Scoop! In anteprima esclusiva, il nuovo direttore (pardon, "caporedattore") del Salone del Libro al lavoro per l'edizione 2017 |
I tenutari del circo - pardon, del Salone - incontrano i giornalisti al termine dell'ennesima, fatidica Assemblea dei soci. Un veloce siparietto, solito repertorio. Chiampa disincantato – si
vede chiaramente che gliene fotte sega, e fa lo spiritosetto per sottolinearlo, casomai qualcuno ne dubitasse – e Madamin con la
solita faccia di pietra – Buster Keaton avrebbe tanto da imparare –
e poi le comprimarie assessore, l'iperottimista Leon che ci crede e
la sognante Parigi che si sforza di crederci.
Punto primo: Bray NON è presidente. Non ancora
Recan notizie, i tenutari. Ve le
elenco, così ci togliamo il pensiero. Con parole loro.
- “Il nuovo Statuto è stato rivisto e liberato”, viva la libertà. Adesso dovrà essere approvato dai consigli comunale e regionale, e famo notte. Però Francesca Leon assicura che basteranno due settimane, e Francesca Leon è donna d'onore. Fra quindici giorni mi aspetto di vederlo approvato e operativo in tutto il suo splendore, l'agognato nuovo Statuto.
- “Massimo Bray ha sciolto la riserva e accetterà la presidenza della Fondazione”. L'ha sciolta a cena, davanti a un piatto d'agnolotti. Quando si dicono i fascini torinesi. Ma attenti: “Bray presidente” è ancora una bugia. O una mezza verità. Bray continuerà a fare il consulente gratuito finché non diventerà operativo il nuovo Statuto (e rifamo notte). Solo allora, e previo l'assenso del CdA della Fondazione, diventerà davvero presidente. Questo perché con il nuovo Statuto il presidente non avrà più le attuali competenze gestionali e finanziarie, che passeranno al segretario generale. Adesso, vigente il vecchio Statuto, Bray rischia il conflitto d'interessi a causa della sua posizione editoriale con la Treccani. Per questa ragione e non per altre ha tanto traccheggiato. Domanda: e dirlo subito? Così ci evitavamo due mesi di misteri e illazioni.
- “Il presidente Bray inizierà subito la definizione del progetto per il Salone, confrontandosi con i ministeri e gli editori”. Attenzione a Freud: la frase, testuale, non accenna a un confronto con il territorio. Le realtà torinesi non vengono citate. Adesso la compagnia di giro salterà su a proclamare “ma certo, è ovvio, va da sé che le realtà torinesi saranno coinvolte nella progettazione”. Se va tanto da sé, perché si sono dimenticati di dirlo? Non ci hanno pensato. Freud, appunto.
- “Il Salone si terrà nelle date consuete, dal 18 al 22 maggio”, e questo l'hanno esplicitamente chiesto gli editori. Così possono andare anche a Milano. Ma sulle date i rappresentanti dei ministeri non erano per niente d'accordo. Si è impuntata l'Appendino, e l'ha spuntata. Comunque i ministeri sono molto, ma mooolto cauti: soprattutto a proposito dei soldi. Vogliono vedere i conti e non hanno nessuna intenzione di accollarsi i debiti del passato.
Ufficio complicazione affari semplici: capiredattori e dipartimenti
Ma la vera notizia è un'altra. Bray
non vuole un direttore unico per il Salone. Vuole una struttura
“collegiale”, con dei “capi dipartimento” che si occupino di
singoli settori, o aree tematiche, e un coordinatore
– “una specie di caporedattore”, lo definiscono – che ne
organizzi il lavoro. Il faceto Chiampa spiega benevolo ai giornalisti
tonti: “E' come una margherita, con un centro e i petali attorno”, e per far capire che sta cazzeggiando aggiunge “senza
nessun riferimento al partito della Margherita”. Ah ah.
L'idea, assolutamente cervellotica,
merita un approfondimento.
Punto primo. Ma come gli è venuta in
mente, a Bray? Ha visto troppi episodi di "Newsroom"? S'è riletto "Topolino giornalista"? No, dico, 'sta cosa del caporedattore è comica. Mi sa che gliel'ha insufflata qualcuno. Un
“qualcuno” che magari aspira a essere il centro della
margherita. Il “caporedattore”, insomma. Che di fatto sarebbe il
vero direttore del Salone. Ci può stare. Viviamo in una città dove
i ruoli non vengono più definiti con il loro nome tradizionale:
quindi, se il vero sindaco non si chiama sindaco e il vero assessore
alla Cultura non si chiama assessore alla Cultura, il direttore del
Salone potrà ben non chiamarsi direttore. L'importante è comandare,
quando va tutto bene. E non essere i soli responsabili, se va male.
