Per il terzo autunno consecutivo il Salone del Libro si ritrova a lottare per il suo futuro. E mai come quest'anno l'intera storia pare insensata: l'ennesima prova di sopravvivenza arriva dopo quella che a detta di molti è stata l'edizione più brillante nella storia del Salone, la trentesima, quella che ha sbaragliato la concorrenza milanese e ha ridato piena credibilità alla manifestazione torinese, a costo di uno sforzo anche economico difficilmente ripetibile.
Forse il successo di maggio non è estraneo alle odierne difficoltà della Fondazione per il Libro: la concorrenza milanese di Tempo di Libri ha accusato il colpo, ma si è riorganizzata; si è ricompattata la coalizione dei grandi editori scissionisti; l'Aie ha cacciato dalla presidenza il tonitruante Motta, sostituendolo con Ricardo Franco Levi, callidissimo politico. Sono dati di fatto, credo, non scollegati dal disimpegno dei ministeri dalla Fondazione per il Libro. Disimpegno che era nell'aria da almeno un anno, ma che non a caso proprio adesso si concretizza.
Ma i milanesi sono solo una faccia del problema, e manco la più truce. Come al solito - mentre la squadra del Salone lavora all'edizione 2018 - la Fondazione soffre di fragilità endemiche sue, mentre s'intrecciano voci sulla ricerca di nuovi, improbabili soci che subentrino a Miur e MiBACT.
Le prospettiva concrete sono però altre, e non precisamente fauste.
Mi ripetono, in questi giorni, che come al solito pecco di pessimismo: c'è pur sempre la possibilità, mi dicono, che il piano industriale e la valutazione del marchio non evidenzino sofferenze finanziarie tali da portare allo scioglimento.
Beh, sarebbe molto bello: ma se davvero fosse probabile, nei palazzi della politica non si discuterebbe tanto quanto si discute in questi giorni su un piano B; e magari anche C, D, E, F, G...
1) E' ben difficile che lo studio incaricato della valutazione riconosca al marchio del Salone del Libro un valore pari, o di poco inferiore a quello che gli venne attribuito nel 2014; valore che influiva non poco sul pareggio del bilancio.
2) La fuga dei ministeri è un brutto segnale. Di sicuro Franceschini aveva accettato di entrare con il MiBACT nella Fondazione su richiesta di Fassino, e presumo persino a titolo di favore personale, e il Miur s'era accodato. Adesso Fassino non c'è più, ma una fuga tanto repentina si può soltanto in parte spiegare come una ripicca politica e la volontà di favorire la giunta "amica" di Milano. E' molto probabile che davvero i ministeri temano di essere coinvolti in una Fondazione destinata a rivelarsi una bad company, e di doverne pagare almeno una parte del conto.
3) I vertici della Fondazione lamentano da tempo la crisi di liquidità causata dal ritardo con cui gli enti pubblici versano le cifre dovute a titolo di contributo. Non si sa bene a quanto ammonti il debito totale: chi dice due milioni, chi di più, chi di meno. Gli interessi passivi appesantiscono ancor più il bilancio. Ma sono nei guai anche i fornitori: alcuni aspettano di essere pagati da tempo ormai immemorabile e rischiano di fallire, o minacciano di sospendere le forniture.
4) Il piano industriale della Fondazione è il presupposto perché la Regione dia il via libera a una ricapitalizzazione da un milione e mezzo di euro. Ma anche se quei soldi arriveranno, non è detto che il successivo assessment sul personale non costringa a nuovi sacrifici. Dopo il trasferimento nella nuova sede - gratuita - in piazza Bernini, alla Fondazione restano pochi spazi di manovra per ridurre ancora i costi di gestione.
Se faccio presenti queste e altre incognite ai pubblici amministratori, la risposta corrente è che "non si può dire niente di preciso prima di avere visto il piano industriale e la nuova valutazione del marchio". Entro ottobre, quindi, sapremo.
Lascio da parte l'eventualità che si crei una società ad hoc: possibile, ma banale. Preferisco sentieri più suggestivi.
Finora si è parlato molto del Circolo dei Lettori - più precisamente Fondazione Circolo dei Lettori - come credibile candidato alla bisogna. Un candidato per la verità tutt'altro che entusiasta. Certo ha il know how più simile a quello della Fondazione per il Libro. Ma in concreto c'è una grossa differenza fra il lavoro del Circolo e quello della Fondazione.
Il Circolo deve imbastire ogni mese un calendario di appuntamenti e attività con almeno tre o quattro incontri ogni giorno; senza contare Torino Spiritualità e altre manifestazioni, tra cui i Giorni Selvaggi che sono condivisi con il Salone.
Invece la Fondazione per il Libro lavora tutto l'anno per creare un appuntamento monstre di cinque giorni, il Salone con l'annesso Salone Off, e uno di minore entità, Portici di Carta.
