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TRA LOVERS E VIVALDI: LA STRATEGIA DI CHIARABELLA

Direttrice e presidente: Irene Dionisio e Giovanni Minerba
No, davvero: io detesto i giorni come ieri. Ti piazzano due conferenze stampa, una dietro l'altra, prima il Festival Vivaldi e subito dopo il "nuovo" Cinema Gay, cioé quello che fino a ieri si chiamava Tglff, e oltretutto scopri che adesso non si chiama più Tglff bensì "Lovers Film Festival"; e già così il racconto s'incasina. Ma il problema non è ovviamente questo.

Un packaging chiamato Vivaldi

Un discreto problema, per chi deve poi raccontare, è che le storie sono due, ma ce n'è una terza sottotraccia che è più importante. E la faccenda si complica.
Passi il Festival Vivaldi, che è il solito re-packaging inventato al tempo di Fassino: tu, Comune, prendi un po' di spettacoli ed eventi organizzati in proprio da un tot di associazioni, enti et similia, con un filo conduttore unico, nel caso il noto compositore Antonio Vivaldi; li confezioni in un pacchetto unico, ci metti su il fiocco e l'etichetta, di tasca tua stampi un po' di programmi e volantini (spesa totale 2000 euro) et voilà, hai un Festival bell'e pronto, in pratica a costo zero.
Come dire che fa fine e non impegna.
Quindi sul Festival Vivaldi potevo anche chiamarmi fuori. Tanto lo raccontano i giornali, che per quelle robe vanno pazzi; e semmai copiaincollo il programma e via col "ricevo e volentieri pubblico".

Da Tglff a Lovers: un festival in subbuglio

I registi alla presentazione di Lovers: Parigi, Pesenti, Leon, Giusta
Ma ieri presentavano pure il Lovers Film Festival, cioé il primo Tglff/Cinema Gay della nuova direttrice Irene Dionisio; e novità ce ne sono parecchie, non soltanto il cambio di nome e direzione; e c'è il drammone pregresso, l'accantonamento del direttore-fondatore Minerba e la nomina di Irene Dionisio senza bando e i rivolgimenti nello staff e la scommessa di una formula diversa. Insomma, ce ne sarebbe da scrivere; e forse il copiaincolla non basterebbe. Magari al prossimo post.
M il problema è ancora un altro: il problema è che ieri la notizia non era il Tglff/Lovers; men che meno il Festival Vivaldi. La notizia era - e continua a essere - il bilancio 2017 del Comune, con i suoi 5,8 milioni di euro tolti alla Cultura. E difatti la giovane ed entusiasta direttrice del Tglff/Lovers alla vigilia era preoccupata e temeva che alla presentazione del suo festival i giornalisti non badassero all'innovativo progetto del suo festival, e pensassero invece a spremere gli assessori sui tagli del bilancio.

La spremitura del limone

A Irene è andata di lusso, perché la sua conferenza stampa, ieri, era alla mezza alla Mole; mentre il Festival Vivaldi l'hanno presentato alle 10 del mattino a Palazzo Madama. E lì è cominciata la spremitura, sicché quando le truppe cronistiche sono giunte alla Mole erano già sazie. Tanto più che l'Appendino, il limone grosso da spremere, è andata alla conferenza stampa del Festival Vivaldi, e non a quella del Tglff/Lovers, dove pure era annunciata: penso che, finita la spremitura alla conferenza vivaldiana, la povera si sentisse come un lime in una chupiteria alle tre del mattino; per cui ha dato buca e alla Mole ha mandato soltanto la già provata Leon e l'ancora fresco Marco Giusta.
Vabbé: adesso che vi ho spiegato tutti i problemi, comprenderete come mai, alla fine della fiera, io anziché correre a casa a scrivere arrovellandomi su che cosa scrivere e come scrivere me ne sono venuto in campagna a cogliere erbette di campo per farmi una deliziosa minestra primaverile; e capirete anche perché adesso, anziché scrivere del Festival Vivaldi o della pur interessante tramutazione del Tglff in Lovers, provo a riassumere ciò che, di conferenza stampa in conferenza stampa, è stato detto a proposito dei tagli di bilancio. E' che mi sembra più divertente. Per come è andata, non per l'argomento in sé. 

