Gianmaria Testa (1958-2016) |
Qualche giorno fa ricevo dalla casa discografica Le Chant du Monde i due cofanetti che raccolgono tutti i dischi di Gianmaria Testa: sette in studio, quattro dal vivo. Pochi, in fondo. Basta un pomeriggio per riascoltarli tutti, e per riaprire una ferita nel cuore, un'assenza che non è mai finita.
Così ho sentito il bisogno di parlare di Gianmaria, a un anno dalla sua morte. E ho ritrovato un vecchio pezzo su di lui, che avevo scritto per ricordare com'era lui in concerto; un pezzo che, per varie vicende non importanti, non uscì mai. Un inedito, insomma.
L'ho letto e mi è sembrato che funzioni ancora, e forse è un buon modo per parlare di chi in apparenza non c'è più, ma in realtà non è mai andato via. Perché un amico è per sempre. E un artista anche.
"Fa nen al buracio"
Il mio Gianmaria, l'artista
che ho conosciuto e amato e che mi porto nel cuore, è il Gianmaria
Testa dei concerti, quello che ho ascoltato tante volte su un palco.
Proprio lui, nella sua essenza; nella sua più profonda essenza di
artista, di performer e di straordinario essere umano.
L'ho sempre pensato, fin da quella
prima volta all'Olympia, nel '96: il concerto era la sua dimensione
più vera e genuina. Può sembrare strano dirlo di lui, schivo al
punto che, di fronte al pubblico, appariva sempre un po' imbarazzato:
ma era un imbarazzo sano, fatto di dignità e senso del dovere. Mi
piace immaginare che, dentro, sentisse la concretezza della sua
gente, del suo sangue piemontese e contadino che lo ammoniva: “fa
nen al buracio”, non fare lo scemo, non metterti in mostra, fai la
persona seria, raccomandavano le nostre nonne e mamme ai ragazzi
troppo esuberanti. E così, quando l'urgenza di svelare i mondi che
si portava dentro lo costringeva a piazzarsi sotto i riflettori, con
la chitarra in mano e tutta quella gente che era lì solo per
ascoltarlo, Gianmaria vinceva quell'imbarazzo trasformando il
concerto in un'esperienza privatissima. Lui non cantava per “tutta
quella gente”: cantava per te, unico spettatore. Anzi, non
“spettatore”, non “pubblico pagante”, bensì amico, fratello,
compagno di serata, interlocutore di un'intima conversazione in cui
Gianmaria apriva il suo cuore, raccontava e si confidava, come in una
veglia, davanti a un bicchiere di vino, nel tinello di casa o sotto
il portico, d'estate.
Non so a quanti concerti di Gianmaria
ho assistito, in vent'anni di frequentazione: tanti, nelle situazioni
più diverse, in grandi teatri scintillanti e in piccoli club, da
solo o accompagnato da musicisti eccelsi. E sempre scattava la magia.
Lui sembrava asserragliarsi dietro ai baffoni, e le parole con cui
presentava le canzoni gli uscivano quasi a fatica: ma dirette,
essenziali, necessarie; necessarie quanto le canzoni, quanto la
musica. Era un performer naturale, senza trucchi, pieno di dignità e
concretezza. Affascinava, conquistava l'ascoltare con un gesto,
un'inflessione, un mezzo sorriso.
Ho trovato una frase di Gianmaria che
dice tutto, e vale molto più delle mie povere righe: “Avrei
suonato e cantato comunque. Con o senza dischi, con o senza
pubblico. Per questo nei concerti non patisco affanni, mi dico che è
un incontro da onorare. Gente che è partita da casa apposta,
qualcuno per caso, da non far pentire”.
Ci è riuscito. Sempre. Non mi ha mai
fatto pentire. E per questo – oltre che per l'amicizia e il
privilegio di aver conosciuto un uomo grande – gli sarò grato
sempre.
Ci vediamo, Jeanmarie.
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