Maestro e allievi: i capitani Smith (Titanic), Chiampa (Regione) e Fassino (Comune) |
Adesso che la penosa pantomima si è consumata, mi saranno concesse alcune riflessioni sul disastro del Salone del Libro?
Eh no, perché se riesci nell'impresa nefanda e immane di affondare un transatlantico inaffondabile, una causa prima ci deve pur essere.
In genere, come nel caso del Titanic o della Costa Concordia, la causa prima consiste nella incapacità e supponenza del capitano. Ma attenzione, perché adesso cercheranno di percularvi. Il capitano della corazzata Salone, miseramente autoaffondatasi in una Scapa Flow di minchiate, non era - come vorranno farvi credere - Picchioni. No. Picchioni formalmente era il capitano, certo: ma negli ultimi tempi faceva il nostromo.La Bayern si autoaffonda a Scapa Flow (1919) |
Seguite, voi che avete doti d'intelletto, il semplice ragionamento.
1) Capitani perniciosi
I "soci fondatori" del Salone - l'allegra brigata di marinai d'acqua dolce che ha portato a scogli la corazzata Salone - sono la Regione, il Comune e la buonanima della Provincia. A turno, il presidente della Regione, quello della Provincia (una volta), e il sindaco di Torino si alternano nel ruolo di "presidente dell'Alto Comitato della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura". Con il prezioso ausilio dei loro scudieri (gli assessori alla Cultura), questi signori indicano presidente e direttore del Salone, e decidono come e quanto sganciare. Insomma, pagano e nominano. E chi paga e nomina, comanda. Certo, potrebbero limitarsi a fare gli armatori: metterci i soldi e scegliere il capitano giusto. Stop. Però il politico non s'accontenta fare l'armatore. Non si fida. Preferisce stare sul ponte di comando, soffiare sul collo al capitano/nostromo, e al momento giusto tenere ben stretto il timone.Purtroppo non sempre gli armatori sono dotati di patente nautica.
2) Come affondare nel ridicolo
Allora nasce il problema: quando l'armatore sale a bordo e prende il timone. Nel 2014 Picchioni e Ferrero sono in scadenza dell'ennesimo mandato. I "soci fondatori", indecisi a tutto, anziché indicare i successori, decidono di non decidere. Prorogano di un anno Picchioni e Ferrero: gira l'idea di individuare nel frattempo un presidente in pectore da affiancare a Picchioni, cosicché s'impratichisca della "macchina". Un passaggio di consegne soft, insomma. Ma ovviamente non succede nulla di ciò. Nulla di chiaro e trasparente. Vengono invece infilate nel CdA le future nominate, con l'incarico di marcare stretto Picchioni. Conseguenza immediata: il CdA diventa un Vietnam.In via Santa Teresa 15 (la sede del Salone) la situazione si surriscalda.
Girano brutte previsioni sui conti .
Picchioni scatena la polemica sul contratto-capestro con Gl Events.
Cerca una sede alternativa.
Quelli di Gl si agitano, minacciano di mollare il Lingotto sul groppone del Comune. Alla prospettiva, Fassino va ai matti. E rimette in riga Picchioni.
Il capolavoro: portare sugli scogli una nave da crociera |
Si arriva al Salone 2015 senza aver scelto i nuovi vertici, e con un Picchioni sotto assedio e inferocito. Con magico tempismo una provvidenziale (provvidenziale per i "soci fondatori", beninteso) inchiesta giudiziaria lo toglie di mezzo.
A questo punto Regione e Comune non possono può traccheggiare. Devono decidere.
Al Comune spetta la nomina del presidente. Combinazione, come da copione indica Giovanna Milella, una ex dipendente Rai come l'assessore Braccialarghe. Giovannona, che per tutta la vita ha fatto la giornalista, ha il merito di aver portato a Torino il Prix Italia. Credenzialissima. Da premiare. Fassino, su cui ricade la responsabilità politica della decisione, benedice.
In Regione, l'assessore Parigi si lascia ahilei trascinare dall'onestà intellettuale - difetto imperdonabile in certi ambienti - e come da copione propone Giulia Cogoli perché - dichiara a più riprese - la considera brava e ammira il suo lavoro al Festival della Mente. Chiampa, su cui ricade la responsabilità politica della decisione, benedice.
Le due signore cominciano subito a litigare.
