Massimo Bray erano presenti il
Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, le
Assessore alla Cultura della Regione Piemonte Antonella Parigi e
della Città di Torino Francesca Leon, i rappresentanti del
Mibact Rossana Rummo, del Miur Arnaldo Colasanti e di
Intesa Sanpaolo Michele Coppola, il Vicepresidente della
Fondazione Roberto Moisio e il Consigliere
d’amministrazione Luciano Conterno.
Le prime dichiarazioni di Massimo
Bray al termine della riunione: «Nell’incontro odierno mi ha
colpito come ci sia stata una forte volontà di parlare di progetti
culturali che mettano al centro il libro e il suo Salone. C’è una
voglia di scommettere su un forte rilancio incardinato nei progetti
culturali dell’intero Paese, e non solo di una città e di una
regione. Ora lavoriamo al completamento del percorso necessario a
raggiungere i primi obiettivi. Sono onorato e contento di contribuire
a quella che sarà una presenza importante nella cultura, e in
particolare in un mondo come quello dei libri che ha bisogno di
attori che credano nella sua vitalità e ricchezza».
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