I due mastini dei ministeri, Rummo e Colasanti, non sono
cretini, e hanno subito messo le cose in
chiaro: ma quali dipartimenti, ha sbottato Colasanti, quello del Miur, l'educational è roba
nostra, e il Miur non è il dipartimento di nessuno.
Per rabbonirlo gli hanno garantito che sull'educational il ministero avrà il
controllo completo.
Secondo me litigano. Ci ho pure scommesso
Così, a occhio, si profila qualcosa di
simile allo smembramento dell'impero d'Alessandro Magno, ma assai più
ridicolo. Io ho scommesso una cena con la Leon che, tempo due
settimane o comunque entro la fine del Salone 2017 (ammesso e non
concesso che si faccia), tra "caporedattore" e responsabili
dipartimentali voleranno gli stracci. Proprio come accadde tra i
diadochi dopo la spartizione dell'impero di Alessandro; e come
succede ogni giorno in qualsiasi struttura complessa dove il comando
non è chiaro, univoco e riconosciuto da tutti.
Francesca Leon ha accettato la
scommessa, lei non vede perché dovrebbero litigare. Mi auguro di
perdere la scommessa, per il bene del Salone; tanto vinco comunque,
una cena con l'assessore alle Fontane non è una sconfitta, nemmeno
se mi tocca di pagare.
Temo però di avere buone probabilità
di vincere. Perché i casi sono due.
Prima ipotesi: i “responsabili di
dipartimento” saranno personaggi senza personalità, disposti a
fare da galoppini al “caporedattore” voluto da Bray, e
quest'ultimo sarà il padrone e signore del Salone; e allora non si
vede perché montare 'sta manfrina.
Seconda ipotesi: i “responsabili di
dipartimento” saranno personalità forti e capaci, e in tal caso il
rischio che si scontrino fra di loro, e con il “caporedattore”,
sarà altissimo. Avete visto com'è andata fra Cogoli e Milella. Quando i ruoli non sono chiari, e accettati pacificamente da tutte le
parti, il disastro è dietro l'angolo.
Ci sarebbe, è vero, anche la terza ipotesi: “caporedattore” e
“responsabili di dipartimento” saranno bravi, competenti,
appassionati, e lavoreranno d'amore e d'accordo. A questa terza
ipotesi si oppone la legge di Murphy. Ma non sarò io a porre
limiti alla Provvidenza. Verrà anche il giorno che l'agnello pascolerà col leone. Basta crederci.
La centralità di Torino: potremmo avere qualche garanzia?
Resta un altro problemino. Non
è detto che la struttura vagheggiata da Bray sia a guida torinese.
Anzi. Il romano Bray non ha mai espresso uno straccio di
apprezzamento sulle risorse della città. Se ricordate, s'è presentato annunciando di non volere un direttore torinese. Non
possiamo escludere a priori – non c'è nessuna garanzia, nessun
impegno – che il Salone del Libro di Torino venga pensato e deciso
altrove. O comunque da non torinesi. Per carità, non ci sarebbe
niente di male: se siamo tutti gnugnu, meglio che arrivino i
cervelloni da fuori e ci dicano, come Atahualpa o qualche altro dio,
“descansate niño, che continuo io”.
Ammetterete però che è una prospettiva umiliante. E il rischio di un Salone a Torino, ma storinesizzato, c'è, eccome. Ancor più se ci aggiungete che i ministeri romani e la banca milanese hanno detto chiaro e tondo che vorranno metterci il becco a strafottere. E vi farei il paragone del passaggio dall'impero macedone (greco) alle satrapie orientali. Ma sarebbe un po' complesso, e pure noioso se non vi appassiona la storia. Quindi lascio perdere.
Quindi confermo quanto ho scritto il 3 settembre.
Però io non li capisco, gli aspiranti. Fossi in loro, mi arruolerei piuttosto nelle forze speciali. E' meno rischioso.
