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ASPETTANDO IL DIRETTORE: EINAUDI SALUTA E NESSUNO LEGGE MACHIAVELLI

Mentre Torino ciancia. L'invito alla presentazione milanese
Nulla accade per caso. Anche il fluviale intervento del boss dell'Einaudi Ernesto Franco, pubblicato stamane sulla Stampa, ha un suo perché: gran parte dell'articolessa mira a chiarire ai torinesi, semmai qualcuno ancora ne dubitasse, che qui vale la legge del menga; e quindi chi ce l'ha se lo tenga. Ernesto Franco dispensa un vasto florilegio di consigli; ma en passant, con la noncuranza propria dei salotti letterari, butta lì in due righe la notizia nuda e cruda: “Gli editori, ed Einaudi con essi, alla fine andranno a Milano perché nessuno ha le risorse per finanziarsi il lusso di doppi stand e doppie spese". Ovvero, noi facciamo il nostro interesse; voi arrangiatevi, saluti e baci, e scordatevi pure l'Einaudi. Stento a dargli torto; non si vede perché dovrebbe comportarsi diversamente da altri, come Sellerio e Laterza, che pur fra sottili distinguo alla fine sceglieranno la Fabbrica milanese. A maggior ragione Einaudi non può disattendere la linea del gruppo Mondazzoli: tanto, le radici torinesi della casa editrice sono soltanto un retaggio simbolico, nell'attesa del definitivo trasloco a Segrate com'è nella logica dei fatti e nella prevedibilità del prossimo futuro.
Intanto il non-ancora-presidente Massimo Bray (a proposito: vi sbrigate ad approvare il nuovo Statuto?) amleteggia sulla scelta del direttore, che si prevede arrivi entro lunedì: la settimana prossima Bray e il direttore designato dovranno pur fare un salto alla Fiera di Francoforte per tentare di salvare il salvabile con i tedeschi, peraltro già contattati e intortati dai furetti milanesi, rapidi e concreti: loro, per dire, il direttore Andrea Kerbaker se lo sono nominati in quattro e quattr'otto, senza stare tanto a menarsela. 
A Torino, invece, traccheggiano: tra i nomi ricorrenti per la direzione, i più citati restano quelli di Culicchia, Ricuperati e, last but not least, Concita De Gregorio, che come direttore ha già offerto una notevolissima prestazione all'Unità.
Tra costoro soltanto Culicchia sa per concreta esperienza quali saranno i reali impegni per mettere all'onor del mondo ciò che resta del fu Salone del Libro. Ciò temo rappresenti un handicap, perché Bray è bramoso di novità, e l'esperienza di Culicchia al Salone sarebbe, in questo mondo alla rovescia, un difetto, o suppergiù.
Bray, lo sanno tutti, come direttore voleva Gramellini. Gramellini ha detto di no, senza possibilità di ripensamenti. E dunque il futuro direttore sarà comunque una seconda scelta. Non male, come esordio.
Poi ci sono gli editori: quelli rimasti fedeli a Torino non vogliono progetti fumosi, ma garanzie. Vogliono qualcuno che costruisca un Salone tale da piacere al pubblico, meglio se numeroso, e non soltanto agli intellettuali e ai salotti. Se le aspettative degli editori saranno deluse da Torino, le porte della Fabbrica del Libro sono sempre aperte.

Quindi la direzione del Salone non sarà una sinecura da sbrigare passando in ufficio una volta alla settimana a sciorinare quattro frasi a effetto; sarà un lavoro full-time, che richiederà presenza quotidiana e giornate lunghe e faticose. Il tutto per un compenso non sardanapalesco – se dico 40 mila netti non credo di sbagliare di molto. La passione sarebbe quindi la prima dote da cercare nel futuro direttore, se non vogliamo perdere il poco che ci resta. Deve crederci e metterci l'anima, il sangue e il sudore. I soldi o il residuo prestigio della carica non sono motivazioni accettabili. E a tale proposito vorrei regalare a lorsignori una piccola citazione da un libro che forse non hanno mai letto, o hanno letto male. E' scritta nello splendido italiano del Cinquecento, ma ho provveduto a semplificarla per facilitarne la comprensione agli intellettuali moderni. E' tratta dal capitolo dodici del “Principe”, nel quale Niccolò Machiavelli spiega perché non sia saggio né sicuro affidarsi alle milizie mercenarie: “Le milizie mercenarie sono inutili e pericolose: chi ci fa conto non sarà mai né saldo, né sicuro; perché sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedeli: gagliarde con gli amici, e vili davanti al nemico: e nella pace ti spogliano loro, in guerra i nemici. La cagione di questo è che non hanno altro amore né altro motivo che le tenga in campo se non un po' di stipendio, che non è sufficiente a far sì che siano disposte a morire per te. Vogliono essere tuoi soldati quando non sei in guerra, ma non appena la guerra arriva, o fuggono o ti tradiscono”.  

Commenti

  1. Gentile Gabriele,
    mi permetto di manadarle una brevissima riflessione a proposito dell’intervento di Ernesto Franco, ospitato dalla Stampa di ieri, che annuncia la scelta della casa editrice a favore di Rho. La dichiarazione dispiace ovviamente, perché in fondo all’animo sabaudo ci piace accarezzare l’idea che Einaudi sia rimasta ancora un po’ torinese, che le sue radici siano tuttora legate alla nostra città. E questo allora suona proprio come un’infedeltà nei confronti di Torino. Un dispiacere, senza alcun dubbio.
    Ma certo nessuna sorpresa, proprio nessuna meraviglia. Einaudi, interamente controllata da Mondazzoli da molti anni, non avrebbe potuto in nessun caso esprimere una posizione contraria al volere dell’AIE. Ed è interessante che a Milano abbiano pensato di gettare nell’agone un pezzo così significativo – vale a dire il nome di Einaudi – per rimarcare la loro posizione e in qualche modo far passare l’idea di una certa ineluttabilità. Anche le parole di Franco “Gli editori, ed Einaudi con essi, alla fine andranno a Milano…” hanno quel sapore di inevitabilità, neanche tanto sottile. Ma noi crediamo che si sbagli. Se per editori intende i marchi editoriali dei grandi gruppi rappresentati dall’AIE è certo che sarà così. Non avendo alcuna possibilità di scegliere, sono costretti a seguire le direttive. Ben diverso invece il caso degli editori indipendenti, che al contrario potranno fare una scelta libera e autonoma. Tra fare da riempitivo nell’ipermercato di Rho ed essere presenti da protagonisti nel rinnovato Salone Internazionale del Libro di Torino, io confido che sapranno fare la scelta più giusta e intelligente.
    E poi diciamoci la verità: chi va a una fiera per vedere i libri che trova in qualsiasi libreria sotto casa? I marchi dei grandi gruppi editoriali li troviamo dappertutto, non abbiamo alcun bisogno di andare fino a Rho. La forza del Salone al contrario è proprio quella di presentare centinaia di marchi indipendenti, che davvero incarnano il concetto di bibliodiversità.
    Questa è la forza del nostro Salone, ed è questo quello che cerca il pubblico, come gli ultimi trent’anni stanno a dimostrare.
    Anita Molino, il leone verde edizioni

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