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ANDREMO AL MASSIMO: IL SENSO DEL MUSEO PER TOFFETTI

Capita che gli intermezzi diano più soddisfazione di ciò che intermezzano. Tipo ieri. In mattinata vado alla Rai in via Verdi perché al Museo della Radio edella Televisione hanno attrezzato il percorso di visita con un layout e varie modernità che rendono "accessibile" l'esposizione a non vedenti e non udenti. Bello e giusto. Però non sono esattamente gli argomenti di cui mi occupo. Quindi ci vado più che altro per vedere un caro amico e collega che lavora in Rai a Milano: le sue trasferte torinesi per me sono una gran gioia. E poi alla presentazione partecipano Chiarabella e il Chiampa, ed è sempre divertente vederli ciappettare fitto fitto con la mano sulla bocca per non farsi leggere il labiale: eventualità tutt'altro che remota in una conferenza a cui partecipano per l'appunto numerosi non udenti. 
Il Chiampa, en passant, mi dice che la storia del Salone del Libro non l'ho centrata, e che le cose non stanno esattamente come le racconto; ma non mi dice come stanno davvero, secondo lui, per cui io mi tengo buona la mia ricostruzione in attesa che si squarci il velo e anch'io possa vedere la luce.

A pranzo con Toffetti


Ad ogni modo. Ascolto gli spiegoni e le vibranti soddisfazioni, e verifico che il Museo della Radio e della Televisione (molto interessante, peraltro: non mi stanco di ripetere che merita una visita) sia accessibile alle carrozzine: lo è, seppur facendo il giro lungo dal carraio, dato che l'artistico atrio del civico 16 ha tre scalinate ma niente rampe o montascale. 
Alla fine s'è fatta l'una, e devo far venire l'ora di un Consiglio comunale che non intendo perdermi perché dovrebbero approvare la celebre "mozione Giovara" sul Regio.
Quindi, già che sto in zona, decido di approfittarne per fare due ciance con l'altro Sergio: do un colpo di telefono a Toffetti e combiniamo un pranzetto veloce. 
Il neo-presidente del Museo del Cinema scende accompagnato da Donata Pesenti, colei che per un anno e mezzo ha coraggiosamente sostenuto il ruolo di "facente funzioni del direttore" dopo il pasticciaccio brutto del bando mandato a puttane. Adesso il nuovo bando per la direzione è chiuso: entro fine luglio la commissione esaminatrice presenterà al Consiglio di indirizzo la sua short list di cinque - o anche soltanto tre - candidati, e Donata mi dice che non vede l'ora di tornare al suo prediletto mestiere di curatrice. Le chiedo se ha partecipato al bando per la direzione. Lei mi risponde di no, proprio non ci tiene.

Chi vuol fare il direttore?

Toffetti conferma: lui ha insistito con la Pesenti perché partecipasse, ma lei da quell'orecchio proprio non ci sente. A quanto mi risulta, ben prima di essere nominato presidente il prode Toffo aveva suggerito di candidarsi ad almeno altre tre persone che riteneva adatte per il ruolo di direttore, e in effetti lo sono. Eh beh, nessuno dei tre s'è candidato. Si tratta di tre persone intelligenti, esperte e stimate nell'ambiente del cinema. Forse per tali motivi non si sono candidati: i malestri perpetrati dalla politica nell'ultimo anno e mezzo sono bastati ad avvolgere la poltrona di direttore del Museo del Cinema di Torino in una sinistra aura di sfiga.

Ripartiamo dal Comitato scientifico

D'altra parte, nella sua formulazione il bando per la direzione del Museo privilegiava le professionalità amministrative e gestionali. E in effetti adesso la cosa ha un senso. L'esperto di cinema, Toffetti, già ce l'abbiamo alla presidenza, per cui alla direzione basterà un esperto di conti: almeno non si accapiglieranno per stabilire se sia più importante Murnau o Griffith. 
Toffetti sarà, facile previsione, un presidente assai operativo sul fronte artistico e scientifico, e giocherà di sponda con la Pesenti. E comunque, mi dicono, la novità vera è che finalmente il Museo avrà un Comitato scientifico: finora non era mai stato costituito, benché sia previsto dallo Statuto.

