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LO STATO DELL'ARTE NELLA CITTA' SENZA CARAVAGGIO: CON MIRO' SI SPERA, TASCHE VUOTE A PALAZZO MADAMA E UNA REGGIA POP

Alla Reggia di Venaria sono esposte le fotografie di Peter Lindbergh: una mostra al tempo stesso "alta" e "pop"
Vabbè, ultimamente hanno inaugurato un po' di mostre, e io manco ho scritto una riga. Non ho avuto il tempo. O la voglia. Forse perché sono tutte meritevoli, ma nessuna mi ha emozionato. 

Il Mirò di Genova e il Mirò di Torino: quota 120 mila è possibile?

No, non mi ha emozionato nemmeno quella di Mirò (avviso per i pistini: lo so che l'accento sulla o è sbagliato, dovrebbe essere acuto: ma non ho voglia di cercare sulla tastiera) a Palazzo Chiablese, ma forse dipende da me che sono un uomo cattivo e insensibile. In effetti è una mostra importante e ambiziosa. Le ambizioni, però, dovrebbero essere un po' ridimensionate. La mostra "Mirò! Sogno e colore" a Palazzo Chiablese, organizzata da Arthemisia Group con opere prestate dalla Fundaciò Mirò di Maiorca è - concettualmente, voglio dire, anche se magari non sono gli stessi quadri - molto (troppo?) simile alla mostra sul pittore catalano che lo stesso Arthemisia Group portò a Roma nel 2012, e poi a Palazzo Ducale di Genova dal 5 ottobre 2012 al 7 aprile 2013. Anche lì le opere arrivavano dalla Fundaciò Mirò, e persino i titoli sono gemellini: "Mirò! Poesia e luce" a Genova, "Mirò! Sogno e colore" a Torino. Insomma, mi suona un po' come una seconda visione. Comunque, se non eravata andati a vedere quella di Genova, non perdetevi la mostra di Torino, vale la pena.
Piuttosto sono preoccupato per il conto economico: la presidente di Arthemisia Group, Iole Siena, mi ha detto che il pareggio - quello che si chiama break even point - è a 120 mila visitatori. L'analoga "Mirò! Poesia e luce" a Roma fu un successo con tanto di proroga, ma non  sono riuscito a trovare i dati sulle presenze; mentre a Genova ebbe 100.154 visitatori. La mostra a Palazzo Chiablese, aperta il 4 ottobre, dura fino al 14 gennaio: tre mesi e dieci gorni. Quella genovese durò sei mesi, da ottobre ad aprile. E' vero che Torino non è Genova; però non è neppure Roma. Toccare e magari superare quota 120 mila visitatori in tre mesi mi pare una sfida - come dire? - coraggiosa. La precedente mostra di Toulouse-Lautrec in 135 giorni superò a stento le 100 mila presenze (ma nn era granché), mentre il record di Palazzo Chiablese restano, credo, i 160 mila per Matisse: però quella era una mostra eccellente, e durò 165 giorni. Ad ogni modo Mirò è partito bene, l'altro ieri a Palazzo Chiablese sono passate 1800 persone, vediamo come funziona il primo weekend.

Il Superman delle Tasche Vuote

Si fa quel che si può: a Palazzo Madama i gioielli-scultura di Giansone
Uscendo da Palazzo Chiablese, attraversate la piazza e andate a Palazzo Madama. Lì potete visitare una piccola mostra graziosa, quella dei gioielli (o "sculture da indossare", come da titolo) di Mario Giansone; e al tempo stesso potete ammirare gli eroici sforzi del direttore Guido Curto, il Superman delle Tasche Vuote, per offrire una regolare attività espositiva pur non avendo un soldo per far ballare un orso. "Giansone. Sculture da indossare" è stata totalmente pagata da Giuseppe Floridia, che ne è curatore insieme con Marco Basso. Floridia è un mecenate illuminato, collezionista e amico di Giansone che da vent'anni si batte perché l'artista, scomparso nel 1997, venga ricordato e riconosciuto per ciò che è: un grande della scultura italiana del Novecento.
Detto ciò, ho già più volte lodato l'industriosità della formichina Curto, che cercandosi sponsor qua e là, strologandosi per pescare nelle collezioni sue e degli altri musei torinesi opere minori da volorizzare, aprendosi alle collaborazioni più eterogenee, riesce a vivacizzare la programmazione di Palazzo Reale con idee low cost e spesso interessanti. 
Però, diciamocelo: non è vita. Un museo come Palazzo Madama e, se permettete, anche un direttore come Curto, avrebbero il sacrosanto diritto - ogni tanto, neh! - a una mostra all'onor del mondo, degna di stare alla pari con quelle delle grandi istituzioni museali europee. O almeno italiane. Perché "il dialogo tra le istituzioni museali della città per mettere a fattor comune le collezioni, le idee e le capacità progettuali" (Leon dixit) sarà pure partecipativo, equo, solidale, e perifericocentrico. Ma a Palazzo Reale di Milano fanno Caravaggio: ve ne siete accorti, pezzi di belinoni? 
E se adesso qualcuno alza il ditino e dice sì, però la settimana che viene a Palazzo Madama inaugurano la mostra di Ferrè... Beh, amico, non ci provare nemmeno. Non è giornata.

