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LO STRUZZO E GLI STRUZZI: AFFINITA' E DIVERGENZE FRA DUE IDEE IDENTICHE

Noi andiamo a Milano, voi fate il Festival. E tutti ringraziano lo Struzzo
Non è una storia importante, però la dice lunghissima su questa città; e su come sta “gestendo” (virgolette dovute) la iattura del Salone del Libro. Così, alla fine ho deciso di scriverla. Sempre a futura memoria.
Ecco i fatti.

La proposta di Gramellini

Sulla Stampa del 14 settembre Massimo Gramellini lancia una sua proposta per superare la contrapposizione Torino-Milano. Leggete qui l'articolo, poi andiamo avanti.
In sostanza, scrive Gramella, lasciamo pure che Milano si faccia la sua fiera commerciale; noi che siamo colti e creativi ci inventeremo “il più formidabile Festival letterario mai visto in Italia”, con i librai sotto i portici e incontri, letture e conferenze nei più bei palazzi, musei e piazze del nostro superbo centro storico. Un Salone-Festival "diffuso" nella città. ("Come il Salone del Gusto", aggiunge Gramellini: e segnatevi che ciò accadeva prima del Salone del Gusto. Poi capirete).
Gramellini caldeggia una simile prospettiva fin dall'inizio della dolorosa vicenda, quando – nel tentativo fallito di coinvolgerlo nella futura “governance” del moribondo Salone – Paolo & Chiara finsero d'interessarsi al punto di vista suo e di altri “saggi”, che vennero benevolmente ascoltati e subito dimenticati.
Quello di Gram è un progetto, badate bene, che io non condivido. Gliel'ho anche detto, a Massimo. Il fatto che siamo amici non significa che dobbiamo pensarla nella stessa maniera. Io sono contro l'accanimento terapeutico. Comunque, bon, è un'idea come un'altra. Può piacere o non piacere.
Lipperlì non piace né punto né poco ai bellicosi zuavi torinesi. Nei giorni seguenti l'intera schiera dei naufragatori che s'affaccendano attorno al relitto del Salone si produce in un omerico coro di no-no-no. Ma che Festival, s'indignano e s'impegnano i nostri politici locali, noi tireremo diritto e faremo il nostro Salone, con gli stand e tutto il resto, alla faccia dei milanesi. “Regione e Comune uniti: No al Festival del Libro”, riferisce La Stampa del 19 settembre. Leggetevi l'articolo, merita davvero. Da consegnare agli annali delle storie patrie il grido della dignità offesa di Madamin: “L’ipotesi che a Torino si faccia una sorta di festival culturale e a Milano la vera e propria fiera non ci va per nulla bene, non la sposeremo mai”.

Il "consiglio" di Ernesto Franco

Passano dieci giorni. Ieri, sempre sulla Stampa, esce una sterminata articolessa del direttore editoriale dell'Einaudi, Ernesto Franco: e anche questa dovete leggervela tutta, vale la fatica. L'esercizio retorico, benché brillante, contiene un'unica notizia, e tutt'altro che piacevole per Torino: Einaudi, scrive Franco, andrà alla Fiera di Milano, e diserterà Torino. La notizia è subissata da un giulebbe di buone parole e mozioni degli affetti nei confronti del Salone di Torino, ma così è. Se qualcuno s'illudeva che Einaudi rompesse la compattezza del gruppo Mondazzoli in omaggio alle sue radici torinesi, sempre più fragili e a scadenza, si può mettere l'anima in pace. Ovviamente, Ernesto Franco avvolge l'amaro boccone nello zucchero filato, rivendendosi sotto forma di saggio consiglio non richiesto la stessa proposta di Gramella: fatevi un bel Festival letterario, suggerisce l'einaudiano fuggiasco, sfruttando le meraviglie del vostro centro storico, fatevi un Portici di Carta al cubo, e vedrete che bellezza, tanti auguri di buona fortuna e adesso scusatemi ma devo tornare in ufficio che stiamo organizzando un trasloco.

Le reazioni

Io leggo, e penso: perdirindindina (vabbè, lo ammetto, non ho pensato "perdirindindina"...), questa sì che è una notizia. La casa editrice simbolo di Torino getta la maschera e annuncia ufficialmente, dopo tanti dico e non dico, che non parteciperà al Salone di Torino. Vabbé, penso pure che Ernesto Franco ha sbagliato tattica, riesumare il Festival gramellinesco, che non era piaciuto neanche un po', sa un cicinin di presa per i fondelli. Vedrai domani come lo sfanculano, mi dico: siamo mica piciu, qui a Torino.
Come sempre, sbaglio.
Oggi non uno dei nostri zuavi s'azzarda a banfare contro la decisione di Einaudi di non essere presente al Salone di Torino (tanto si sapeva già...), né per il tono sgradevolmente e inutilmente minaccioso ("gli editori, ed Einaudi con essi, alla fine andranno a Milano"); in compenso tutti si sciolgono in un brodo di giuggiole alla prospettiva di quel Festival letterario che essi stessi pochi giorni fa bocciavano come utopico, riduttivo e fallimentare. Sarà l'effetto del Salone del Gusto; hanno visto che funziona e allora adesso vai, facciamolo diffuso sempre, diffondiamoci che è sano e italiano. Banderuole. Ok, ok, l'accordo con Gl prevede per due anni l'utilizzo del Lingotto, ma che importa? Viviamo alla giornata.
La Stampa di oggi: la politica plaude al "Salone diffuso" suggerito dallo Struzzo
Su La Stampa, sotto il titolo “Einaudi e il Salone diffuso: l'idea piace”, leggo solo reazioni entusiaste: “Noi stiamo andando nella direzione suggerita da Ernesto Franco” s'affretta a precisare l'assessore alle Fontane Francesca Leon, evidentemente sensibile al fascino discreto dell'einaudite. E l'Antonellina Parigi non vuol essere da meno: “Il commento di Ernesto Franco è molto condivisibile”, puntualizza. Condivisibile? Stessa direzione? 'Sta bella ceppa, dicevate dieci giorni fa a proposito della stessa identica proposta. Indecisi a tutto, eh?

Ci salvi chi può

Ora, io mi domando. Gli allegri chirurghi stanno gestendo in questa maniera la crisi del Salone del Libro. Dicasi il Salone del Libro. Quando ci toccherà (e ci toccherà, oh se ci toccherà...) di affrontarne una davvero grave, come ci salveremo?

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