3) La comica finale
Il naufragio dell'Arethusa, dipinto di Carlos Wood (1826) |
A me non interessa sapere se sia stata la Milella a sfiancare la Cogoli per liberarsi di una partner che le dava ombra; o sia stata la Cogoli a traccheggiare sul compenso o sul piano editoriale. Non me ne frega nulla. Ciò che conta è che le due si sono prese a madonne dal primo istante. E di conseguenza era essenziale stopparle subito o congedarle entrambe con altrettanta solerzia. Perché quando i sottoposti litigano, la responsabilità è del capo che non li fa rigar dritti.
Dunque, per tornare al tema: i capitani/armatori Fassino e Chiamparino, nella fase finale di una vicenda da sempre mal giocata, commettono due errori madornali e inescusabili.
Il primo errore: i due prodi zuavi creano un tandem che non può funzionare, e neppure si domandano se può funzionare. Si limitano a recepire reciprocamente le rispettive scelte (dettate da valutazioni di merito o d'interesse, non importa), senza una valutazione seria sulla funzionalità dell'accoppiata. Insomma, non tengono conto del "fattore umano".
Il secondo errore: quando le due madame si accapigliano, i due rudi "machi" - che pretendono di governare milioni di persone - non riescono a richiamarle all'ordine. Permettono che il conflitto si incancrenisca. E allorché la direttrice designata Giulia Cogoli decide - dignitosamente - di andarsene, i due rudi "machi" lasciano la presidente Giovanna Milella ben abbarbicata alla sua poltrona presidenziale. Sbagliatissimo. Ripeto: se i due massimi dirigenti di un ente inscenano certe risse da lavandaie, è necessario cacciarli entrambi, senza distinzioni. Aggressori o aggrediti che siano, di sicuro sono inadatti al ruolo. Non pretendo la logica spiccia di Arnaldo di Citeaux alla presa di Albi ("Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi"). Ma insomma, davanti a fatti incresciosi chi ha il potere e la responsabilità è tenuto a scelte chiare e severe, non bamboleggiamenti tartufeschi e neppure sottili distinzioni etiche: ciò che conta è tutelare l'immagine dell'istituzione.
La zattera della Medusa, di Théodore Géricault (1818-19) |
4) Vi mettereste in società con questi due?
Invece l'immagine del Salone esce devastata dalla patetica pantomima.Adesso Chiampa&Fassino aprono le porte a nuovi soci con nuovi capitali, per rimettere in sesto il bilancio. Ambizioso programma. Cercasi interessato a investire i propri soldi in una struttura azzoppata, con una presidenza in odore di riottosità e cattiva gestione dei collaboratori (nonché invisa a uno dei capitani/armatori), e senza un progetto credibile né con la prospettiva di averlo in futuro. Già, c'è anche questo: quando quel galantuomo di Ferrero se ne andrà, compiuta l'impresa di rabberciare il Salone 2016, bisognerà trovare un direttore che vari il sospirato progetto editoriale. E pensate voi che un professionista prestigioso, autonomo, capace e con prospettive, sia interessato a un'esperienza di collaborazione con una presidente che ha messo in fuga la direttrice precedente ancor prima di cominciare il lavoro? In bocca al lupo, ragazzi.
Ma torniamo ai nuovi (sperati) soci. I capitani Chiampa&Fassino non hanno pregiudiziali: pubblico o privato, piemontese o "straniero", va bene chiunque. Purché cacci il grano. Mi sa tanto che alla fine per salvare la baracca interverranno le solite Fondazioni bancarie, che dio le rimeriti. O magari una cordata milanese potrebbe tentare la fatidica scalata e conseguente esportazione/asportazione del Salone oltre il Ticino, dove c'è tutta un'ex-Expo da riempire. Sempre che questo Salone interessi ancora ai milanesi. Si diceva inoltre che i francesi della Gl Events fossero interessati a comperare il marchio del Salone: ovvero, dopo esserci fumati il contenitore (il Lingotto), ci fumiano anche il contenuto.
L'Andrea Doria si inabissa nell'Atlantico (1956) |
5) I muscoli dei capitani
Questo è quanto. Lo Schettino e l'Edward Smith del Salone del Libro sono due autorevoli esponenti di un partito di governo, che amministrano Torino e il Piemonte ma vanno in confusione al momento di garantire una decente governance a un Salone qualsiasi. Sbagliano le nomine (questo è un fatto: le hanno sbagliate, proprio perché è finita com'è finita) e non sanno gestire la crisi (questa è un'opinione mia: forse i diretti interessati pensano d'aver fatto del loro meglio; e magari, ahinoi, hanno davvero fatto del loro meglio).Oh, adesso voi del centrodestra non bullatevi: ai vostri tempi avete sbagliato persino a scegliere una segretaria. Per tacer delle direttrici generali.
E vi assicuro che mal comune non è mezzo gaudio.
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