Le due mission sono simili, ma non uguali. E per far fronte ai nuovi impegni lo staff del Circolo dovrebbe essere rinforzato da qualche elemento ex Fondazione. Di sicuro il direttore del Salone resterebbe Nicola Lagioia: il quale di recente è andato ad abitare nello stesso palazzo di via Bogino dove ha sede il Circolo. Ma non so se Lagioia accetterebbe l'incarico rinunciando ai suoi attuali collaboratori: ne dubito.
Inoltre la nuova "mission" dovrebbe essere approvata dagli organi gestionali della Fondazione Circolo dei Lettori - il CdA e l'Assemblea dei Soci - e recepita nello Statuto. Si andrebbe per le lunghe. Senza dimenticare che nella Fondazione del Circolo dei Lettori siede soltanto la Regione: il Comune è fuori (adesso sta armeggiando per stipulare quantomeno una convenzione) e non ha i soldi necessari per entrarci. E non so dove potrebbe trovarli: nel 2018 nessuno sa quanto potrà spendere il Comune, alle prese con il piano di rientro dal deficit; e già adesso attendo con impazienza la fine dell'anno per scoprire se e in quanta parte l'amministrazione civica riuscirà ad onorare gli impegni di bilancio presi per il 2017 con gli enti culturali, dato che le cifre ad essi destinate sono perlopiù in conto capitale.
Finora le attività della Fondazione Cultura si sono concentrate, con esiti altalenanti, soprattutto sulla musica e l'intrattenimento. Nulla dimostra che abbia il know how per organizzare un Salone del Libro. Ma non vuol dire: la Fondazione Cultura potrebbe assumersi il ruolo di ufficiale pagatore, mantenendo l'attuale staff del Salone. La mia scarsa esperienza in materia economica e amministrativa non mi consente di cogliere il vantaggio che certamente ne deriverebbe. Ma attenzione: la Fondazione Cultura è partecipata solo dal Comune, non dalla Regione. Così come nel Circolo c'è la Regione ma non il Comune.
Forse il successo di maggio non è estraneo alle odierne difficoltà della Fondazione per il Libro: la concorrenza milanese di Tempo di Libri ha accusato il colpo, ma si è riorganizzata; si è ricompattata la coalizione dei grandi editori scissionisti; l'Aie ha cacciato dalla presidenza il tonitruante Motta, sostituendolo con Ricardo Franco Levi, callidissimo politico. Sono dati di fatto, credo, non scollegati dal disimpegno dei ministeri dalla Fondazione per il Libro. Disimpegno che era nell'aria da almeno un anno, ma che non a caso proprio adesso si concretizza.
Ma i milanesi sono solo una faccia del problema, e manco la più truce. Come al solito - mentre la squadra del Salone lavora all'edizione 2018 - la Fondazione soffre di fragilità endemiche sue, mentre s'intrecciano voci sulla ricerca di nuovi, improbabili soci che subentrino a Miur e MiBACT.
Le prospettiva concrete sono però altre, e non precisamente fauste.
Mi ripetono, in questi giorni, che come al solito pecco di pessimismo: c'è pur sempre la possibilità, mi dicono, che il piano industriale e la valutazione del marchio non evidenzino sofferenze finanziarie tali da portare allo scioglimento.
Beh, sarebbe molto bello: ma se davvero fosse probabile, nei palazzi della politica non si discuterebbe tanto quanto si discute in questi giorni su un piano B; e magari anche C, D, E, F, G...
Questi sono i punti fragili
Io non voglio atteggiarmi a profeta di sventura, ma guardiamo i fatti:1) E' ben difficile che lo studio incaricato della valutazione riconosca al marchio del Salone del Libro un valore pari, o di poco inferiore a quello che gli venne attribuito nel 2014; valore che influiva non poco sul pareggio del bilancio.
2) La fuga dei ministeri è un brutto segnale. Di sicuro Franceschini aveva accettato di entrare con il MiBACT nella Fondazione su richiesta di Fassino, e presumo persino a titolo di favore personale, e il Miur s'era accodato. Adesso Fassino non c'è più, ma una fuga tanto repentina si può soltanto in parte spiegare come una ripicca politica e la volontà di favorire la giunta "amica" di Milano. E' molto probabile che davvero i ministeri temano di essere coinvolti in una Fondazione destinata a rivelarsi una bad company, e di doverne pagare almeno una parte del conto.
3) I vertici della Fondazione lamentano da tempo la crisi di liquidità causata dal ritardo con cui gli enti pubblici versano le cifre dovute a titolo di contributo. Non si sa bene a quanto ammonti il debito totale: chi dice due milioni, chi di più, chi di meno. Gli interessi passivi appesantiscono ancor più il bilancio. Ma sono nei guai anche i fornitori: alcuni aspettano di essere pagati da tempo ormai immemorabile e rischiano di fallire, o minacciano di sospendere le forniture.