Ammetterete però che è una prospettiva umiliante. E il rischio di un Salone a Torino, ma storinesizzato, c'è, eccome. Ancor più se ci aggiungete che i ministeri romani e la banca milanese hanno detto chiaro e tondo che vorranno metterci il becco a strafottere. E vi farei il paragone del passaggio dall'impero macedone (greco) alle satrapie orientali. Ma sarebbe un po' complesso, e pure noioso se non vi appassiona la storia. Quindi lascio perdere.
Vabbé, giocatevi quest' ambo sulla ruota di Torino
Comunque, per non perdere le cattive abitudini del toto-nomi, io ne faccio due: oltre al candidato naturale Giuseppe Culicchia (ma volesseiddio...), ci metto Gianluigi Ricuperati, che ultimamente ha bazzicato visibilmente il Bray e oggi giubila su Fb. Lui nega, va da sé, ma le fonti e i fatti mi dicono che vuole salire sul carro. Se vi interessa, vi linko il suo progetto per il Salone: di culto la visione del Salone come "il luogo cool dove le persone migliori del mondo pensano a come traghettare nel XXI secolo la cultura del libro". Adoro quel "cool". Ricuperati ha una sponda in minimum fax e - a detta dei più - Bray lo considera moltissimo.Quindi confermo quanto ho scritto il 3 settembre.
Però io non li capisco, gli aspiranti. Fossi in loro, mi arruolerei piuttosto nelle forze speciali. E' meno rischioso.
Gran finale: a noi i dialoghi competitivi, ai Mottarelli la Buchmesse
Aggiungo, per chiudere in bellezza, un
altro po' di chicche generosamente distribuite dai tenutari del circo
triste durante la conferenza stampa:
- Ci sarà un attento “ascolto” degli ottanta editori fedeli a Torino, che potranno partecipare forse al Comitato d'Indirizzo, forse come soci sostenitori, e boh, si vedrà. Intanto, hanno chiesto di anticipare l'orario di chiusura del Salone alle 20 per spostare le attività serali in città. Concesso.
- “In tempi brevi” (te li raccomando, i “tempi brevi” del circo triste) si farà il bando per il segretario generale, funzione al momento affidata a Beppe Ferrari, distaccato dal Comune.
- Sempre in “tempi brevi” si farà anche il bando (pardon, ho scoperto che adesso si chiama “dialogo competitivo”: ma come se le inventano?), insomma, qualla roba lì per scegliere trasparentemente (cavolo, l'ho scritto...) chi dovrà gestire, per conto della Fondazione, l'attività commerciale, cioé la vendita degli spazi agli espositori. Ho pregato che mi spiegassero che cosa intendono con “tempi brevi”: Francesca Leon mi ha risposto che servono 15 giorni per scrivere il bando (pardon, il “dialogo competitivo”) e altri 15 per le risposte, e insomma, ai primi di novembre ci dovrebbe essere qualcuno in grado di alzare il telefono e cominciare a procacciarsi qualche espositore. Me lo segno.
- Non basta. Sarà pronto in un battibaleno anche il progetto del Salone. Entro metà ottobre, verso il 15, ipotizza Francesca. O forse lo ipotizza Antonella. Quelle ragazze sono il ritratto dell'ottimismo, beata gioventù. Le invidio.
- E per non farci mancare proprio nulla, il Salone del futuro instaurerà un dialogo (mi auguro non competitivo) con gli altri festival culturali italiani. E forse ospiterà anche Torino Comics. Ecco, al momento mi pare l'idea più coerente. Potremmo pure commissionare una “Storia della decandenza e caduta del Salone del Libro” a Zerocalcare. Lui sì che saprebbe raccontarla.
Ma soprattutto, ci avete fatto caso? Sono ormai mesi che ce la meniamo sempre sulla stessa fuffa: i nostri zuavi a strologarsela, io a raccontarla, voi a leggerla. E il progetto e il presidente e il direttore e il bando e lo statuto e il dialogo e le date e stasantaminchiadavelletri, che nel frattempo i milanesi hanno messo su la Fabbrica, ci hanno coperti di merda, e adesso si danno da fare per soffiarci pure la partnership con la Fiera di Francoforte. A quest'ora, potete giurarci, il Motta e i suoi Mottarelli gli stanno già parlando, ai crucchi della Buchmesse; mentre i nostri zuavi sono qui che vaneggiano di capiredattori e dipartimenti.
E s'incazzano pure, se li prendi per il culo...
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