Cibrario non firma bilanci al buio. E il piatto piange

Il problema è che la Fondazione Torino Musei è come quel cavaliere del Berni che, del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto: in attesa di inglobare pure lo sventurato Museo di Scienze - che non meritava tale sorte, porello... - lotta per tirare a campare senza certezze economiche. Ma la Fondazione Musei perde i pezzi per strada: nel vero senso della parola, dato che due settimane fa, il 25 settembre, nel sotterraneo della Gam alcuni tubi dell'impianto antincendio sono caduti danneggiando alcune opere.
L'altro ieri sui giornali stava scritto che
 il battagliero presidente Maurizio Cibrario (già a suo tempo unico fra i cacicchi della cultura cittadina a insorgere contro i tagli forsennati previsti per il 2017) prima di approvare il bilancio della Fondazione vuole garanzie scritte dal Comune sull'effettivo pagamento almeno dei contributi promessi. Come dargli torto? Perché non soltanto gli hanno tolto da un anno all'altro un milione e ottocentomila euro (reintegrandogli poi la bellezza di 200 mila euro, oltre a far tossire un milione extra alle fondazioni bancarie): ma quel che è peggio, dei 4.950.000 euro promessi - e lascio da parte quelli reintegrati, sui quali vorrei avere notizie più precise - di quei quasi cinque milioni che la Fondazione dovrebbe ricevere dal Comune nel 2017, ben 3.275.000 sono in conto capitale.
Cibrario, che i bilanci li sa leggere, è ben conscio che i soldi in conto capitale non sono certi finché non li hai in tasca; e con i chiari di luna che ci sono in Municipio, la certezza è morta, o almeno sta malissimo. Non sarebbe la prima volta che a fine anno un sindaco arriva da 'sti disgraziati della cultura e gli dice oh bamboli, non c'è un soldo, rangeve. E dato che il bilancio della Fondazione lo firma Cibrario, e non l'assessore o il sindaco o qualche consigliere comunale saputello, e di conseguenza se poi saltano fuori i casini è lui che va al gabbio, il lungimirante Cibrario mette le mani avanti; e chiede un pezzo di carta come garanzia, perché a parole son tutti leoni, ma poi si sa, quando stai davanti al giudice, beh, allora è tutto un profluvio di no, vostro onore, non l'ho mai detto, i giornalisti hanno travisato... Oh, raga, mica siamo nati ieri.

La Reggia e le relazioni internazionali

Non si fa invece mancare le relazioni internazionali la Reggia di Venaria, che ieri ha inaugurato la mostra del fotografo Peter Lindbergh. 
Mostra eccellente, prodotta e realizzata dal Kunsthal di Rotterdam. Diciamo onestamente che il contatto tra Venaria e Rotterdam è nato assai casualmente - mi raccontano che ha fatto da tramite una signora che abita a Torino ed è amica della direttrice del Kunsthal - ma almeno qui si gioca in serie A e a costi ragionevoli: 380 mila euro per la mostra chiavi in mano. Ok, non è Caravaggio (e stendiamo un velo pietoso sul Caravaggio virtuale della Reggia...) ma almeno qui trovi un giusto mix fra "alto" e "pop", Lindbergh è una star della fotografia, le sue immagini fanno pensare ma sono pure glamour e piacione - mica per niente è al suo terzo calendario Pirelli - e la mostra è pensata e curata come cristo comanda. Sarà più attrattiva di "Regge d'Italia", che meritava più di 46.193 visitatori, e pure di "Jungle" che ha chiuso a 61.377 biglietti staccati. Alla Venaria adesso sono aperte anche le mostre su Lady D e su Giovanni Boldini: una popolare, una molto chic. Mi sembra un giusto mix.