Una "comunità" per il Massimo

Il primo obiettivo della presidenza Toffetti sarà affermare la centralità del cinema Massimo, e di conseguenza del Museo, quasi a controbilanciare la visibilità dei festival. 
Mi spiego. Molti dimenticano che il Museo del Cinema ha due anime: quella espositiva, alla Mole, macina caterve di visitatori; mentre la programmazione cinematografica al Massimo non gode dello stesso successo popolare. Da molti anni ormai il Tff, CinemAmbiente e Tglff (ora Lovers) sono gestiti dal Museo - un unicum mondiale: nessun altro museo del cinema produce ben tre festival - e hanno conquistato, ciascuno, un proprio pubblico di riferimento, ciò che si definisce "una comunità". Ma quelle "comunità" che affollano il Massimo nei periodi dei festival non sono diventate automaticamente la "comunità" del Massimo: in parole povere, gli spettatori appassionati e fedeli del Tff, di CinemAmbiente o di Lovers nel resto dell'anno non frequentano con la stessa passione e fedeltà il Massimo per seguirne le proiezioni d'essai, le retrospettive, le rassegne.

Cambiare, non svaccare

Sul Massimo, quindi, intende puntare Toffetti. Senza limitarsi a operazioni di facciata. Sì, certo, ha pure qualche idea "simbolica". Ad esempio dare un nome alle tre sale, intitolandole a qualche figura benemerita della storia cinematografica torinese: io ho subito suggerito Gianni Rondolino, mi pare doveroso... 
Ma il neo-presidente immagina un cambio di marcia sostanziale, che faccia davvero aumentare il pubblico, puntando molto sui giovani: il che non significa svaccare,come architettano in altri lidi poco distanti da via Montebello. Toffetti non pensa di fare cassa programmando i blockbustar americani e i cinepanettoni italiani. Per come l'ho capita, vuole "creare" un pubblico che si identifichi e si riconosca nel Massimo, nel suo stile e nelle sue proposte.

"Nuovi pubblici" e dove trovarli

Con Toffetti e Pesenti ne abbiamo discusso a lungo. Mi sono sembrati molto lucidi e molto aperti. Mi pare un buon punto di partenza. Soprattutto quando si ragiona sulla conquista del pubblico più giovane. Occorre rendersi conto della "questione anagrafica". La generazione che oggi guida le istituzioni del cinema torinese è quella che ha vissuto in prima persona una radicale rivoluzione dei gusti cinematografici: negli Anni Sessanta e Settanta andava al Movie Club, scopriva il Free Cinema inglese e la nuova Hollywood, e tagliava da scuola per andare al Centrale a vedere qualsiasi film che sembrasse intollerabile a padri e madri legati alla classicità di "Via col vento" e Gary Cooper, ma anche di Fellini e Visconti. Oggi la storia si ripete. Il nuovo cinema - ciò che i ventenni cinefili del 2018 considerano "il cinema" tout curt - è eretico rispetto alle concezioni degli ex ribelli del Sessantotto: cinema digitale, serie tv, web-series, produzioni a basso costo e alto impiego di tecnologie a buon mercato sono inedite declinazioni del fare e del vedere il cinema. Pure le metodologie dei festival stanno mutando: Seeyousound o Fish & Chips, tanto per citarne due, sono modelli "diversi" con i quali l'estabilishment cinematografico deve fare i conti, sostenendone la crescita senza volerli piegare a canoni in rapida obsolescenza.
Il problema è capire chi potrebbe avvicinare il Museo a questo pubblico nuovo e per tanti versi alieno alle convenzioni cinefile degli "adulti". Io sono dell'idea che con i ventenni si possono confrontare soltanto i ventenni, massimo i trentenni: i sessantenni sono un'altra galassia, e anche i quarantenni illuminati stanno sul culo, perché nel migliore dei casi vengono percepiti come vecchi che penosamente cercano di spacciarsi per giovani. Ho suggerito a Toffetti e Pesenti di inserire almeno un venti-trentenne (oh, mica un bimbominkia qualsiasi, ma uno in gamba che abbia la cultura e l'esperienza di una giovinezza non sprecata: ce ne sarà rimasto qualcuno, no?) nel Comitato scientifico. Mi sono sembrati un po' perplessi. Ma credo che l'idea gli sia rimasta in testa. D'altra parte è chiaro che le istituzioni culturali dovranno di riffe o di raffe adattarsi al mondo nuovo che ci sta crescendo attorno. Qualcuno spera di cavarsela con qualche puttanata a buon mercato. Qualcuno si sforzerà di pensarci con serietà.

P.S. Dopo pranzo sono poi andato in Consiglio comunale. Ma la "mozione Giovara" sul Regio non l'hanno votata. Nessuna resipiscenza, anzi. Ho appreso che taluni dell'opposizione (ah, sì, l'opposizione...) sotto sotto apprezzano il bel progettino; e c'è chi 
 - Tresso, in particolare - chiede tempo per presentare alcuni emendamenti "migliorativi". Quindi la votazione è stata rinviata, in attesa degli emendamenti. Così tutti saranno responsabili del bel capolavoro.

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