Chi ha paura dei tagli alla cultura?

Argomento, lasciatemelo dire, che comincio a dubitare che sia davvero importante. In effetti la situazione è bizzarra: i diretti interessanti, direttori e presidenti delle fondazioni ed enti che subiranno i tagli, non mi sembrano per nulla preoccupati. E se non si preoccupano loro, perché mai dovrei preoccuparmi io?
Voglio dire: anche in passato, ai tempi di Fassino, la Cultura ha subìto tagli severi; ma allora tutti i presidenti direttori artistici e amministrativi e sovrintendenti e gran ciambellani piantarono giustamente un casino della madonna e andarono in piazza e lanciarono grida di dolore e allarmi per il livelli occupazionali e petizioni e emergenze cultura e convegni e pianti greci.
Stavolta, nisba.
Tutto va ben signora la marchesa.
L'unico a protestare è il presidente del Polo del 900: e ti credo, il Comune gli leva l'intero contributo, 300 mila eurini, volevo ancora vedere che ringraziava. 
Il resto è silenzio.
C'è chi tace completamente, come il neonominato presidente della Fondazione Torino Musei Maurizio Cibrario: a quanto si dice nel 2017 perderà un milione e ottocentomila euro - oppure un milione e seicentomila: la delibera sul bilancio è stata votata dalla giunta venerdì 24 ma non è ancora on line a disposizione di noi sudditi, alla faccia della trasparenza e del bicarbonato di sodio, e la caricheranno soltanto domani, con calma, e vabbé, per il momento viviamo di si dice... Ad ogni modo, Cibrario rischia una stangata da mettere i dipendenti in cassa integrazione e limitare il programma delle mostre a una retrospettiva di Teomondo Scrofalo. E lui manco un plissé. Desaparecido.
C'è poi chi cade dal pero, come la direttrice pro tempore del Museo del Cinema Donata Pesenti (il piente. Mresidente Damilano ieri non c'era, era a Roma per i David di Donatello, beato lui...); la Pesenti, dicevo, cade dal pero quando le comunico, io, che potrebbe perdere 1,2 milioni di euro, e mi risponde che a lei al momento non risulta, e che quindi non prevede tagli ai budget dei festival gestiti dal Museo, e mi conferma ad esempio che il Tglff/Lovers avrà 400 mila euro come l'anno scorso. Che il dio del cinema l'ascolti e l'assecondi.
C'è chi, come il sovrintendente del Regio Walter Vergnano, che ci perde poco, appena 200 mila euro, e quindi ostenta una relativa tranquillità: sì, dice, i tagli sono previsti, e se arriveranno sarebbe un problema grave, ma ci penserò quando si presenterà; e chi - il direttore dello Stabile Filippo Fonsatti - rischia un salasso di un milione tondo e ammette a malincuore che "in tal caso" toccherebbe ridurre ancora la programmazione (anche se stento a immaginare che cosa ancora possa ridurre, nel caso, lo Stabile, dopo aver rinunciato persino a Prospettiva, oltre che ai "Demoni"), ma ostenta fiducia nell'amministrazione civica.
La quale amministrazione civica, nelle persone di Appendino e Leon, ieri alla conferenza stampa del Festival Vivaldi appariva piuttosto nervosa. Io provo a scambiare due parole con Francesca Leon, che mi liquida con un "non è questo il momento", e non capisco perché mai con me non è mai il momento, inizio a sospettare di non stare troppo simpatico a quella donna...