Di Grosso scrivo un'altra volta: adesso vado ai Portici

Ok, ci sono altre mostre che mi piacciono, a cominciare da quella su Giacomo Grosso, un maestro piemontese da riscoprire. Ma oggi c'è Portici di Carta, e vorrei farci un giretto. Magari ne riparliamo un'altra volta.

Commenti

  1. Quella di Grosso potrebbe rivelarsi una delle più piacevoli sorprese dell'autunno, a cominciare dalla policentricità (senza contare che solitamente quel che tocca la Fondazione Accorsi è garanzia di qualità).

    Il paragone fra Palazzo Madama e Palazzo Reale di Milano è però, mi si permetta, perlomeno improprio. Palazzo Reale è la punta di diamante del sistema di mostre milanese (e, se dobbiamo dirla tutta, è pure l'unico museo di Milano che fa numeri come si deve, sugli altri sorvolerei). Insomma, non è un pezzo da 90, è IL pezzo da 90 della città. Palazzo Madama... be', no. Palazzo Madama ha una stupenda collezione permanente ma non è un sito votato alle esposizioni temporanee come lo è il Reale milanese. Oltre ad essere in crisi di contributi, ha quasi sempre ospitato mostre abbastanza di nicchia o, perlomeno, non in grado di attrarre folle oceaniche, anche per una banale questione di spazi: i loro locali temporanei sono piccoli.
    L'ultima mostra di grande respiro che ricordi all'ex Senato fu quella su Poussin (2015?). Ma si può dire che mostre così erano più un'eccezione che la regola, anche in tempi economicamente migliori.

    Diciamo che a Torino gli equivalenti del Reale milanese per le mostre sono Palazzo Chiablese e Venaria, oppure lo era la GAM ai tempi in cui ci si realizzavano le mostre blockbuster. Certo, il 2017 con tutta probabilità verrà archiviato ben meno brillantemente rispetto ai due anni precedenti al capitolo "grandi mostre" (nel senso di acchiappa pubblico).

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    1. Sono d'accordo con lei. In realtà a me non interessa dove si fanno le mostre, ma che si facciano. La politica espositiva di Palazzo Madama mi piace: il problema è che, essendosi ridotti gli eventi di rilievo nelle sedi deputate, quelle piccole mostre interessanti e meritorie suonano non come un "inoltre", ma come un "invece"...

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    2. Per quest'anno è indubbio. Vedremo i prossimi.

      Tuttavia io invece non apprezzo del tutto la politica sulle mostre intrapresa da Palazzo Madama da un paio d'anni a questa parte. Se sei un museo d'arte antica (e che museo!) apprezzerei vedere esposizioni in tema, anche di nicchia, anche dimesse, ma in tema, e non smaccatamente POP. Quelle le posso accettare a Venaria che è un contenitore misto-frutta. Spero invertano questa tendenza, anche se posso capire (a malincuore) che Marylin e i Beatles possano richiamare qualche cristiano in più delle decine di migliaia di tazzine di porcellana che tengono nei magazzini.

      Riguardo alle grandi mostre, la "crisi" di spazi e organizzatori si risolverebbe alla grande se i Musei Reali si decidessero a creare questo benedetto spazio espositivo di cui cianciano ormai da troppo. Ma può un museo delle dimensioni del Louvre costringersi a piazzare mostre nella crota del Chiablese? Boh, con tutti gli spazi che potrebbero ricavare... Ad esempio, cosa aspetta il Ministero a far sloggiare la Prefettura dai meravigliosi locali delle Regie Segreterie, peraltro attigui all'Armeria? E quanto ci mettono a ri-organizzare il piano terra della Sabauda per farci le temporanee d'arte? La Pagella da quando è in carica ha sciorinato splendide idee, ma mi sembra non abbia il potere sufficiente ad applicarle, perlomeno non in tempi rapidi.

      Dei Musei Reali con spazi e disponibilità a pieno regime potrebbero costituire, insieme a Venaria, una accoppiata dalla potenza di fuoco micidiale in ambito temporanee, ma al momento ce le teniamo a mezzo servizio e ripieghiamo su (meritevolissime) "seconde scelte".

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  2. Tutto ok. Però i Beatles erano al Mao; per essere precisi ;)

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