4) Il piano industriale della Fondazione è il presupposto perché la Regione dia il via libera a una ricapitalizzazione da un milione e mezzo di euro. Ma anche se quei soldi arriveranno, non è detto che il successivo assessment sul personale non costringa a nuovi sacrifici. Dopo il trasferimento nella nuova sede - gratuita - in piazza Bernini, alla Fondazione restano pochi spazi di manovra per ridurre ancora i costi di gestione.
Se faccio presenti queste e altre incognite ai pubblici amministratori, la risposta corrente è che "non si può dire niente di preciso prima di avere visto il piano industriale e la nuova valutazione del marchio". Entro ottobre, quindi, sapremo.
Chi organizzerebbe il Salone? Il Circolo?
Nulla mi vieta però di baloccarmi con qualche ipotesi iettatoria, che ha se non altro un valore scaramantico. E dunque provo a immaginare non tanto cosa accadrà sul piano formale (intendo giuridico amministrativo) se si dovesse decidere la messa in liquidazione della Fondazione per il Libro; quanto piuttosto che cosa accadrebbe in tale denegata ipotesi al Salone. Insomma: se chiudono la Fondazione, chi organizza materialmente il Salone del 2018? O del 2019?Lascio da parte l'eventualità che si crei una società ad hoc: possibile, ma banale. Preferisco sentieri più suggestivi.
Finora si è parlato molto del Circolo dei Lettori - più precisamente Fondazione Circolo dei Lettori - come credibile candidato alla bisogna. Un candidato per la verità tutt'altro che entusiasta. Certo ha il know how più simile a quello della Fondazione per il Libro. Ma in concreto c'è una grossa differenza fra il lavoro del Circolo e quello della Fondazione.
Il Circolo deve imbastire ogni mese un calendario di appuntamenti e attività con almeno tre o quattro incontri ogni giorno; senza contare Torino Spiritualità e altre manifestazioni, tra cui i Giorni Selvaggi che sono condivisi con il Salone.
Invece la Fondazione per il Libro lavora tutto l'anno per creare un appuntamento monstre di cinque giorni, il Salone con l'annesso Salone Off, e uno di minore entità, Portici di Carta.
Le due mission sono simili, ma non uguali. E per far fronte ai nuovi impegni lo staff del Circolo dovrebbe essere rinforzato da qualche elemento ex Fondazione. Di sicuro il direttore del Salone resterebbe Nicola Lagioia: il quale di recente è andato ad abitare nello stesso palazzo di via Bogino dove ha sede il Circolo. Ma non so se Lagioia accetterebbe l'incarico rinunciando ai suoi attuali collaboratori: ne dubito.
Inoltre la nuova "mission" dovrebbe essere approvata dagli organi gestionali della Fondazione Circolo dei Lettori - il CdA e l'Assemblea dei Soci - e recepita nello Statuto. Si andrebbe per le lunghe. Senza dimenticare che nella Fondazione del Circolo dei Lettori siede soltanto la Regione: il Comune è fuori (adesso sta armeggiando per stipulare quantomeno una convenzione) e non ha i soldi necessari per entrarci. E non so dove potrebbe trovarli: nel 2018 nessuno sa quanto potrà spendere il Comune, alle prese con il piano di rientro dal deficit; e già adesso attendo con impazienza la fine dell'anno per scoprire se e in quanta parte l'amministrazione civica riuscirà ad onorare gli impegni di bilancio presi per il 2017 con gli enti culturali, dato che le cifre ad essi destinate sono perlopiù in conto capitale.
E se fosse la Fondazione Cultura?
Circola una seconda ipotesi. Affidare l'organizzazione del Salone del Libro alla Fondazione Cultura. Eccola lì, come non averci pensato prima? Così la Fondazione guidata da Angela Larotella passerebbe, nel giro di un annetto, dalla scala per il patibolo ai fasti di una centralità culturale - e di potere - che neppure nei sogni più sfrenati del suo inventore Piero Fassino. E non sarebbe nemmeno necessario cambiare lo Statuto, che all'articolo 4 dichiara che la Fondazione ha lo scopo di "organizzare e realizzare manifestazioni di carattere musicale, culturale, museale".Finora le attività della Fondazione Cultura si sono concentrate, con esiti altalenanti, soprattutto sulla musica e l'intrattenimento. Nulla dimostra che abbia il know how per organizzare un Salone del Libro. Ma non vuol dire: la Fondazione Cultura potrebbe assumersi il ruolo di ufficiale pagatore, mantenendo l'attuale staff del Salone. La mia scarsa esperienza in materia economica e amministrativa non mi consente di cogliere il vantaggio che certamente ne deriverebbe. Ma attenzione: la Fondazione Cultura è partecipata solo dal Comune, non dalla Regione. Così come nel Circolo c'è la Regione ma non il Comune.
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