La strategia di Chiarabella

Mo' a questi che je dimo? Appendino e Leon in conferenza
Allora ripiego su Appendino, imbronciatissima ma disponibile per dovere istituzionale e quindi circondata da microfoni e telecamere. Raccolgo le sue dichiarazioni che riporto diligentemente.
La premessa è lapalissiana: "Un sindaco non si diverte a tagliare. Non avremmo tagliato se avessimo avuto le risorse dello scorso anno". E vabbé, ci mancherebbe ancora. Sei io avessi i soldi, a quest'ora sarei alle Bahamas a pesca di marlin.
Poi la speranza: "Se nei prossimi mesi recupereremo nuove risorse i tagli alla cultura saranno i primi a essere cancellati". Ecco ciò che fa sperare i direttori e presidenti eccetera eccetera e li induce a una sana prudenza - anche perché hanno visto già cadere un numero di teste sufficiente a chiarire pure ai più tonti che questi qui non scherzano un cazzo
Ad ogni modo, la rassicurazione che rassicura i direttori eccetera questa: i tagli sono "temporanei", ci sono perché il bilancio deve quadrare, ma appena possibile... 
Per "appena possibile" si intende quando il governo restituirà i famosi 61 milioni dell'Ici e dell'Imu che Torino reclama fin dai tempi di Fassino. E qui si apprezza la sopraffina astuzia politica dell'Appendino. Batte cassa a Roma perché dia a Torino ciò che è di Torino, e per mettergli il pepe al culo usa la cultura come merce di scambio: "La mia giunta non ha nessuna intenzione di penalizzare la cultura: la considera un asset strategico. Ma abbiamo voluto fare un bilancio chiaro, che mostrasse subito le difficoltà di cui dovranno farsi carico gli enti culturali nel caso il governo non ci restituisse quel che deve". T'è capì, la Chiarabella? Mica scema. In sostanza manda a dire al Gentiloni: "O cacci la grana o ci vanno di mezzo gli amichetti tuoi: tanto si sa, quelli della cultura sono tutti della tua banda". Che poi non è più così vero, c'è già chi s'è accomodato sul carro vincente; però può ancora funzionare. Machiavelli, ciucciale il calzino.
Temo però fortemente per la sorte degli scudi umani. Ci vuole un ottimismo di cui non dispongo per credere che entro l'anno da Roma arrivino i 61 milioni. Certo, qualcosa dovranno dare, prima o poi: ma quanto e quando, nessuno lo sa. Mentre per salvare i bilanci della cultura torinese la deadline è il 31 dicembre prossimo.

C'è un piano B. E anche un piano C

Ma, mi spiegherà poi un altro assessore, uno dei pochi che ancora mi parla, esistono pure un piano B e un piano C.
Il piano B è noto, e consiste nel migliorare il sistema di riscossioni, in parole povere far pagare multe e imposte a chi le deve pagare: vasto e ambizioso programma che già improntò l'azione di governo di Caio Giulio Cesare e dopo di lui di tutti coloro che tentarono, tentano e tenteranno di governare questo bizzarro paese.
Quanto al piano C, l'assessore amico non me lo rivela, ma si dice convinto che funzionerà; e quindi tutti tranquilli, abbiamo scherzato, i tagli ci sono ma in verità non ci sono. Sono lì giusto per prudenza, e la prudenza non è mai troppa. Però vedrete che alla fine il soldi, di riffa o di raffa, salteranno fuori.
E ci resta comunque la gita a Lourdes.

L'arma finale: volete asili o teatri?

Appendino però non si fa mancare nulla, e nelle sue dichiarazioni estemporanee ai cronisti assetati di sangue e notizie cala il colpo del ko, l'arma sua segreta da Passoni spesso usata in gran difficoltà: gli asili. Ve lo ricordate? Il Feroce Tagliatore delle giunte Fassino e Chiamparino aveva il suo mantra, meno soldi per la cultura o meno soldi per gli asili?, che entusiasmava le masse e le mamme.
Solo ciò che funziona diventa tradizione, quindi la tradizionalista Appendino sottolinea: "Se noi avessimo spostato in questo momento delle risorse dal sistema educativo alla cultura avremmo dovuto tagliare subito 600 posti negli asili nido: ma un bilancio è fatto anche di settori irrinunciabili come istruzione e welfare".
Non fa una grinza.
Però, tanto per essere stronzo, io le domando: "La cultura non fa parte del welfare e dell'istruzione? Non è alla base della crescita armoniosa del cittadino?". Lei annuisce: "E' una questione temporale: l'urgenza in questi primi mesi dell'anno era tenere aperti gli asili, ma la cultura non l'abbandoniamo, i soldi arriveranno".
Parola di Appendino. Io segno tutto, neh?

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